Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26351 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. II, 19/11/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 19/11/2020), n.26351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3386/016 proposto da:

L.M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Crescenzio, 20, presso lo studio dell’avvocato Bianca Maria

Terracciano, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Di Cicco;

– ricorrente –

contro

S.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Muzio Clementi 9,

presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Raguso, rappresentato e

difeso dall’avvocato Natale Clemente;

– controric. e ric. incidentale –

avverso la sentenza n. 1998/2014 della Corte d’appello di Bari,

depositata il 10/12/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dalla domanda ex art. 2932 c.c., di trasferimento della proprietà del bene immobile promessogli in vendita al prezzo stabilito dalla convenzione stipulata dal Comune di Vieste con S.S. proposta da L.M.G. nei confronti di quest’ultimo, promettente venditore, con conseguente restituzione delle maggiori somme percepite dal convenuto in ragione del maggior prezzo indicato nel preliminare;

– l’attore esponeva che il contratto preliminare stipulato fra le parti riguardava un immobile costruito in virtù di convenzione della L. n. 865 del 1971, ex art. 35, stipulata fra il Comune di Vieste e lo S. per la quale il prezzo di cessione degli alloggi non poteva superare la somma di Lire 1.414 850 al metro quadrato mentre il promittente venditore aveva preteso la maggiore somma di Lire 230.000.000 nonchè quella di Lire 7.500.000 per l’installazione dell’ascensore;

– il promissario acquirente, una volta venuto a conoscenza dell’esistenza di tale convenzione e del prezzo inferiore ivi indicato, aveva chiesto la riduzione del corrispettivo indicato nel preliminare, riduzione rifiutata dal promittente venditore e per tale ragione le parti non erano pervenute alla stipula del contratto definitivo;

– si costituiva S. che contestava la fondatezza della domanda attorea, deducendo, a sua volta, l’inadempimento dell’attore;

– con sentenza non definitiva l’adito Tribunale di Foggia – sezione distaccata di Manfredonia accoglieva la domanda attorea di trasferimento, disponendo il prosieguo della causa per la decisione delle altre questioni;

– proposto gravame da parte del convenuto soccombente, la Corte d’appello di Bari accoglieva l’impugnazione;

– per quanto di interesse in questa sede di legittimità, la corte territoriale riteneva, diversamente dal giudice di primo grado ed in accoglimento del relativo motivo di impugnazione dell’appellante, che i beni immobili promessi in vendita non erano determinati nè determinabili e che tale lacuna produceva la nullità (ex art. 1418 c.c., comma 2) del contratto preliminare di cui era stata chiesta l’esecuzione in forma specifica;

– rilevava la corte territoriale che a sostegno della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., il promissario acquirente aveva depositato il contratto preliminare ma non la planimetria ad esso allegata, ove erano indicate specificamente le dimensioni e le caratteristiche dell’alloggio da realizzarsi ed in considerazione di ciò il giudice d’appello riteneva assorbente la censura mossa dallo S. alla sentenza di primo grado in merito alla individuazione dell’oggetto del contratto preliminare;

– la corte, cioè, preso atto dell’incontestata mancata produzione della planimetria, ne derivava la mancanza di indicazioni per identificare i beni oggetto del richiesto trasferimento coattivo;

– inoltre, esclude, comma 2, c.c. in considerazione della necessaria forma scritta prevista per il contratto di trasferimento di beni immobili;

– la corte territoriale riteneva altresì decisiva la circostanza che il trasferimento doveva avvenire non mediante la stipula volontaria e consensuale del definitivo, ma mediante la pronuncia giudiziale resa ai sensi dell’art. 2932 c.c.;

– in tale ipotesi, secondo la corte territoriale, l’individuazione del bene oggetto del trasferimento con indicazione dei confini dei dati catastali deve necessariamente risultare dal predetto contratto non potendosi attingere ad altra documentazione;

– la corte pugliese in forza di tutte le richiamate argomentazioni concludeva per la nullità del contratto e il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c.;

– la cassazione della pronuncia d’appello è chiesta da L.M. con ricorso affidato a due motivi cui resiste S. con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi ed illustrato da memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346 e 2932 c.c., nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto nullo il contratto preliminare per indeterminabilità del suo oggetto, stante il rinvio al contenuto di una planimetria allegata al preliminare, nella quale i beni promessi in vendita risultavano colorati con linea gialla, planimetria però non allegata in giudizio;

