Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2632 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 9573-2016 proposto da:

L.D., rappresentato e difeso dagli Avvocati Cristiano

Ferrari, e Francesco Luigi Braschi, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli, n. 180;

– ricorrente –

contro

F.P., nella qualità di erede con beneficio di

inventario di F.E., rappresentata e difesa dagli

Avvocati Alberto Bertoi, e Antonio Campagnola, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Lutezia, n. 8;

– controricorrente –

e contro

V.M.G., rappresenta e difesa dall’Avvocato Mariano

Albanese;

– controricorrente –

e sul ricorso incidentale proposto da:

F.P., nella qualità di erede con beneficio di

inventario di F.E., rappresentata e difesa dagli

Avvocati Alberto Bertoi e Antonio Campagnola, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Lutezia, n. 8;

– ricorrente in via incidentale –

contro

L.D.;

– intimato –

e nei confronti di

V.M.G.;

– intimata –

nonchè sul ricorso proposto da:

V.M.G., rappresenta e difesa dall’Avvocato Mariano

Albanese;

– ricorrente in via incidentale –

contro

L.D.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

175/2016 pubblicata il 1 febbraio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 novembre 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Dalla sentenza impugnata risulta che con atto di citazione notificato il 14 ottobre 1993, L.D. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Parma F.E., chiedendo che l’adito Tribunale dichiarasse il convenuto inadempiente rispetto agli obblighi assunti con la scrittura in data 1 dicembre 1989 ed emettesse sentenza che, oltre ad altre condanne, trasferisse in capo all’attore, con pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., l’appartamento sito in (OMISSIS) (pervenuto al F. per assegnazione in data 9 aprile 1991 rep. 1007 del Tribunale di Parma) nonchè l’autoveicolo Toyota targato (OMISSIS).

Esponeva l’attore di avere stipulato un patto paraconcordatario con il convenuto, in base al quale il F., assuntore e cessionario dell’attivo, avrebbe restituito l’appartamento del L. non appena terminata la costruzione di sei villette in (OMISSIS) e pagato quant’altro dovuto.

Il F. si costituiva in giudizio eccependo l’inadempimento dell’attore alle obbligazioni di cui alla scrittura in data 1 dicembre 1989 e domandando, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto e la condanna del L. al pagamento di varie somme.

Con successivo atto di citazione notificato il 4 novembre 1993, L.D. conveniva in giudizio F.E. e V.M.G. deducendo che nella primavera-estate del 1993 il F. aveva intestato alla V. l’appartamento sito in (OMISSIS), e chiedendo che l’adito Tribunale dichiarasse la nullità, ovvero la simulazione o, in subordine, la revocatoria della vendita ex art. 2901 c.c., con condanna in ogni caso del F. alla rifusione del valore dell’immobile, oltre ad interessi e rivalutazione.

In quest’ultimo giudizio si costituivano entrambi i convenuti e il F. avanzava anche domanda riconvenzionale.

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Parma, con sentenza n. 10058 del 25 marzo 2004, rigettava la domanda di risoluzione del patto paraconcordatario del 1 dicembre 1989 posto a base delle controversie, condannava il F. a restituire Lire 89.158.000 per due crediti riscossi e compresi nel patto e, rigettate le altre domande relative alla vendita dell’immobile di (OMISSIS), accoglieva la domanda di condanna del F. a corrispondere al L. il controvalore dell’immobile, indicando quest’ultimo in Lire 87.500.000, pari al prezzo risultante nel rogito di compravendita; in relazione al fuoristrada Toyota, dopo avere rilevato che l’attore in sede di conclusioni non ne rivendicava la proprietà, ma il solo diritto esclusivo di godimento, accoglieva la minore domanda.

2. – In seguito a rituali e separati appelli proposti dal F., che lamentava la totale erroneità della decisione del primo giudice, e dal L., che chiedeva la dichiarazione di nullità o simulazione o la revocatoria della vendita dell’immobile di (OMISSIS) nonchè la condanna del F. a restituire alcuni beni mobili, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1018 del 7 settembre 2009, riuniti i gravami, accogliendo parzialmente l’appello proposto dal F., riformava la sentenza di primo grado nella statuizione concernente l’autoveicolo Toyota, mentre rigettava tutte le doglianze proposte dal L., condannando quest’ultimo a rifondere le spese relative al giudizio di appello, in ragione di un terzo in favore del F., e per l’intero quanto alla V..

