Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26326 del 20/12/2016

Cassazione civile, sez. I, 20/12/2016, (ud. 11/05/2016, dep.20/12/2016),  n. 26326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.L., Elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci, n. 4,

nello studio dell’avv. Roberto Righi, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PONTE BUGGIANESE, Elettivamente domiciliato in Roma, viale

Giulio Cesare, n. 7, nello studio dell’avv. Amerigo Cianti;

rappresentato e difeso dell’avv. Paolo Golini, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, n. 1192,

depositata in data 9 agosto 2010;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica dell’11 maggio 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente l’avv. F. Paoletti, munito di delega;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. CARDINO Alberto, il quale ha concluso per l’accoglimento del

sesto motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze, pronunciando sulla domanda proposta dalla signora M.L. nei confronti del Comune di Ponte Buggianese ai fini della determinazione della giusta indennità di espropriazione di un terreno della quale la stessa attrice era comproprietaria nella misura di nove dodicesimi (avendo gli altri contitolari del bene accettato l’indennità, addivenendo alla c.d. cessione bonaria delle proprie quote), ha determinato in Euro 20.160,00 l’indennità di espropriazione, in Euro 7.833,86 quella di occupazione temporanea e in Euro 2.176,80 il pregiudizio arrecato alla proprietà residua.

1.1 – La corte distrettuale è pervenuta a tale determinazione sulla base della destinazione impressa dal piano regolatore all’area in questione, espropriata ai fini dell’ampliamento del cimitero di Ponte Buggianese: è stato rilevato che, dovendosi tener conto della natura del terreno in epoca anteriore all’apposizione del vincolo espropriativo (con la variante al P.R.G. approvata il 21 agosto 1995), in nessuno degli strumenti urbanistici precedenti la vicenda ablativa l’area oggetto di espropriazione aveva posseduto vocazione edificatoria.

Per altro, anche a voler ritenere che si fosse verificata la decadenza del vincolo espropriativo, il terreno doveva comunque considerarsi agricolo, poichè “tutti gli strumenti urbanistici succedutisi dal 1974 in poi avevano sempre inserito l’area in questione in zona agricola e in fascia di rispetto cimiteriale”.

1.2 – Le indennità di espropriazione e di occupazione sono state determinate in base al valore agricolo medio (v.a.m.), con esclusione della maggiorazione del 10 per cento.

1.3 – La corte di appello ha poi ritenuto sussistente il deprezzamento della residua proprietà, nella misura sopra indicata, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ed ha infine escluso la ricorrenza dei presupposti per l’attribuzione di una somma a titolo di maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2.

1.4 – Per la cassazione di tale decisione la sig.ra M.L. propone ricorso, affidato a nove motivi, cui il Comune di Ponte Buggianese resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo, deducendosi violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis della L. n. 1187 del 1968 e della L. n. 10 del 1977, art. 4 si sostiene che erroneamente la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che il vincolo apposto con la Variante al P.R.G. del 1995 era decaduto, con conseguente necessità del ricorso al criterio fondato sulla c.d. edificabilità di fatto.

2.1 – Con il secondo mezzo le norme sopra indicate si assumono violate sotto il profilo del carattere espropriativo del vincolo apposto per l’ampliamento delle strutture cimiteriali.

2.2 – La terza censura propone, in relazione alla soluzione negativa alla questione posta con il precedente mezzo, questione di legittimità costituzionale delle suddette norme in relazione agli artt. 2, 3, 42, 97 e 117 Cost., nonchè dell’art. 1 del 1^ Protocollo Addizionale Cedu.

2.3 – Con il quarto motivo si deduce violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 338 per aver la Corte di appello affermato l’inedificabilità assoluta del lotto in relazione alla fascia di rispetto cimiteriale.

2.4 – La quinta censura attiene alla contraddittoria e insufficienza motivazione della sentenza impugnata, per non aver considerato che il vincolo di inedificabilità – come affermato dalla stessa Corte di appello di Firenze – si estende per m. 50 oltre il confine del cimitero.

2.5 Con il sesto mezzo si denuncia l’illegittimità costituzionale e la contrarietà ai principi affermati dalla Cedu delle norme che prevedono la liquidazione dell’indennizzo per i suoli non edificabili in base al criterio fondato sul valore agricolo medio.

2.6 – Con il settimo motivo si deduce omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa il deprezzamento della restante proprietà della M..