– ad avviso del ricorrente ai fini della validità del preliminare non è necessaria l’indicazione completa di tutti gli elementi del futuro contratto, ma è sufficiente l’accordo sugli elementi essenziali che nella fattispecie erano rinvenibili, anche in mancanza della produzione della planimetria alla quale il contratto stesso faceva riferimento; in particolare, dalla lettura del contenuto del contratto, il cui testo è riprodotto in ricorso, si ricaverebbe che per il box erano indicate le dimensioni, mentre quelle dell’appartamento si ricavano dalla convenzione intercorsa con il Comune di Vieste, in virtù della quale lo S. aveva poi edificato il complesso immobiliare;

– trattandosi, peraltro, di beni da costruire, non poteva reputarsi necessaria anche l’indicazione degli estremi catastali del bene da trasferire, occorrendo far riferimento anche ad atti e documenti collegati a quello oggetto di valutazione, come dovevano reputarsi le visure catastali inerenti all’appartamento ed al box prodotte dal ricorrente nel corso del giudizio;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1366 e 1367 c.c., laddove la corte d’appello ha ritenuto indeterminato l’oggetto del contratto preliminare senza tenere conto della comune intenzione dei contraenti, quale espressa nello stesso contratto, occorrendo a tal fine prendere in considerazione anche il comportamento successivo dei contraenti posteriore alla conclusione del contratto, dal quale emergeva che il ricorrente aveva pacificamente preso possesso dei beni dei quali aveva chiesto il trasferimento ex art. 2932 c.c., dell’invito formulato dallo stesso S. a presentarsi dinanzi al notaio per la stipula del definitivo, sebbene al prezzo pattuito nel preliminare (e superiore a quello esigibile per legge);

– i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati;

– come dedotto dal controricorrente e ricorrente incidentale S., questa Corte si è già pronunciata su ricorsi proposti in fattispecie del tutto analoghe aventi ad oggetto altri immobili siti in Vieste e il Collegio intende dare continuità all’orientamento assunto nelle pronunce n. 15952/2019 e n. 1626/2020, anche ai fini della motivazione come previsto dal disposto dell’art. 118 disp. att. c.p.c., che consente il richiamo nella motivazione dei precedenti conformi;

– pertanto, va ribadito il principio che ai fini della validità del preliminare di vendita di un bene immobile, l’indicazione del bene oggetto della futura vendita può essere anche incompleta, e mancare, perciò, dei dati catastali e degli altri elementi distintivi del bene, purchè sia certo che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione, pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, a condizione che l’intervenuta convergenza delle volontà sia comunque, anche aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile;

– va ribadito, altresì, che si tratta di un’indagine rimessa al giudice di merito e, se sorretta da adeguata motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità (così Cass. 23 agosto 1997 n. 7935; Cass. 30 maggio 2003 n. 8810);

– tuttavia, ritiene il Collegio che la possibilità di determinare l’oggetto del contratto mediante il rinvio ad elementi esterni individuabili aliunde, sulla base della ricostruzione della presumibile volontà delle parti (si pensi al caso deciso da Cass. n. 14254/2012, richiamata dalla difesa del ricorrente, ove, in assenza di puntuali indicazioni in contratto, si è reputato che fosse possibile far riferimento alle piantine estratte dal progetto presentato al Comune per la realizzazione dell’immobile i cui elementi identificativi erano sommariamente riportati in contratto, e ciò ancorchè le piantine non fossero state prodotte in giudizio), trovi un limite nel caso in cui l’individuazione del bene oggetto del futuro trasferimento sia individuato per relationem in un atto destinato a formare parte integrante dell’accordo negoziale, come avvenuto nel caso di specie, laddove le parti affermavano costituire parte integrante dell’accordo la planimetria dell’alloggio e del box, sulla quale erano individuati con linea gialla colorata;

– in tal caso la volontà delle parti ha inteso limitare la possibilità di avvalersi di elementi esterni diversi dall’atto specificamente richiamato in contratto e destinato a formarne parte integrante, con la conseguenza che non opera il tradizionale principio secondo cui (cfr. Cass. n. 26174/2009) per i negozi giuridici per i quali la legge prescrive la forma scritta “ad substantiam” (quale deve ritenersi anche il preliminare di compravendita immobiliare in virtù della regola della forma per relationem posta dall’art. 1351 c.c.), la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l’oggetto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti, che abbiano concordemente ammesso, anche implicitamente, l’esistenza del diritto costituito con l’atto non esibito (conf. Cass. n. 2919/1990; Cass. n. 1249/1995);