2.1. – A sostegno della adottata pronuncia, la Corte distrettuale evidenziava che la doglianza dell’appellante F. relativa all’anticipazione dei costi per l’ultimazione di villette a schiera commissionate al L., quali spese ulteriori rispetto a Lire 200.000.000 (che doveva versare all’appellato in base alla convenzione richiamata per l’esecuzione delle opere a stati di avanzamento), fosse infondata in quanto documentalmente dimostrato, anche dal riscontro delle prove testimoniali, che le somme riportate nelle fatture prodotte dal F. (non interamente compatibili con la convenzione azionata) fossero da riferire a varianti sia di opere sia di materiali ovvero ad opere per altri interventi, per cui non vi era prova dell’inadempimento del L. a fronte della dichiarazione confessoria rilasciata dal F. al Comune di Noceto.

Per le medesime considerazioni era da rigettare il motivo relativo al versamento al L. della somma di lire 87.500.000, corrispondente all’equivalente economico dell’appartamento di (OMISSIS), in mancanza di dichiarazione di risoluzione della convenzione per inadempimento del L..

Del pari, l’assenza di pronuncia di inadempimento dell’appellato comportava anche l’infondatezza della censura del F. quanto ai pretesi crediti riscossi per Lire 60.000.000 dalle ditte Ca. e Sefim e di tutti gli altri crediti esposti per almeno Euro 222.234,25, in quanto domande che presupponevano la risoluzione del patto paraconcordatario.

Di converso, la doglianza relativa alla restituzione della Toyota andava accolta, avendo il L. in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado mutato la domanda, chiedendo il riconoscimento del minore diritto del godimento del bene, che doveva ritenersi diversa e nuova rispetto a quella originariamente proposta, senza che la controparte avesse accettato il contraddittorio, per cui andava dichiarata inammissibile, con conseguenti effetti restitutori.

Aggiungeva che andava ritenuta l’inammissibilità delle doglianze contenute in comparsa conclusionale in ordine alla non validità del patto paraconcordatario, perchè non contenute in un motivo di gravame ritualmente formulato in sede di appello.

Quanto all’appello incidentale del L., la Corte di Bologna, nel ritenerne la totale infondatezza, osservava che gli elementi richiamati con riferimento all’immobile di (OMISSIS) erano insufficienti a dimostrare la sua domanda, mentre le ulteriori doglianze (domanda restituzione dei mobili ed attrezzature di ufficio, dei terreni posti nei Comuni di Terenzo e finitimi, risarcimento dei danni per assoggettamento a sequestro della Toyota) erano inammissibili perchè non evidenziavano contestazioni motivate alla decisione impugnata, ma mere riproposizioni delle domande.

La domanda di condanna al risarcimento di Euro 208.132,13 contenuta nella comparsa conclusionale era inammissibile perchè formulata per la prima volta.

3. – Avverso l’indicata sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione il L., articolato sulla base di quattro motivi. Resisteva con controricorso la V., mentre il F. rimaneva intimato.

3.1. – I quattro motivi erano del seguente tenore.

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 2901 c.c., degli artt. 112 e 116c.p.c. e dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), lamentava che i giudici del merito avessero ritenuto infondata la rivendicazione di un immobile nei confronti della terza acquirente rispetto ad un bene pervenuto al venditore tramite atto di assegnazione del Tribunale, e ciò senza tenere conto, ai fini dell’azione revocatoria, che può essere provata per presunzioni, la stretta coincidenza temporale tra la citazione e l’alienazione alla V.. Inoltre, dalle prove testimoniali assunte emergeva la prova della consapevolezza nei coniugi C.- V. del pregiudizio che gli sarebbe derivato dalla vendita a terzi dell’immobile da parte de F.. Veniva, inoltre, criticata la determinazione del prezzo dell’immobile ben al di sotto del valore di mercato, altro elemento da cui desumere la scientia damni.

Il secondo mezzo, con la denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, riproponeva le stesse circostanze di cui al primo motivo.

Con il quarto mezzo, definito nella rubrica “Integrazione del secondo motivo”, il ricorrente produceva documenti, che riteneva particolarmente pregnanti a dimostrazione del consilium fraudis e che attenevano al diverso giudizio instaurato fra il F. e la V. avente ad oggetto lo stesso immobile.

Con il terzo mezzo veniva denunciata la violazione dell’art. 832 c.c. e art. 112 c.p.c. con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di restituzione dell’autoveicolo Toyota, in quanto il diritto di godimento di un bene costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà su di esso ovvero un diritto equipollente. In ogni caso, la domanda di godimento del bene andava ritenuta ricompresa nella originaria domanda di trasferimento del bene, come un petitum inferiore.

