Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26329 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. I, 20/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep.20/12/2016),  n. 26329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24060/2014 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. A SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE ARNALDO

DA BRESCIA 9, presso l’avvocato MASSIMO MANNOCCHI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO D’ANGELO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A., in persona del Curatore Dott.

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10,

presso l’avvocato ANTONIO RIZZO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LORENZO SCARPELLI, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

FIRENZE, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI

FIRENZE, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE, BLU REAL ESTATE S.R.L.;

– intimati –

nonchè da:

BLU REAL ESTATE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’EMPORIO

16/A, presso l’avvocato ILARIA PAGNI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE PANCANI, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) S.P.A. A SOCIO UNICO, FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A.,

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

FIRENZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1487/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FRANCESCO D’ANGELO che ha

chiesto l’accoglimento del proprio ricorso principale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale BLU REAL

ESTATE, l’Avvocato GIUSEPPE GUIZZI, con delega, che ha chiesto

l’accoglimento del proprio incidentale;

udito, per il controricorrente FALLIMENTO, l’Avvocato LORENZO

SCARPELLI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e per l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'(OMISSIS) s.p.a. (hinc solo (OMISSIS)) proponeva ai propri creditori un concordato preventivo con liquidazione della totalità del patrimonio immobiliare, alla condizione del pagamento integrale dei crediti prededucibili e privilegiati capienti e del pagamento al 15% dei crediti privilegiati incapienti e dei chirografari. Tale proposta veniva approvata da più del 50% dei creditori ammessi al voto.

Il tribunale di Firenze negava l’omologazione e, con sentenza in data (OMISSIS), dichiarava il fallimento della società, ravvisando la non fattibilità giuridica del concordato in considerazione di un sequestro preventivo disposto in sede penale, che aveva attinto i beni della medesima nel contesto di un procedimento per corruzione a carico del legale rappresentante P.E. e, in base al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, lett. a) e art. 25, anche della società.

Il reclamo della fallita veniva a sua volta rigettato dalla corte d’appello di Firenze con sentenza notificata in via telematica il 17/9/2014.

Il giudice del reclamo osservava che il sequestro preventivo, avendo colpito una parte assai rilevante dei beni messi a disposizione dei creditori e oggetto della proposta (per un valore indicato dalla stessa reclamante di oltre 25.000.000,00 di Euro), dovevasi considerare alla stregua di elemento di non fattibilità giuridica del concordato in quanto impeditivo della liquidazione dei beni medesimi nei tempi previsti dalla proposta. In una tale situazione di sopravvenuta inalienabilità dei beni oggetto di cessione, fondata su norme inderogabili di diritto pubblico, era da ritenere irrilevante il voto favorevole dei creditori. Invero il sequestro era stato disposto a tutela della confisca per equivalente prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, comma 2 e tale confisca, avente natura obbligatoria, avrebbe concretato un trasferimento di proprietà dei beni allo Stato per modo da escludere i creditori. Il provvedimento doveva quindi ritenersi, in ossequio all’indirizzo giurisprudenziale assunto dalle sezioni unite penali di questa corte, insensibile alla procedura fallimentare e le questioni sulla sua legittimità non potevano essere neppure esaminate, essendo riservate alla valutazione del giudice penale in sede di riesame della misura; riesame che si era concluso con esito confermativo del sequestro. La corte d’appello poneva infine anche l’astratta questione della prevalenza o meno della misura in ipotesi di beni non intrinsecamente e oggettivamente pericolosi. Ma si riteneva non legittimata a esaminarla per la medesima ragione appena detta.

La (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolando sei censure.

Si è costituita la creditrice Blu Real Estate s.r.l., proponendo ricorso incidentale in tre motivi.

Si è infine costituito anche il fallimento, resistendo ed eccependo l’inammissibilità del ricorso principale e l’inefficacia o l’inammissibilità dell’incidentale.

Tutte le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve premettersi che il ricorso principale in effetti non contiene, come eccepito dalla difesa del fallimento, l’enunciazione specifica delle norme che si assumono di volta in volta violate, secondo lo schema formale dell’art. 360 c.p.c..

Tuttavia lo stesso non può essere considerato inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, perchè l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo e imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto per chiarire il contenuto delle censure formulate e identificare limiti della impugnazione. Per cui la mancata o anche l’erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare quelle norme o quei principi di diritto che si assumono infranti e rendano così possibile la delimitazione del quid disputandum (cfr. Sez. 3^ n. 12929-07, n. 4233-12).

