Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26338 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. I, 20/12/2016, (ud. 28/10/2016, dep.20/12/2016),  n. 26338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22676-2012 proposto da:

C.A., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA C. COLOMBO 436, presso l’avvocato BIANCA MARIA CARUSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI CARACUTA, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARTANO, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO

MARCHELLO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

CO.CE.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato RIEDI RICCARDO, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MARCHELLO F. che ha

chiesto il rigetto del ricorso e deposita n.1 cartolina verde;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Lecce, sez. dist. di Maglie, rigettava la domanda di risarcimento dei danni che il comune di Martano aveva proposto nei riguardi, per quanto qui rileva, dell’appaltatore C.A., in relazione a gravi difetti di esecuzione di un appalto finalizzato alla realizzazione di un edificio scolastico.

Riteneva che il comune fosse decaduto dalla garanzia, avendo avuto conoscenza obiettiva e completa dei difetti di esecuzione imputabili all’appaltatore sin dal 30-81994, in esito a una relazione tecnica, e non avendo fornito la prova della denuncia entro l’anno.

La sentenza, impugnata per questa parte dal comune, veniva riformata, nel contraddittorio col C., dalla corte d’appello di Lecce, atteso che all’appalto di opere pubbliche doveva dirsi estraneo un momento di consegna dell’opera come conosciuto secondo il sistema degli artt. 1665 e 1667 c.c., dovendo i profili della consegna e dell’accettazione prender corpo solo in ragione del collaudo. Poichè il certificato di collaudo era stato emesso il (OMISSIS), se ne doveva desumere che il comune, nel contestare la presenza dei difetti con missive del 15-12-1997 e del 2-4-1998, aveva rispettato il termine decadenziale.

Nel merito, la corte d’appello riteneva provata la responsabilità dell’appaltatore (a differenza di quella del progettista e direttore dei lavori, arch. Co., che assolveva da ogni pretesa), in quanto la c.t.u. aveva consentito di appurare che i lavori di fondazione era stati eseguiti con poca cura e con superficialità, e avevano determinato cedimenti differenziati e corrispondenti lesioni dei muri perimetrali dell’edificio.

Per tale ragione condannava l’appaltatore al risarcimento dei danni parametrati al costo dell’intervento necessario a eliminare i vizi, con maggiorazione di rivalutazione e interessi, oltre che al pagamento delle spese processuali.

Avverso la decisione, depositata il 18-1-2012 e non notificata, C. ha proposto ricorso affidato a due motivi.

Il comune di Martano ha replicato con controricorso e successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., censura la sentenza in quanto l’azione di responsabilità per difetti relativi a immobili prescinde, nell’appalto, ai sensi dell’art. 1669 c.c., dalla consegna dell’opera e dal collaudo ed è sempre improcedibile se non vi è stata denunzia entro l’anno dalla scoperta e se la domanda non è proposta entro l’anno dalla denunzia.

2 – Col secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame della denunzia di vizi del 4-7-1994, evidenziante le riscontrate fessurazioni dei muri perimetrali, tardiva rispetto all’avvenuta consegna dell’immobile sin dal 179-1988, a fronte della quale la citazione era stata notificata il 25-9-1998.

3. – Il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perchè connessi, è infondato.

Dall’esposizione del ricorrente si apprende che l’appalto di cui trattasi aveva avuto genesi nel contratto stipulato il (OMISSIS) per i lavori di costruzione di un edificio scolastico.

Le censure sopra riportate si concretizzano nell’assunto che il termine per far valere i difetti di esecuzione dell’appalto, laddove si tratti di gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 c.c., decorreva dalla scoperta materiale, vale a dire dal momento in cui il comune committente aveva conseguito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti costruttivi e della loro derivazione causale.

La tesi contrasta tuttavia con la giurisprudenza di questa sezione, che nel tempo si è progressivamente assestata sul principio esattamente applicato dal giudice a quo, secondo cui “all’appalto di opera pubblica rimane estraneo un momento della “consegna” dell’opera (così come conosciuto, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c.), inteso come atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente istantaneo, il quale, seguendo l’ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto “accettante”, il coevo insorgere dell’onere di una precisa formulazione di riserve. A tale riguardo, infatti, l’appalto di opera pubblica conosce, sul piano della “consegna” dell’opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, solo a partire dall’esito del quale prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’ opera, sia quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Nè, alla consegna dell’opera pubblica prima del collaudo è applicabile la presunzione di cui all’art. 1665 c.c., comma 4, giacchè la consegna di un’opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica essendo il solo collaudo l’atto formale indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera stessa da parte della pubblica amministrazione” (v. Sez. 1^ n. 10992-04, n. 15013-11, n. 1509-15).

In base a siffatto orientamento, che qui si conferma, rimane del tutto irrilevante la circostanza che i difetti in relazione ai quali l’azione sia proposta appartengano, o meno, al novero di quelli gravi (e v. del resto Sez. 1^ n. 1509-15 esplicitamente riferita a fattispecie ex art. 1669 c.c.).

Il punto insuperabile è infatti collocato a monte del profilo, giacchè nell’appalto di opere pubbliche, ai sensi del R.D. n. 350 del 1895 (art. 100), qui applicabile ratione temporis, ove anche l’amministrazione abbia preso (come si deduce nel secondo mezzo) preventivamente in “consegna” l’opera pubblica, essa consegna, indipendentemente dalle formule utilizzate dall’ente consegnatario nell’atto concordato con l’impresa appaltatrice, è fatta sempre sotto riserva di collaudo, e senza quindi che la pubblica amministrazione abbia l’onere di denuncia o il vincolo dell’osservanza di termini.

4. – In conclusione, con riguardo all’appalto delle opere pubbliche, la garanzia per l’esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., riguardo a vizi e difetti rivelatisi contemporaneamente al suo esperimento, spiega la propria efficacia solo dopo l’approvazione del collaudo, secondo le forme rituali e nell’adempimento prescritto, in via imperativa, dalla legge (nella specie, il citato R.D. n. 350 del 1895). Il che è d’altronde anche ovvio, dal momento che la ricognizione dello stato delle opere pubbliche da parte della p.a. non è riducibile alla percezione che di tale stato possa avere questo o quel soggetto che rivesta una carica nell’organizzazione pubblica committente, ma solo all’acquisizione formale nell’ambito del procedimento amministrativo prescritto dalla legge.

Il ricorso è rigettato.

Spese alla soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 28 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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