4. – Con sentenza n. 6129/12 del 19 aprile 2012, la Corte di cassazione accoglieva il ricorso del L., cassava l’impugnata sentenza e rinviava, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.

5. – Riassunto il giudizio ad iniziativa del L., la Corte d’appello di Bologna, in sede di rinvio, con sentenza n. 175/2016 resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 1 febbraio 2016, in parziale riforma della pronuncia n. 10058/2004 emessa dal Tribunale di Parma, ha così provveduto:

– ha dichiarato inefficace ex art. 2901 c.c. nei confronti del L. l’atto di compravendita in data 27 settembre 1993 rep. 50795 a ministero del notaio D.T.;

– ha rigettato la domanda avanzata dal L. in relazione al veicolo Toyota targato (OMISSIS);

– ha liquidato le spese sostenute dal L. per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 9.500, oltre ad accessori di legge, e, dichiarate dette spese compensate tra le parti in ragione del 50%, ha condannato il F. e la V., in via solidale, a rifondere il restante 50% con pagamento in favore dell’avvocato Cristiano Ferrari, dichiaratosi antistatario;

– ha confermato nel resto la sentenza n. 10058/2004 emessa dal Tribunale di Parma;

– ha liquidato le spese sostenute dal L. per il giudizio di secondo grado in complessivi Euro 7.000, oltre ad accessori di legge, e, dichiarate dette spese compensate tra le parti in ragione del 50%, ha condannato il F. e la V., in via solidale, a rifondere il restante 50% con pagamento in favore dell’avvocato Cristiano Ferrari, dichiaratosi antistatario;

– ha liquidato le spese sostenute dal L. per il giudizio avanti alla Corte di cassazione in complessivi Euro 4.500, oltre ad accessori di legge, e, dichiarate dette spese compensate tra le parti in ragione del 50%, ha condannato il F. e la V., in via solidale, a rifondere il restante 50% con pagamento in favore dell’avvocato Cristiano Ferrari, dichiaratosi antistatario;

– ha liquidato le spese sostenute dal L. per il giudizio di rinvio in complessivi Euro 6.000, oltre ad accessori di legge, e, dichiarate dette spese compensate tra le parti in ragione del 50%, ha condannato il F. e la V., in via solidale, a rifondere il restante 50% con pagamento in favore dell’avvocato Cristiano Ferrari, dichiaratosi antistatario;

– ha condannato la V. a restituire al L. quanto eventualmente da quest’ultimo pagatole in esecuzione della sentenza n. 1018/2009 emessa dalla Corte d’appello di Bologna, oltre ad interessi legali dal pagamento al saldo.

6. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna, resa in sede di rinvio, L.D. ha proposto ricorso, con atto notificato in data 8 e 11 aprile 2016, sulla base di sei motivi. Hanno resistito, con separati atti di controricorso, F.P., nella qualità di erede beneficiato del padre F.E., e V.M.G., proponendo, ciascuna, ricorso incidentale, affidato, rispettivamente, a uno e a tre motivi.

7. – La causa è stata avviata alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

8. – In prossimità dell’adunanza camerale la controricorrente e ricorrente incidentale F.P. ha depositato una memoria illustrativa e documenti. Il deposito di questi ultimi è stato notificato mediante elenco alle altre parti.

Anche la controricorrente e ricorrente incidentale V.M.G. ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, devono essere dichiarati inammissibili i documenti depositati ex art. 372 c.p.c., comma 2, dalla controricorrente e ricorrente incidentale F.P..

Tali documenti mirano a dimostrare, secondo la prospettazione della difesa della F., che il L. avrebbe già ottenuto ed incassato la somma pari al valore venale dell’appartamento sito in (OMISSIS), e cioè del bene di cui il ricorrente in via principale ha chiesto il trasferimento o la restituzione attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria. In particolare – deduce la controricorrente e ricorrente in via incidentale – il Tribunale di Parma, con la sentenza n. 10058 del 2004, ha accolto la domanda subordinata del L. di rifusione del valore dell’immobile e condannato il F. a versare al L. la somma di Euro 91.048,76, comprensiva del prezzo indicato nel rogito 27 settembre 1993 F.- V. (pari ad allora Lire 87.500.000) oggetto dell’azione revocatoria. La somma pari al prezzo indicato nel rogito unitamente ad altre, aventi diversa causale, per un totale capitale di Euro 91.048,76, è stata – si sostiene – integralmente incassata dal L..

