Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26323 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. III, 17/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 17/10/2019), n.26323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9885/2016 R.G. proposto da:

I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via

Cesare Beccaria, n. 29, presso la sede dell’Avvocatura dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonietta Coretti,

Vincenzo Stumpo e Vincenzo Triolo;

– ricorrente –

contro

T.A., rappresentata e difesa da sè medesima ed

elettivamente domiciliata in Roma, via Rodi, n. 32, presso lo studio

dell’avvocato Giuseppina Bonito;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 439 del Tribunale di Foggia, depositata il 10

febbraio 2016;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Dott. Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie depositate ai sensi

dell’art. 380-bis-1 c.p.c..

Fatto

RITENUTO

T.A. procedeva ad espropriazione presso terzi nei confronti dell’I.N.P.S. per il recupero dell’imposta di registro dalla stessa corrisposta in relazione ad una precedente ordinanza di assegnazione pronunciata a suo favore, quale difensore distrattario.

L’I.N.P.S si opponeva a detta esecuzione.

Il giudice dell’esecuzione pronunciava l’assegnazione le somme.

Contro tale ordinanza la T. proponeva opposizione agli atti esecutivi, nella parte in cui aveva decurtato di due terzi l’imposta di registro oggetto dell’esecuzione intrapresa. Il giudice dell’esecuzione fissava la comparizione delle parti innanzi a sè e successivamente, rilevato che non vi erano da assumere provvedimenti urgenti, si limitava ad assegnare alle parti il termine di sessanta giorni per introdurre il giudizio nel merito.

La T. introduceva il giudizio con ricorso, depositato in cancelleria nel rispetto del termine assegnatole, ma notificato, unitamente al pedissequo decreto di comparizione delle parti, oltre la scadenza.

Il Tribunale di Foggia, decidendo nel merito, accoglieva l’opposizione e condannava l’I.N.P.S. al pagamento di quanto richiesto dalla T., nonchè delle spese di giudizio.

Contro tale decisione l’I.N.P.S. ha proposto ricorso, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, con cinque motivi illustrati da successive memorie.

La T. ha depositato una memoria di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità della costituzione della T. nel presente giudizio a mezzo di una sola memoria difensiva non notificata. Infatti, l’unica forma rituale di esercizio dell’attività difensiva nel giudizio di legittimità è quella prevista dall’art. 370 c.p.c.

Con il primo motivo, l’INPS lamenta la violazione degli artt. 93,409,617,618 e 618-bis c.p.c. In particolare, secondo il ricorrente, la T. avrebbe dovuto introdurre il giudizio di merito di cui all’art. 618 c.p.c., comma 2, con atto di citazione, anzichè con ricorso, trattandosi di credito di natura ordinaria. Di conseguenza, il mero deposito in cancelleria del ricorso non sarebbe stato sufficiente a far salva l’osservanza del termine fissato dal giudice per l’introduzione del giudizio.

Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il credito azionato in executivis dal difensore distrattario delle spese di lite, ancorchè consacrato in un provvedimento del giudice del lavoro, non condivide la natura dell’eventuale credito fatto valere in giudizio, cui semplicemente accede, ma ha natura ordinaria, corrispondendo ad un diritto autonomo del difensore, che sorge direttamente in suo favore e nei confronti della parte dichiarata soccombente; conseguentemente, con riferimento al detto credito, non opera la competenza per materia del giudice del lavoro, prevista dall’art. 618-bis c.p.c., nè si applica il relativo rito (Cass. n. 24691/2010; Cass. n. 17134/2005; Cass. n. 11804/2007).

Ciò posto, a norma dell’art. 618 c.p.c., comma 2, l’introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione deve avvenire, analogamente a quanto previsto dall’art. 616 c.p.c., con la forma dell’atto introduttivo richiesta nel rito con cui l’opposizione deve essere trattata, quanto alla fase di cognizione piena; pertanto, se la causa è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione, da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice (Cass. n. 19264/2012; Cass. n. 1152/2011).

Avendo invece l’opponente introdotto il giudizio con ricorso anzichè con citazione, per rispettare il termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione, avrebbe dovuto entro tale termine non solo depositare il ricorso, ma anche notificarlo.

Tale adempimento non è stato tempestivamente curato, sicchè il Tribunale adito in sede di merito avrebbe dovuto rilevare il mancato rispetto del termine perentorio di cui all’art. 618 c.p.c., dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi.

All’accoglimento del primo motivo segue assorbimento degli altri.

La sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile, decidere nel merito – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, dichiarando inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla T..

Quest’ultima va condannata al pagamento delle spese processuali, secondo il principio della soccombenza.

Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 3. Infatti, le difese della controricorrente risultano proposte con colpa grave, alla luce dei numerosi precedenti di questa Corte aventi ad oggetto identiche fattispecie tra le medesime parti. Appare equo contenere tale condanna in misura di importo pari a quello liquidato per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dall’intimata T.A..

Condanna l’intimata al pagamento in favore dell’INPS delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 630,00, e al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Condanna la controricorrente T.A. al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., della somma di Euro 2.500,00, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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