2. – Mediante sei censure, tra loro connesse e suscettibili di esame unitario, la ricorrente impresa (OMISSIS) denunzia che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto preclusa l’omologazione del concordato per effetto del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

In questa prospettiva sostiene:

(1) che il patrimonio della società, ancora disponibile, era comunque sufficiente a eseguire il concordato, dacchè l’erroneità della pronuncia la quale, in ogni caso, si era spinta a un giudizio di fattibilità economica del piano, precluso all’organo giurisdizionale;

(2) che il sequestro preventivo era da ritenere irrilevante ai fini dell’omologazione del concordato, in presenza di diritti di terzi sui beni destinati alla confisca;

(3) che in ogni caso esso era illegittimo, giacchè il sequestro per equivalente non può essere disposto se non in mancanza di beni oggetto di profitto, nè può gravare sulla persona giuridica per reati tributari del suo legale rappresentante;

(4) che invero il sequestro nei confronti dell’ente collettivo non poteva pregiudicare i diritti dei terzi di buona fede, posto che mai l’eventuale confisca sarebbe potuta andare in loro danno;

(5) che la stessa decisione del tribunale del riesame, errata e superficiale in ordine ai profili riguardanti il rapporto tra il sequestro preventivo e la legge fallimentare, non poteva avere effetto preclusivo della riproposizione di un’istanza di dissequestro;

(6) che il P., legale rappresentante della società, era stato infine comunque assolto dai reati tributari in relazione ai quali era stato disposto il sequestro di beni della società.

3. – Censure per buona parte analoghe, sebbene più propriamente dettagliate nei riferimenti normativi, sono formulate nel ricorso della società Blu R.E..

Tale società denunzia:

(1) col primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p., in rapporto alla L. Fall., art. 168, per non avere la corte d’appello rilevato, nel giudizio di prevalenza del sequestro preventivo penale rispetto alla procedura di concordato, che il sequestro era stato disposto dopo l’apertura di tale procedura e che, non essendovi esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente pericoloso in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato, era annoverabile tra le misure cautelari soggette all’art. 168 citato;

(2) col secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p., in rapporto alla L. Fall., artt. 169 e 45, in quanto sia la confisca, sia il sequestro a ciò funzionale, non erano concedibili in caso di preesistenza di diritti di terzi sui beni da sequestrare; e comunque – se concessi – non potevano prevalere sulle ragioni della massa, atteso che, in conseguenza dell’apertura del concordato preventivo, si era formato, prima della misura penale, un patrimonio segregato destinato alla soddisfazione dei creditori, come tale insensibile a ogni distinta pretesa;

(3) col terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p., in relazione alla L. Fall., art. 180, per avere la corte d’appello mancato di chiarire se si fosse in presenza di un sequestro volto a impedire che il bene, in quanto strutturalmente funzionale alla commissione del reato, fosse rimesso in circolazione in qualsiasi forma, anche attraverso l’espropriazione del reo, così da non poter essere venduto a scopo di soddisfacimento dei creditori, ovvero in presenza di un sequestro non finalizzato a impedire la circolazione di beni intrinsecamente illeciti; in particolare, ritenendo di non essere legittimata a una simile valutazione di prevalenza del sequestro rispetto alla liquidazione concordataria, la corte distrettuale avrebbe confuso il giudizio rimesso al giudice penale, incidente sulla sorte del sequestro, col giudizio di prevalenza rispetto alla liquidazione concordataria, rimesso al giudice fallimentare nel contesto della valutazione di fattibilità giuridica del concordato.

4. Il ricorso della (OMISSIS) è in tutte le articolazioni infondato, e ciò determina l’assorbimento delle concentriche, anche se più limitate, censure svolte nel ricorso della società Blu R.E.. Le quali peraltro sono state sollevate a mezzo di ricorso solo adesivo, notificato tardivamente e per questo inammissibile.

5. – E’ da evidenziare innanzi tutto che l’impugnata sentenza, diversamente da quanto eccepito, ha affrontato il nodo della fattibilità giuridica, non economica, del concordato, correttamente risolvendolo in senso negativo. La valutazione di non fattibilità giuridica è quella incentrata sulla verifica di sostanziale incompatibilità del piano con norme inderogabili, mentre la valutazione di non fattibilità economica attiene al ben diverso profilo della inattitudine del piano concordatario a raggiungere gli obiettivi di soddisfacimento in esso fissati. Una inattitudine del genere è peraltro sindacabile anch’essa, dal giudice, ove manifesta (v. per tutte Sez. 1^ n. 11497-14).