– conseguentemente, il preciso richiamo ad uno specifico documento, che nella volontà delle parti costituisce parte integrante dell’accordo contrattuale, non permette, quindi, di poter risalire ai fini dell’individuazione del bene oggetto del contratto preliminare ad elementi diversi da quello espressamente richiamato, nè consente di far riferimento al comportamento successivo delle parti, non potendo la condotta dei contraenti superare la precedente manifestazione di volontà quale estrinsecatasi anche con il richiamo al contenuto del documento allegato;

– peraltro, la stessa lettura del contratto preliminare, nel testo riprodotto in ricorso, non consente di ritenere che lo stesso permettesse di individuare con certezza quali fossero i beni promessi in vendita, senza far riferimento anche alla planimetria allegata, posto che quanto all’alloggio, sebbene ne fosse riportato il piano e l’accesso dalla porta a sinistra, le parti poi rimandavano alla planimetria quanto alle dimensioni ed alle caratteristiche (mancando quindi una precisa individuazione della superficie, ed essendo escluso, come invece suggerito dal ricorrente, il richiamo alle prescrizioni della convezione intervenuta tra lo S. ed il Comune in vista della realizzazione dell’immobile), mentre, quanto al box da realizzarsi nel piano seminterrato, il testo del contratto si limitava a richiamare la sola superficie, essendo poi individuato con precisione all’interno del detto piano, solo nella planimetria con una linea colorata in giallo;

– l’espressa indicazione dell’elemento documentale in virtù del quale le parti avevano inteso assicurare la determinazione dei beni interessati dal contratto, imponeva, quindi, la produzione in giudizio anche della planimetria, la cui assenza in giudizio non permette di ritenere soddisfatto il requisito della determinabilità dell’oggetto ex art. 1346 c.c.;

– esclusa la dedotta violazione delle norme di cui agli artt. 1346 e 2932 c.c., non appare neppure fondatamente censurabile l’avvenuta declaratoria di nullità del contratto, non potendosi invocare in senso contrario la diversa regola ermeneutica di cui all’art. 1367 c.c., che, secondo la costante interpretazione di questa Corte (cfr. Cass. n. 28357/2011) non va intesa nel senso che sia sufficiente il conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per legittimarne una qualsivoglia interpretazione, pur contraria alle locuzioni impiegate dai contraenti, quanto piuttosto nel senso che, nei casi dubbi, tra possibili interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la renda improduttiva di effetti; ne consegue che detto criterio – sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 1362 c.c., comma 1 – condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto (conf. Cass. n. 19493/2018);

– la tesi proposta dal ricorrente, con il riferimento ai dati ricavabili dalla convenzione intervenuta tra il convenuto ed il Comune di Vieste ovvero al comportamento successivo dei contraenti, mira a sostituire quella che è stata l’effettiva volontà dei contraenti, che avevano fatto univoco rinvio al contenuto di una planimetria destinata ad essere parte integrante dell’accordo, ed è destinata quindi a recedere, a fronte del corretto rilievo quanto alle conseguenze della mancata produzione in giudizio di tale documento;

– il ricorso principale deve dunque essere rigettato;

– passando all’esame del ricorso incidentale condizionato con il primo motivo, si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il vizio da cui si sostiene fosse affetta la sentenza di primo grado e che era stato denunciato con uno specifico motivo di appello, la violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c., con la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., per essere stato pronunciato il trasferimento della proprietà anche del box, sebbene in citazione il ricorrente avesse fatto richiesta di pronuncia costitutiva solo per l’alloggio;

– con il secondo motivo si deduce l’omessa pronuncia, nonchè il difetto e assenza di motivazione, ovvero motivazione illogica, irrazionale e contraddittoria, sempre della sentenza di prime cure quanto alla nullità del contratto per indeterminatezza ed indeterminabilità del promittente acquirente;

– con il terzo motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia l’omessa pronuncia, sempre con riguardo alla sentenza di prime cure – della eccepita nullità del contratto preliminare in relazione al possesso dei requisiti da parte del promittente acquirente di cui all’art. 8 della convenzione della L. n. 865 del 1971, ex art. 35, venditore;

– il rigetto del ricorso principale assorbe la disamina dei motivi del ricorso incidentale condizionato;

– atteso l’esito del ricorso principale e in applicazione del principio di soccombenza, le spese di lite sono poste a carico del ricorrente L.M. e liquidate come in dispositivo;

– poichè il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed essendo rigettato, occorre dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente principale alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e ricorrente incidentale e liquidate in Euro 5000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore contributo per il proprio ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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