Tali documenti consistono:

– nella nota di iscrizione di ipoteca giudiziale sugli immobili di proprietà F. siti in (OMISSIS) in forza della sentenza n. 10058 del 2004 del Tribunale di Parma (doc. 5);

nella istanza di riduzione del pignoramento e di conversione del medesimo nella procedura esecutiva proseguita su impulso del solo L. (doc. 6 e doc. 7);

nel provvedimento con cui, all’udienza del 21 novembre 2006, il giudice dell’esecuzione riduceva il pignoramento al solo immobile censito a NCEU di (OMISSIS) al foglio (OMISSIS), ordinando al conservatore dei registri immobiliari di Reggio Emilia di procedere alla cancellazione del pignoramento relativamente agli altri beni (doc. 8);

nel provvedimento del 23 gennaio 2007 del giudice dell’esecuzione con cui, in accoglimento dell’istanza di conversione del pignoramento presentata dal F., veniva ammessa la richiesta sostituzione della somma di denaro agli immobili pignorati, concedendosi una rateizzazione di 18 mesi e sospendendosi la procedura sino all’udienza dell’8 luglio 2008 (doc. 9);

nella prova della effettuazione dei regolari versamenti (doc. 10); nel provvedimento, infine, del giudice dell’esecuzione in data 23 settembre 2008 che dichiara esaurita la procedura e ordina la cancellazione del pignoramento (doc. 11).

Ora, va senz’altro richiamato il principio secondo cui la titolarità di un diritto di credito, anche eventuale, costituisce condizione dell’azione revocatoria sotto il profilo della legitimatio ad causam dell’attore: da esso discende che il sopravvenuto, in corso di causa, integrale pagamento di quanto dovuto dal debitore determina il venir meno dell’interesse all’azione revocatoria, non sussistendo più l’esigenza di dichiarare, a garanzia del credito, questo risultando ormai estinto, l’inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio. E poichè gli indicati elementi del rapporto processuale (legitimatio ad causam ed interesse ad agire dell’attore) devono permanere sino al momento della decisione definitiva, il sopravvenuto difetto degli stessi deve essere rilevato anche in sede di legittimità, e comporta, indipendentemente dall’originaria fondatezza o meno della domanda, il rigetto nel merito della domanda stessa, in questo senso potendo provvedere la stessa Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, allorchè non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Cass., Sez. II, 4 novembre 2004, n. 21100).

A questo principio ha dato continuità Cass., Sez. VI-3, 30 giugno 2020, n. 12975, in un caso nel quale, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, era sopravvenuta la sentenza penale della Corte d’appello che, pronunciando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, aveva assolto l’imputato dal reato ascrittogli, perchè il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili relative al credito per il quale era stata proposta azione revocatoria.

Sennonchè, occorre considerare che, per costante giurisprudenza, se dopo la notifica del ricorso per cassazione è consentita, a norma dell’art. 372 c.p.c., la produzione di un documento dal quale risulti la sopraggiunta carenza d’interesse all’impugnazione, tale principio non può trovare applicazione allorquando l’atto poteva e doveva essere prodotto nella fase di merito, perchè anteriore alla conclusione della stessa (Cass., Sez. II, 28 agosto 2002, n. 12607; Cass., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21596; Cass., Sez. Lav., 7 dicembre 2017, n. 29439).

Nella specie, i documenti depositati in questa sede sono, tutti, anteriori alla conclusione della fase di merito. L’ultimo e più recente documento risale, infatti, al 23 settembre 2008: reca una data, dunque, di gran lunga anteriore a quella dello svolgimento del primo giudizio di cassazione (promosso nel 2010, essendo stato il relativo ricorso iscritto al NRG 7398 del 2010) e alla conclusione, dinanzi alla Corte d’appello di Bologna, del giudizio di rinvio (nel quale le conclusioni sono state assunte dai difensori delle parti nell’udienza del 28 aprile 2015 e la sentenza è stata pubblicata il 1 febbraio 2016).

L’anteriorità dei documenti alla conclusione della fase di merito preclude il loro deposito in questa sede.

2. – Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dalla controricorrente F. sul rilievo che il ricorrente L. non avrebbe esposto, nemmeno in modo sommario, i fatti e le vicende processuali da cui origina il giudizio, con ciò non ottemperando alla specifica prescrizione dettata dall’art. 366 c.p.c., n. 3).

2.1. – L’eccezione è fondata.

