Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26354 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. II, 19/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 19/11/2020), n.26354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24844/2019 proposto da:

A.F., rappresentato e difeso dall’avvocato MARIAGRAZIA

STIGLIANO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. 3047/2019 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Presidente ROSA MARIA DI VIRGILIO.

La Corte:

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 30/7/2019, il Tribunale di Lecce ha respinto il ricorso proposto da A.F. avverso la decisione della Commissione territoriale di Lecce, di reiezione delle domande di protezione internazionale ed umanitaria, ritenendo, quanto al rifugio, non attinenti a forma alcuna di persecuzione i fatti narrati dalla parte, ma aventi natura meramente familiare e personale; quanto alla protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che la narrazione, scarsamente circostanziata e contraddittoria in più punti, non era credibile, era lacunosa e generica (come correttamente rilevato dalla Commissione, non era stato chiarito quali conseguenze sarebbero derivate dal mancato pagamento del prestito contratto con l’usuraio, l’intero racconto era fumoso), nè la parte aveva spiegato perchè non si fosse rivolto alle autorità locali; quanto del D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c), che la situazione di forte insicurezza nel Pakistan non interessa la zona di (OMISSIS), ove è vissuto il ricorrente, come riscontrabile anche dal sito ministeriale (OMISSIS); quanto alla protezione umanitaria, che non sussistevano profili soggettivi di vulnerabilità.

Avverso detta pronuncia ricorre A.F., sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno si difende con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; sostiene la motivazione apparente della decisione, per essere il difetto di credibilità basato su clausole di stile, con richiamo alla motivazione della Commissione territoriale, senza alcuna spiegazione in relazione alle ragioni di detta condivisione; denuncia quali “anomalie motivazionali”: 1) la mancanza di ogni riferimento alla vicenda personale della parte, 2) il riferimento al diniego di audizione, mentre la parte non aveva avanzato detta richiesta, 3) il rilievo relativo alla mancata indicazione delle conseguenze del mancato pagamento del prestito usuraio, mentre la parte non aveva mai parlato di usura e comunque non è questo il motivo di fuga dal Pakistan, 4) la ragione della mancata denuncia alle autorità locali, ragione che invece il ricorrente ha fornito(e tale fatto configura vizio di omesso esame); 5) l’omessa menzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato(contratto con buste paga e lettera di referenze), al fine di valutare la situazione della parte in Italia, per la protezione umanitaria.

Con il secondo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per essersi il Tribunale limitato, per valutare la sicurezza della zona di provenienza, a riferirsi al sito ministeriale (OMISSIS), e non a reports internazionali, come le COI del Rapporto mondiale 2019, da cui si evince lo stato di insicurezza della zona di provenienza, ma anche la compatibilità di quanto narrato con la situazione di detta zona (pericolo di essere ucciso o perseguitato per avere aiutato un amico a nascondere la sua donna che era invece obbligata a sposare altro uomo).

Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

E’ bene premettere che, come di recente ribadito nella pronuncia 13248/20, e conforme la precedente decisione 9105/17, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Nella specie la Corte, in un giudizio di protezione internazionale ed umanitaria, ha riscontrato il vizio sia per l’incompatibilità delle argomentazioni poste a base delle diverse forme di protezione richiesta sia per la radicale mancanza della descrizione della vicenda personale del ricorrente così da non poter ancorare le affermazioni astratte ed i paradigmi normativi riprodotti alle domande proposte).

Il ricorrente denuncia la motivazione apparente del decreto impugnato, facendo valere la natura tutta seriale delle argomentazioni addotte dal Tribunale, per la mancata indicazione della vicenda personale posta a base delle domande, per il riferimento alla richiesta audizione, nella specie invece non avanzata dal difensore, per il riferimento all’usura, neppure prospettata dalla parte e comunque non rientrante nella ragione di fuga dal Paese di origine(e qui il ricorrente prospetta il contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili); infine, la parte adduce due fatti, in tesi decisivi, il cui esame sarebbe stato omesso dal Tribunale, ovvero la ragione addotta per la mancata richiesta di protezione alle Autorità di polizia, e la prova del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in Italia.

Ciò posto, va rilevato che effettivamente il Tribunale non ha specificamente riportato la vicenda narrata dal ricorrente, purtuttavia, che lo stesso abbia esaminato detta narrazione concludendo per la non credibilità è evincibile alla stregua dei rilievi esposti alle pagine 5-6, laddove il Giudice del merito ha dato conto del “rapimento”, concludendo per il carattere fumoso e generico, e per la narrazione “impersonale”, evidenziando anche la mancata spiegazione della ragione della mancata richiesta di intervento alle Autorità locali.

Nè a diversa conclusione può pervenirsi per il riferimento alla richiesta di audizione, mai formulata, o all’usura, che costituiscono dei rilievi ultronei.

La motivazione, pertanto, deve ritenersi non meramente apparente, ma idonea a dare conto del ragionamento svolto dal Tribunale e delle conclusioni assunte. Quanto ai due fatti in tesi omessi, anche a tacere del requisito della decisività, va rilevato che l’odierno ricorrente non ha assolto all’onere, sullo stesso gravante, di indicare quando e con quale atto avesse fatto valere nel giudizio di merito la ragione del mancato ricorso alla Polizia e, quanto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la parte non ha assolto all’onere della localizzazione dei documenti indicati, ex art. 369 c.p.c., n. 4, nè alla necessaria specificazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 6, non riportando o sunteggiando il contenuto dei documenti, nè, in ultima analisi, la doglianza sarebbe comunque adeguata a scalfire lo specifico giudizio espresso dal Tribunale, di mancanza di “idonei e stabili mezzi di sussistenza”.

Infine, va rilevato che, come affermato nelle pronunce 3340/19 e 27503/18, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

Il terzo motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha escluso la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), facendo riferimento alle indicazioni del sito (OMISSIS) al 19/4/2019 e a non meglio precisate “fonti internazionali” che escluderebbero situazione di conflitto generalizzato nella zona del distretto di provenienza, il (OMISSIS).

Di contro, il ricorrente si duole della considerazione di detta fonte ministeriale e fa valere di contro il Report mondiale 2019 del Pakistan sul profilo della violenza contro le donne, del matrimonio forzato, degli abusi sessuali, nonchè della violenza tra fazioni islamiche, ed altre fonti sul terrorismo e violenze di carattere religioso, per la presenza di cristiani nel Punjab (notizie del 2018). Ora, anche a prescindere dal rilievo, di comune esperienza, della maggiore prudenza nelle raccomandazioni del sito ministeriale, va rilevato che i report evidenziati dal ricorrente riguardano in gran parte profili e sfere specifiche che sono stati ritenuti non determinanti, stante la non credibilità della narrazione del ricorrente, nonchè fatti di terrorismo dai quali, purtroppo, non sono esenti gli stessi Paesi Europei, e comunque, in ogni caso, non possono superare la valutazione operata dal Tribunale, secondo cui “l’attuale situazione di forte insicurezza nel Pakistan non investe la zona del distretto di (OMISSIS) dove ha vissuto il richiedente sino all’allontanamento dal paese”.

Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

 

 

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