Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26325 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. I, 20/12/2016, (ud. 23/03/2016, dep.20/12/2016),  n. 26325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

N.A., Elettivamente domiciliato in Roma, via Lucrezio

Caro, n. 67, nello studio dell’avv. Alfredo Barbieri; rappresentato

e difeso dall’avv. Gabriele Testa, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI PADOVA, Elettivamente domiciliata in Roma, via

Germanico, n. 172, nello studio dell’avv. Massimo Ozzola, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Patrizia Carbone, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

FERROCEMENTO S.R.L., – GIA’ FERROCEMENTO S.P.A. Elettivamente

domiciliata in Roma, via di Porta Castello, n. 172, nello studio

dell’avv. Alfredo Biagini, che la rappresenta e difende, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.V., B.D. – B.I. –

B.C., EREDI DI N.R. NICOLETTO ADALGISA SOCIETA’ ITALIANA

PER CONDOTTE D’ACQUA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 982,

depositata in data 23 aprile 2013; sentita la relazione svolta

all’udienza pubblica del 23 marzo 2016 dal consigliere dott. Pietro

Campanile;

Sentito per il ricorrente l’avv. Carla Rizzo, munita di delega;

Sentito per la Provincia di Padova l’avv. Barbara Silvagni, munita di

delega;

Sentito per la S.r.l. Ferrocemento l’avv. Susanna Corsini, munita di

delega;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto

dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento

del terzo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con sentenza n. 175 del 2001 il Tribunale di Padova condannava la Provincia di Padova e la Scarparo Costruzioni S.p.a. al pagamento in favore di N.A. della somma di Lire 148.995.442 e di N.R. della somma di Lire 99.330.295, a titolo di risarcimento dei danni correlati all’irreversibile trasformazione di un terreno di proprietà del loro dante causa, avvenuta nel gennaio del 1989. Venivano per altro ritenute inapplicabili delle convenzioni preliminari, denominate convegni, con le quali erano stati stabiliti gli importi delle cessioni definitive, successivamente non intervenute.

1.1 – Con una sentenza parziale del 20 giugno 2007 la corte di appello di Venezia, pronunciando sui gravami interposti avverso detta decisione, dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta dalla Soc. Ital. Condotte d’Acqua, nonchè in quanto nuove – alcune domande avanzate dalla Provincia di Padova.

1.2 – Con la decisione definitiva indicata in epigrafe la Corte territoriale ha condannato la Provincia di Padova e la S.p.a. Ferrocemento, succeduta alla Scarparo Costruzioni, al pagamento in favore di N.A. della somma di Euro 40.444,0 a titolo di risarcimento del danno, determinando l’indennità di occupazione legittima in Euro 6.174,66, nonchè, in favore degli eredi di N.R., della somma di Euro 29.962,67 a titolo di risarcimento, determinando l’indennità di occupazione in Euro 4.116,44.

1.3 – A tali statuizioni la corte è pervenuta affermando, sulla base delle risultanze peritali, la natura agricola del terreno, non potendosi condividere le diverse valutazioni del giudice di primo grado fondate sulla c.d. edificabilità di fatto, ed includendo nelle voci di danno la mancata percezione dell’indennità, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 17 in relazione alla qualità di coltivatori diretti dei proprietari, nonchè il deprezzamento dell’area residua.

1.4 – Per la cassazione di tale decisione il sig. N.A. propone ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso la S.r.l. Ferrocemento e la Provincia di Padova.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., il N. si duole dell’omessa pronuncia in relazione alla domanda inerente all’accertamento della data dell’acquisto del diritto di proprietà in capo alla Provincia, previa individuazione dei beni detta stessa acquisiti.

2.1 – La censura è inammissibile.

Il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe statuito in merito alla propria richiesta dì delimitare gli ambiti spaziali e temporali delle vicende relative alla proprietà oggetto dell’occupazione illegittima per cui è processo.