La ratio decidendi della sentenza della corte fiorentina è in ogni caso collocabile entro i confini del primo concetto, in quanto il sequestro preventivo, avendo colpito beni oggetto di proposta concordataria per un valore rilevante (oltre 25 mil. di Euro), seppur fino a concorrenza di somma inferiore (circa 6,7 mil.), dovevasi considerare giuridicamente “impeditivo della liquidazione dei beni e nel tempi previsti dalla proposta medesima”, al punto da determinare l’ininfluenza dei conteggi della reclamante a proposito di una eventuale limitazione del sequestro, non suscettibile di essere apprezzata dal giudice civile.

Tale ratio ha trovato ulteriore argomento nell’essere stato il sequestro de quo finalizzato alla confisca obbligatoria (del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19) e (stante la precisazione contenuta nell’ultima parte della motivazione) sul non essere il giudice fallimentare competente a stabilire, finanche in ipotesi di confisca di cose non intrinsecamente e oggettivamente pericolose, la prevalenza o meno della misura rispetto ai diritti della massa dei creditori.

La ricorrente oppone che esisteva una sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e il credito presunto dello Stato.

Ma va osservato che una tale obiezione a niente rileva, perchè, come giustamente affermato dalla corte d’appello, ogni questione al riguardo avrebbe dovuto essere denunciata (e risolta) dinanzi al giudice della misura, tale essendo il giudice penale.

6. – Di simile profilo la ricorrente principale (ma anche la società Blu R.E.) non tiene adeguato conto, sicchè riguardo a esso, anche in considerazione della mancanza di precedenti di questa sezione sul tema, devesi precisare quanto segue.

Entrambe le società sottolineano che, una volta aperto il concordato preventivo, la pretesa ablatoria dello Stato, cui il sequestro preventivo è strumentale, entrerebbe in conflitto con i diritti dei terzi di buona fede e con la garanzia patrimoniale dei creditori, alla quale è invece funzionale il principio di segregazione. E nella specie si trattava di un concordato con cessione di beni.

Il bilanciamento tra le divergenti esigenze andrebbe secondo la loro tesi risolto nel contesto del giudizio di fattibilità da parte dello stesso giudice del concordato, stante il coordinamento tra l’art. 19 citato e della L. Fall., artt. 51 e 168, che non consente azioni cautelari ed esecutive in pendenza della procedura. Verrebbe dunque in rilievo il principio secondo il quale la prevalenza della confisca potrebbe essere affermata soltanto quando si tratti di cose intrinsecamente pericolose. La confisca per equivalente, di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, obbligatoria ma non avente a oggetto cose intrinsecamente pericolose, dovrebbe recedere dinanzi alle necessità concordatarie.

Una parte di codeste argomentazioni trovano aggancio in quanto affermato in alcune decisioni delle sezioni unite penali di questa corte: in particolare nella sentenza n. 29951-04, relativamente alla confisca facoltativa di beni provento di attività illecita appartenenti a impresa dichiarata fallita.

Questa sentenza – richiamata, ben vero a distinto scopo, anche dalla corte d’appello di Firenze – ha affermato che è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca facoltativa, di beni provento di attività illecita e appartenenti a un’impresa dichiarata fallita, nei cui confronti sia instaurata la relativa procedura concorsuale, “a condizione che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare”.

Nè del resto si dubita che quando l’adozione della confisca sia facoltativa, per esserne l’oggetto non illecito in modo assoluto, deve sempre infine tenersi conto che la confiscabilità è esclusa dall'”appartenenza” della cosa a persona estranea al reato, e che tale concetto comprende non solo il diritto di proprietà ma anche i diritti reali di garanzia (cfr. già Sez. un. pen. n. 9-94).

Sennonchè, anche a voler prescindere dal fatto che trattasi di principio giustappunto ivi affermato per la confisca facoltativa, mentre quella disciplinata dal D.Lgs. n. 231 del 2001, è obbligatoria (vera e propria sanzione principale, obbligatoria e autonoma, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa corte, ove venga disposta in danno di un ente ritenuto responsabile di un illecito dipendente da reato: cfr. per tutte Sez. un. pen. n. 26654-08), va osservato che il mentovato principio non può a sua volta andar disgiunto da ciò che è evincibile in chiave di competenza funzionale, ai fini della valutazione che in effetti si richiede.

E’ stato infatti chiarito che la verifica delle ragioni dei terzi, al fine di accertarne la buona fede secondo quanto stabilito dalla norma richiamata, spetta – in ogni caso – al giudice penale e non al giudice fallimentare (v. Sez. un. pen. n. 11170-14).