Il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3 postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (Cass., Sez. I, 28 febbraio 2C)06, n. 4403). L’esposizione sommaria dei fatti deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata. La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3), è necessario che il ricorso per cassazione contenga l’indicazione sommaria, come prescrive la norma, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata (Cass., Sez. VI-3, 17 novembre 2020, n. 26063).

Il ricorso proposto da L.D. non soddisfa il requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

Nelle pagine 2, 3 e (prime tre righe della) 4, che precedono l’illustrazione dei motivi, si riporta, infatti, soltanto il dispositivo della sentenza della Corte d’appello di Bologna in data 1 febbraio 2016 “che ha rigettato gran parte delle istanze formulate dal ricorrente” a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 6129/12 che aveva cassato con rinvio la sentenza della Corte felsinea n. 1018 depositata il 7 settembre 2009.

In tale parte iniziale, manca la descrizione dei fatti che hanno ingenerato la controversia, della posizione delle parti e delle difese spiegate in giudizio dalle stesse; difetta l’indicazione delle statuizioni adottate dai giudici nel primo grado, in appello e dell’ambito del precedente giudizio di cassazione; non viene riportata la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Nè gli elementi indispensabili per una precisa e chiara cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni che vi hanno assunto le parti si traggono agevolmente dalla illustrazione delle censure nelle quali si articola il ricorso, sicchè non è possibile ricostruire, a ritroso, come si sia svolto il processo cui ha messo capo la pronuncia oggi impugnata.

Il ricorso nel suo complesso fornisce soltanto un’idea approssimativa, lacunosa e disorganica dei fatti di causa e non mette di conseguenza questa Corte in condizione di comprenderne lo sviluppo.

Infatti:

il primo motivo di ricorso (I lettera A, esposto a pag. 4) denuncia genericamente la violazione delle norme che attribuiscono al giudizio di rinvio funzione prosecutoria e prospetta il vincolo che deriva per il giudice del rinvio quando la sentenza sia annullata per i concorrenti motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ma non si dà cura di indicare quale sia il principio di diritto affermato in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati dalla sentenza cassata;

il secondo motivo (I lettera B, illustrato a pag. 5 e 6) non indica le censure che sarebbero state svolte con il ricorso per cassazione proposto nel 2010 in relazione alla statuizione resa sulla domanda di risarcimento dei danni, a fronte di una pronuncia della Corte d’appello che “con la sentenza rescissa ha respinto la richiesta di rifusione dei danni perchè sarebbe stata inoltrata soltanto in sede di precisazione delle conclusioni”;

dal terzo motivo (I lettera C, pag. 6 e prime due righe di pag. 7), concernente la mancata pronuncia sulla “restituzione in pristino a favore dell’appellante dell’intestazione della casa revocata”, non si desumono le ragioni della decisione impugnata con riguardo alla richiesta “principale di restituzione e trasferimento del bene a sè stesso”, essendovi solo un fugace accenno alla “asserzione che L.D. ha corredato la propria richiesta ex art. 2901 c.c. con quella principale di restituzione e trasferimento del bene a sè stesso”;

nel quarto motivo (I lettera D, pag. 7), relativamente all’autovettura Toyota, non si dà conto della ratio decidendi della sentenza impugnata e non si riferiscono i termini dello svolgimento del processo in relazione alla domanda riguardante detto automezzo;

il quinto motivo (I lettera E, pag. 7), sulle spese, è generico e non sufficiente a descrivere le ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le rispettive ragioni delle parti nel giudizio di merito; dal sesto motivo (II, pagg. 8 e 9), sull’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio come oggetto di discussione, non si traggono elementi per individuare con sufficiente compiutezza, in relazione allo svolgimento del processo e alla posizione che vi hanno assunto le parti, “tutte le domande proposte” che il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare “una ad una”. Nello stesso motivo, inoltre, con riguardo all’autoveicolo Toyota, si dice che “nella citazione introduttiva l’attore aveva rivendicato in testa propria l’autovettura Toyota” (così a pag. 8 del ricorso) laddove nella sentenza rescindente della Corte di cassazione n. 6129 del 2012 si parla, al riguardo, di “originaria domanda ex art. 2932 c.c.” (così a pag. 8 della sentenza).

Deve, pertanto, affermarsi che, nel giudizio di legittimità, il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dal numero 3) dell’art. 366 c.p.c., non è soddisfatto ove tale esposizione, non costituente premessa e parte a sè stante del ricorso, neppure risulti in maniera chiara e precisa dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi.