In realtà, tali aspetti, coessenziali alla pronuncia principale di liquidazione del pregiudizio lamentato dal proprietario, sono stati accertati nella sentenza impugnata. Infatti, con riferimento al profilo di ordine cronologico, la Corte di appello ha affermato che “la pretesa di N.A. di postdatare detto momento (di acquisto del diritto di proprietà in capo all’ente pubblico) s’appalesa in parte corretta, poichè il Tribunale ebbe a fissarla al gennaio 1989 – scadenza del periodo di occupazione legittima – mentre in effetti va fissata al dicembre 1989, in difetto di una più precisa indicazione del consulente tecnico” (pag. 15). Quanto, poi, all’estensione dell’area interessata, è stato affermato (pag. 17) che il consulente aveva individuato “in Lire 9.000 – Euro 4,65 il valore del terreno ablato al N. – mq 19.281 – secondo la sua posizione ed effettiva destinazione agricola al 1989 e su tale dato va individuato il ristoro del danno..”.

Vale bene ribadire, in proposito, che la portata di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni finali contenute nella parte dispositiva, ma anche delle enunciazioni riportate nella motivazione, la quale, nelle decisioni di accertamento e di condanna, incide sul momento precettivo della pronuncia tanto da considerarsi integrativa del dispositivo stesso, supplendo, eventualmente, alle lacune di questo in quanto rivelatrice dell’effettiva volontà del giudice (Cass., 21 gennaio 2016, n. 1079; 25 settembre 2015, n. 19074; Cass., 17 luglio 2015, n. 15088).

3 – Con il secondo mezzo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55; della L. n. 2359 del 1865, art. 39; art. 834 c.c., l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente deduce che la liquidazione del pregiudizio non sarebbe stata effettuata sulla base del valore di mercato del fondo.

Il motivo, che presenta profili di inammissibilità, è in ogni caso infondato.

Sotto il primo aspetto va rilevato che i riferimenti, ribaditi anche nella memoria, alla necessità di liquidare il pregiudizio sulla base del valore di mercato del terreno, appaiono pleonastici, dal momento che l’impugnata decisione, emessa dopo la nota pronuncia della Corte costituzionale n. 181 del 2011, ha ben tenuto presente il principio invocato, anche con riferimento alla determinazione dell’indennità di occupazione.

La determinazione, in concreto, del valore di mercato del terreno è questione attinente al merito, laddove il profilo giuridico inerente all’erronea valorizzazione della c.d. edificabilità di fatto, in base al quale la Corte di appello ha riformato in parte la decisione di primo grado, è stato affrontato nella decisione impugnata in termini assolutamente conformi all’orientamento al riguardo espresso da questa Corte (cfr., Cass., 23 maggio 2014, n. 11503; Cass., 22 agosto 2011, n. 17442).

3.1 – Il riferimento, poi, a un maggior valore da attribuirsi a una fascia di terreno, profonda 50 metri e prospiciente la (OMISSIS), che sarebbe suscettibile di utilizzazioni diverse da quelle strettamente agricole, pur sempre compatibili con il carattere di “non edificabilità”, oltre a non trovare rispondenza nella motivazione della decisione impugnata, che ha censurato tale giudizio di maggior valore unicamente perchè – come già rilevato – fondato sulla edificabilità di fatto, appare privo di concreti e testuali riscontri.

In proposito vale bene richiamare il principio secondo cui, in tema di impugnazione per cassazione, ed in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, la parte che alleghi la mancata valutazione delle consulenze tecniche d’ufficio espletate nei gradi di merito, ha l’onere di indicare compiutamente (e, se del caso, trascrivere nel ricorso) gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di consentire alla corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza impugnata che si sia motivatamente dissociata dalle conclusioni peritali, dovendosi, in carenza di detta specificazione, dichiarare il ricorso inammissibile (Cass., 12 febbraio 2014, n. 3224).

4 – La terza doglianza, con la quale si deduce, oltre al vizio motivazionale, violazione degli artt. 1241, 1243 e 2043 c.c., artt. 112 e 345 c.p.c., per aver la Corte di appello disatteso il motivo di gravame con il quale il N. censurava la sentenza di primo grado per aver dedotto dalle somme da versare a titolo risarcitorio gli importi già ricevuti in base a un iniziale accordo, poi non tradotto in un negozio di cessione, non appare condivisibile.

La statuizione in esame, infatti, è conforme all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in caso di crediti originati da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi abbia natura risarcitoria, derivando da inadempimento, è configurabile la cd. compensazione atecnica, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l’accertamento del dare e avere, senza necessità di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono (Cass., 13 agosto 2015, n. 16800; Cass., 29 agosto 2012, n. 14688; Cass., 5 dicembre 2008, n. 28855).

5 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, oltre agli oneri di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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