Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26329 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 19/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 19/10/2018), n.26329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26175-2016 proposto da:

COMUNE BARI C.F.(OMISSIS), in persona del Sindaco e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

NIZZA n.53, presso lo studio dell’avvocato FABIO CAIAFFA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUISA AMORUSO;

– ricorrente –

contro

S.M., in proprio e quale erede del coniuge P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA n.5, presso lo

studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUIGI QUERCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 897/3/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BARI, depositata il 12/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

La CTR della Puglia, con sentenza n. 897/3/2016, depositata il 12 aprile 2016, non notificata, accolse l’appello proposto dai coniugi P.A. e S.M. nei confronti del Comune di Bari avverso la sentenza della CTP di Bari, che aveva invece rigettato, previa riunione, i ricorsi proposti dai contribuenti avverso avvisi di accertamento per ICI relativi agli anni dal 2007 al 2010.

Avverso la pronuncia della CTR l’ente locale ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.

La signora S., deceduto nelle more il coniuge, resiste con controricorso.

1. Con l’unico motivo il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando “Violazione e falsa applicazione di legge – Art. 360 c.p.c., n. 3 con specifico riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1”, lamentando che erroneamente la CTR ha accolto l’appello in relazione alla doglianza relativa alla pronuncia di primo grado nella parte in cui essa – prima di entrare nel merito della questione relativa al godimento dell’agevolazione come abitazione principale dell’intero complesso costituito da tre unità catastalmente diversamente censite ma tutte destinate ad abitazione principale dei coniugi e del nucleo familiare costituito dalla figlia dei contribuenti e dal figlio di lei, nipote dei contribuenti medesimi – aveva rigettato il motivo d’impugnazione volto alla declaratoria della nullità dell’atto impugnato per carenza di motivazione.

A dire dell’Amministrazione ricorrente, infatti, l’avviso di accertamento doveva ritenersi congruamente motivato, avendo enunciato i presupposti di fatto e le ragioni di diritto poste a fondamento della pretesa impositiva.

1.1. Il motivo è da ritenersi inammissibile per carenza di autosufficienza, come preliminarmente eccepito dalla difesa della controricorrente.

Invero, è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sancito dall’art. 366 c.p.c., “qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale in relazione al giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso” (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 12 ottobre 2017, n. 23755; Cass. sez. 5, ord. 28 giugno 2017, n. 16147; sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14676; Cass. sez. 5, 13 febbraio 2015, n. 2928; Cass. sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22203; Cass. sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9536).

1.2. Nella fattispecie in esame la ricorrente è venuta meno a detto onere, non solo non trascrivendo in alcuna parte il predetto atto impositivo,nè allegandolo in copia al ricorso in ossequio al principio di autosufficienza virtuosa di cui al protocollo d’intesa Corte di cassazione – CNF del 15 dicembre 2015, ma omettendo finanche di indicare il luogo del relativo deposito nel giudizio di merito.

2. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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