E contro la linearità di tale principio, condivisibile e da recepire in questa sede, si infrangono tutte le argomentazioni della società ricorrente.

Ove anche si tacesse del fatto che i diritti acquisiti dai terzi di buona fede, da far salvi rispetto alla confisca ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, sono quelli identificati dal connotato della realità, in rapporto ai beni oggetto di apprensione a tutela delle ragioni dello Stato, non anche i diritti di credito (v. ancora Sez. un. pen. n. 11170-14) – resta che, laddove il piano concordatario implichi, come nella specie, la cessione dei beni ai creditori, in tanto può procedersi alla liquidazione, e in tanto il piano può dirsi giuridicamente fattibile, in quanto si sia previamente ottenuta dal giudice penale la cessazione del vincolo cautelare sui detti beni.

Ne consegue che tutte le doglianze relative alla presunta illegittimità del sequestro preventivo – perchè disposto su beni non costituenti profitto di reato, perchè disposto nei confronti di società per reati tributari del legale rappresentante, perchè inteso a pregiudicare diritti di terzi di buona fede o altro – sono nella sede concorsuale inconferenti.

E’ in ispecie risolutivo che il sequestro sussisteva al momento della pronuncia, perchè oltre tutto confermato nella sede propria, e questo, attesa l’entità valoriale dei beni sequestrati in rapporto alle caratteristiche del piano, bastava a motivare il giudizio di non fattibilità giuridica del concordato.

7. – La difesa della (OMISSIS) ulteriormente sottolinea, nel sesto motivo, che il giudizio penale per dichiarazione infedele, instaurato contro il legale rappresentante di essa società, era stato dal tribunale di Firenze “definito all’udienza del 17-7-2014 con sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste”.

Deve però osservarsi che non risulta, in prospettiva di autosufficienza, che una tale circostanza sia stata portata alla cognizione del giudice del reclamo.

Donde la censura appare incentrata su un fatto per la prima volta dedotto in questa sede di legittimità, nonostante che il giudizio di reclamo, per quel che emerge dallo stesso ricorso, sia stato dalla corte d’appello di Firenze trattenuto in decisione il 13-82014, dopo l’asserita pronuncia assolutoria.

In secondo luogo, e comunque, la suddetta circostanza è irrilevante ai fini specifici.

Tutta l’implicazione afferente il rapporto tra la citata assoluzione e la configurazione dell’illecito a carico della società, rispetto al sequestro per equivalente eseguito su beni di questa, – assertoria in questa sede – a niente rileva quanto all’effetto impeditivo del concordato derivante dal sequestro penale, giacchè non risulta che sia stato attivato, con esito favorevole alla società, il rimedio previsto dall’art. 323 c.p.p..

8. – Tutto quanto esposto conduce al rigetto del ricorso principale, potendo essere fissato in via generale il seguente principio di diritto: “in tema di concordato preventivo con cessione totale dei beni, la fattibilità giuridica del piano costituisce presupposto di ammissibilità della proposta; ne consegue che quando, a carico della società proponente, sia stato disposto un sequestro preventivo di beni destinato, secondo il regime di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, alla confisca, è sempre necessario ottenere dal giudice penale la cessazione del vincolo cautelare e, in mancanza, restando sottratto al giudice della procedura concorsuale ogni potere di sindacare la legittimità del provvedimento, la proposta va dichiarata senz’altro inammissibile”.

9 – Il ricorso della società Blu R.E. – le cui censure sarebbero in ogni caso assorbite da quanto detto – è inammissibile per tardività, siccome solo adesivo alla prospettazione della fallita.

Il soccombente, secondo l’orientamento che appare preferibile, ha sempre l’onere di impugnare la sentenza entro i termini di legge, perchè l’art. 334 c.p.c., che consente l’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata ex adverso, è applicabile solo all’impugnazione incidentale in senso stretto, che è quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale o che sia stata chiamata a integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331; per modo che la parte, che invece propone un ricorso incidentale adesivo a quello principale, è tenuta a rispettare il termine di decadenza appositamente stabilito (cfr. per varie applicazioni Sez. 5^ n. 21990-15; Sez. 3^ n. 1120-14; da ultimo Sez. lav. n. 10243-16).

La società Blu R.E., rispetto a decisione notificata per via telematica in data 17-9-2014, ha rimesso in notifica il controricorso, contenente il ricorso incidentale adesivo, in data 4/11/2014.

Spese processuali alla soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l’incidentale e condanna le ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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