2.7 – L’ottava censura riguarda la violazione dell’art. 1 del 1^ Protocolla Addizionale Cedu e dell’art. 1224 c.c., per aver la corte distrettuale affermato che il maggior danno non poteva essere attribuito, in assenza di domanda del creditore.

2.8 – Con l’ultimo motivo si denuncia la violazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90 per essersi esclusa la maggiorazione del dieci per cento dell’indennità di esproprio.

3 – I primi cinque motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto intimamente collegati, per essere attinenti alla natura e agli effetti del vincolo cimiteriale, sono infondati.

3.1 – Le questioni proposte prescindono totalmente da un orientamento consolidato secondo cui non può considerarsi edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo, ai sensi del R.D. n. 1265 del 1934, art. 338 e successive modificazioni, giacchè lo stesso integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici (Cass., 29 novembre 2006, n. 25364; Cass., 23 giugno 2004, n. 11669; Cass., 22 aprile 2010, n. 9631).

3.2 – Tale orientamento trova piena rispondenza nella giurisprudenza amministrativa, che anche di recente ha ribadito che la salvaguardia del rispetto dei duecento metri prevista dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 338, comma 1 (“Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie”) costituisce un vincolo assoluto di inedificabilità, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. St., 9 marzo 2016, n. 949), precisando che detto vincolo d’inedificabilità s’impone ex se, con efficacia diretta ed immediata, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla esistenza o sui limiti dello stesso (Cons. St., 22 novembre 2013, n. 5544).

3.3 – Premesso che non è dato comprendere come l’estensione legale del vincolo in esame, pari a 200 metri, possa contestarsi mediante la deduzione, come avviene nella quinta censura, di un vizio motivazionale, deve rilevarsi che la Corte Costituzionale ha in più occasioni affermato la legittimità costituzionale della categoria dei vincoli legali, collegata, sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati “a priori” per categoria derivante un’opera pubblica stradale o autostradale (Corte cost., n. 133/1971; n. 79/1971; n. 63/1970). Ne consegue che, ancorchè resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata (Cass., 22 marzo 2013, n. 7228; Cass., 29 novembre 2006, n. 25346).

4 – La sesta censura è fondata.

Deve infatti darsi atto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, emessa, nelle more del presente giudizio, a completamento del processo di conformazione del diritto interno ai principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

4.1 – Con il motivo di ricorso in esame la parte ricorrente ha impedito la definitiva ed immodificabile determinazione dell’indennità, ponendone in discussione l’ammontare ancora dovuto, e dalla stessa ritenuto incongruo. Infatti l’impugnazione in esame rimette in discussione proprio il criterio legale utilizzato dalla corte territoriale, tenuto conto che il relativo capo della sentenza riposa sulla premessa dell’applicabilità della L. n. 865 del 1971, art. 16 e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4.

4.2 – Deve quindi rilevarsi che il sistema indennitario è ormai svincolato dalla disciplina delle formule mediane (dichiarata incostituzionale con sentenza n. 348 del 2007) e dei parametri tabellari, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, commi 1 e 2, e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene. Il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica, dunque, con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita, id est col valore venale del bene, posto che la dichiarazione d’incostituzionalità dei menzionati criteri riduttivi ha fatto rivivere detto criterio base di indennizzo, posto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 riconosciuto applicabile ai casi già soggetti al pregres-so regime riduttivo (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90.

5 – Tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare.

E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo, fondato sulla edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37.

In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass., n. 7987/2011; Cass., n. 9891/2007; Cass., n. 3838/2004; Cass., n. 10570/2003; Cass., Sez. un., nn. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; Cass., n. 2605/2010; Cass. nn. 21095 e 16537/2009).

6 – Gli ulteriori motivi, in quanto relativi a questioni caudatarie della liquidazione dell’indennità, rimangono assorbite.

7 – L’impugnata sentenza va quindi cassata in relazione all’aspetto relativo allo “ius superveniens”, con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, che, in diversa composizione, provvederà a determinare l’indennità di espropriazione considerando che, all’interno della categoria suoli inedificabili (in cui va ricompreso quello espropriato), rivestono valore a fini indennitari le possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Il giudice del rinvio provvederà, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta i primi cinque motivi, accoglie il sesto per quanto di ragione, assorbiti i successivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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