Un ricorso per cassazione può dirsi che assolva correttamente l’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 3), quando esponga in ordine cronologico e in modo chiaro i fatti di causa. Coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l’imprescindibile presupposto perchè un ricorso possa essere esaminato e deciso (Cass., Sez. VI-3, 28 maggio 2020, n. 9996; Cass., Sez. III, 5 novembre 2020, n. 24697).

Nella specie i motivi del ricorso accennano al “fatto”, sostanziale e processuale, in modo soltanto frammentario e generico, sicchè dalla lettura delle censure svolte non è possibile desumere una sufficiente conoscenza dei fatti della causa.

3. – In ogni caso, anche ove – a prescindere da tale rilievo preliminare, di per sè assorbente – si scendesse all’esame del fondo dei sei motivi in cui si articola il ricorso principale del L., esso non condurrebbe all’accoglimento delle censure proposte.

Si osserva, infatti, al riguardo quanto segue.

4. – Con il primo motivo del ricorso principale (pagina 4; lettera A) si censura la violazione degli artt. 392 e 394 c.p.c. che attribuiscono al giudizio di rinvio funzione prosecutoria. Osserva il ricorrente che per la instaurazione del giudizio di rinvio non è indispensabile ripetere il testo dell’appello: basta la volontà espressamente manifestata di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo. Sottolinea inoltre il ricorrente che quando la sentenza sia stata annullata per i concorrenti motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il giudice del rinvio è “vincolato al principio di diritto affermato in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati dalla sentenza cassata”.

4.1. – Il motivo è generico nella sua prospettazione e, comunque, complessivamente infondato.

E’, innanzitutto, generico perchè la censura con esso articolata – al di là della sottolineatura della funzione prosecutoria assegnata dal codice di rito al giudizio di rinvio e della indicazione del vincolo derivante al giudice del rinvio dal principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati dalla sentenza cassata – non si appunta espressamente contro un preciso capo o una ben individuata statuizione della sentenza impugnata, finendo così per rappresentare una mera premessa metodologica sull’ambito e sui limiti del giudizio di rinvio.

In ogni caso, anche a ritenere che il L. abbia inteso denunciare il passaggio in cui la Corte di Bologna (nella settima, ottava e nona pagina della sentenza) ha affermato che se la Corte di cassazione ha annullato soltanto parzialmente la sentenza, il rinvio ha per oggetto quella sola parte della controversia per la quale ha avuto luogo l’annullamento, facendone derivare che oggetto del giudizio di rinvio è, nella specie, unicamente il riesame della domanda revocatoria della compravendita dell’immobile di (OMISSIS), e della domanda avente ad oggetto il veicolo Toyota sulla scorta dei motivi di appello a suo tempo proposti dal L.; anche a ritenere ciò, il motivo sarebbe infondato.

Preme, infatti, rilevare che con il primo ricorso per cassazione – in accoglimento del quale questa Corte, con la sentenza n. 6129 del 2012, ha cassato la sentenza della Corte bolognese del 7 settembre 2009 – il L. si era doluto, per un verso, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, che fosse stata rigettata l’azione revocatoria dell’atto di compravendita stipulato il 27 settembre 1993, e si era lamentato, per altro verso, prospettando la violazione dell’art. 832 c.c. e art. 112 c.p.c., che fosse stata dichiarata inammissibile la domanda di restituzione dell’autoveicolo.

Nessuna doglianza è stata articolata, con detto originario ricorso, avverso le statuizioni con cui la Corte d’appello aveva confermato il rigetto della domanda di nullità e di simulazione della vendita dell’immobile e aveva dichiarato inammissibili le ulteriori doglianze (la domanda di restituzione dei mobili ed attrezzature di ufficio, dei terreni posti nei Comuni di Terenzo e finitimi, di risarcimento dei danni per assoggettamento a sequestro della Toyota, della domanda di risarcimento dei danni in Euro 208.132,13).

Avendo questa Corte di cassazione, con la richiamata sentenza n. 6129 del 2012, cassato la sentenza dei giudici di appello limitatamente ai capi relativi alla revocatoria della compravendita e alla restituzione del veicolo Toyota, il giudice del rinvio è stato investito di un “nuovo esame sui punti censurati” (così la sentenza di questa Corte, a pag. 8, nel penultimo rigo prima del dispositivo).

Va, infatti, data continuità al principio di diritto secondo cui, poichè il giudizio di rinvio è a cognizione limitata,, in quanto il thema decidendum è predeterminato nella precedente fase del processo nell’ambito dei capi della sentenza cassati o da essi dipendenti, il giudice di rinvio non può conoscere di una domanda che, pur non essendo nuova, non sia stata oggetto del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Lav., 3 aprile 2006, n. 7761).

5. – Il secondo mezzo (pag. 5 e 6 del ricorso, lettera B) prospetta la violazione degli artt. 2043 c.c. e ss., perchè la Corte d’appello non avrebbe “preso in considerazione la domanda di risarcimento dei danni subiti da L.D., dopo un processo durato ventitrè anni, che ha assorbito tutte le facoltà, le energie e le capacità psichiche del ricorrente”. Deduce il L. che non può ritenersi nuova la domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati anche da un’irragionevole durata del processo. Sottolinea inoltre che “nel caso di specie la Corte d’appello di Bologna che con la sentenza rescissa ha respinto la richiesta di rifusione dei danni perchè sarebbe stata inoltrata soltanto in sede di precisazione delle conclusioni, non si è accorta di essere caduta in macroscopica svista”, giacchè “la somma era stata richiesta nella causa introduttiva dell’appello di L. (definito incidentale) in data 20 giugno 2004, notificata il 23 e il 24 giugno 2004”.

5.1. – Il motivo è infondato.

La doglianza articolata concerne la mancata presa in considerazione, da parte del giudice del rinvio, della domanda risarcitoria da irragionevole durata del processo, da lungaggini processuali e dalla sottrazione dei beni alla disponibilità del L.: richiesta risarcitoria che era stata già avanzata “nella causa introduttiva dell’appello di L. (definito incidentale) in data 20 giugno 2004 notificata il 23 e il 24 giugno 2004” e che erroneamente, cadendo in una “macroscopica svista”, la Corte d’appello di Bologna, “con la sentenza rescissa”, ha respinto, rilevando che tale richiesta “sarebbe stata inoltrata soltanto in sede di precisazione delle conclusioni”.

Va rilevato che con la sentenza in data 7 settembre 2009 la Corte d’appello di Bologna, nel respingere l’appello incidentale del L., ha così motivato (a pag. 12) con riguardo alla domanda risarcitoria: “La domanda di condanna al risarcimento dei danni in Euro 208.132,13 contenuta in sede di precisazione delle conclusioni, infine, oltre che inammissibile in quanto non contenuta nella memoria iniziale, è assolutamente apodittica ed immotivata”.

Tanto premesso, è irrilevante che il L. abbia formulato nuovamente, con l’atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c. dinanzi alla Corte di Bologna, la domanda risarcitoria, essendo dirimente osservare che il medesimo, con il precedente ricorso per cassazione, non ha impugnato il capo della sentenza d’appello in data 7 settembre 2009 che ha negato ingresso alla domanda risarcitoria.

Correttamente, pertanto, il giudice del rinvio ha affermato che le statuizioni riguardanti tutte le altre domande, compresa quella risarcitoria, proposte dal L. – diverse dalla domanda revocatoria della compravendita dell’immobile e dalla domanda avente ad oggetto il veicolo Toyota – sono ormai passate in giudicato, sicchè non ne è consentito il riesame.

6. – Con il terzo motivo (illustrato a pag. 6 e nelle prime due righe di pag. 7, sotto la lettera C) il ricorrente in via principale denuncia la violazione dell’art. 277 c.p.c., per non essersi la sentenza “pronunciata completamente su tutte le domande tralasciando esplicitamente quella concernente la restituzione in pristino a favore dell’appellante dell’intestazione della casa revocata”.

6.1. – Il motivo è infondato.

L’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore (Cass., Sez. III, 25 maggio 2017, n. 13172; Cass., Sez. VI-3, 19 giugno 2017, n. 15096). La sentenza di revoca ha come effetto di rendere inefficace, nei soli confronti del creditore che ha agito, l’atto di disposizione, con la conseguenza che, in caso di inadempimento, il creditore potrà agire con l’azione esecutiva per equivalente, anche nei confronti del bene entrato nel patrimonio del terzo: l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., dunque, non ha effetto restitutorio, essendo l’atto di disposizione valido ed efficace erga omnes, con l’unica eccezione del creditore che agisce in giudizio (Cass., Sez. II, 14 giugno 2007, n. 13972; Cass., Sez. III, 15 febbraio 2011, n. 3676; Cass., Sez. III, 16 novembre 2020, n. 25862). Come hanno recentemente ribadito le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 24 giugno 2020, n. 12476), l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostruire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, che si prospetti compromessa dall’atto di disposizione da questo posto in essere; sicchè, in caso di esito vittorioso, essa non travolge l’atto impugnato, con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene al patrimonio del debitore, ma determina l’inefficacia dell’atto medesimo nei confronti del solo creditore vittorioso, al fine di consentirgli di aggredire il bene con l’azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, nell’accogliere l’azione revocatoria, ha tuttavia escluso che da ciò derivi un effetto restitutorio o di trasferimento del bene in favore del creditore procedente, essendo siffatto effetto estraneo alla natura ed alla funzione dell’azione ex art. 2901 c.c., che non comporta l’invalidità dell’atto di disposizione sul bene e il rientro di questo nel patrimonio del debitore alienante, bensì l’inefficacia dell’atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla, con conseguente possibilità per quest’ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quel bene contro il terzo acquirente, pur divenuto validamente proprietario.

7. – Il quarto motivo del ricorso principale (violazione e falsa applicazione dell’art. 832 c.c. e art. 394 c.p.c.) si riferisce (pag. 7, lettera D) al veicolo Toyota “che la scrittura concordataria e il giudice di primo grado hanno attribuito al L.”. Osserva il ricorrente che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 6129/12, dichiarava che nel caso concreto l’accertamento del diritto di godimento dell’automezzo riguardava non solo l’ampiezza del diritto dominicale invocata, ma anche la trasformazione dell’originaria domanda ex art. 2932 c.c. in quella di accertamento di un diritto reale del quale si postulava già la titolarità in capo all’attore. La Corte di rinvio – lamenta il ricorrente non solo non avrebbe tenuto conto di queste ben precise indicazioni, ma se ne sarebbe allontanata “senza richiamare ragionevoli motivi”.

7.1. – Allo scrutinio del motivo occorre premettere quanto segue.

Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, promosso con atto di citazione notificato il 14 ottobre 1993, il L. ha dedotto che, in ragione del patto paraconcordatario allegato a causa petendi, il F. avrebbe dovuto cedergli i diritti esclusivi di godimento sul fuoristrada Toyota e, correlativamente, ha chiesto l’emissione di una sentenza “costitutiva per il trasferimento in favore e in testa dell’attore… dell’autoveicolo targato (OMISSIS) Fabbr. Toyota”.

All’udienza del 17 settembre 2003 il L., nel rassegnare le proprie conclusioni, ha chiesto al Tribunale di Parma di dichiarare il F. tenuto a restituirgli “il diritto esclusivo di godimento del fuoristrada Toyota”.

Il Tribunale adito, con la sentenza in data 24 marzo 2004, dopo avere rilevato che l’attore in sede di conclusioni non rivendicava più la proprietà del mezzo, ma il solo diritto esclusivo di godimento, ha accolto la minore domanda.

La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza depositata il 7 settembre 2009, ha accolto la doglianza dell’appellante principale F., rilevando che il L., in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, aveva mutato la domanda, chiedendo il minore diritto di riconoscimento del godimento del bene, che doveva ritenersi diversa e nuova rispetto a quella originariamente proposta, senza che la controparte avesse accettato il contraddittorio, per cui andava dichiarata inammissibile, con conseguenti effetti restitutori.

Il L. ha proposto ricorso per cassazione (iscritto al NRG 7398 del 2010) avverso questa statuizione contenuta nella sentenza della Corte bolognese del settembre 2009.

Nello specifico, in riferimento alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di restituzione dell’autoveicolo Toyota, il L., con il terzo mezzo, ha denunciato la violazione dell’art. 832 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., sul rilievo che il diritto di godimento di un bene costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà su di esso ovvero un diritto equipollente e che, in ogni caso, la domanda di godimento del bene andava ritenuta ricompresa nella originaria domanda del bene, come un petitum inferiore.

Questa Corte, con la sentenza n. 6:L29 del 2012, ha accolto la censura con la seguente motivazione: “… il richiamo alla decisione del giudice di prime cure non chiarisce in cosa consista l’accertamento del diritto di godimento dell’autovettura, che riguarderebbe non solo l’ampiezza del diritto dominicale invocato, ma anche la trasformazione dell’originaria domanda ex art. 2932 c.c., involgente pronuncia costitutiva, in quella di accertamento di un diritto reale del quale già si postulava la titolarità in capo all’attore”.

Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza pubblicata il 1 febbraio 2016, ha rigettato la domanda avanzata dal L. in relazione al veicolo Toyota.

La ragione del rigetto è stata individuata dalla Corte d’appello nella considerazione che la domanda formulata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, oltre ad essere espressa in termini atecnici e del tutto inidonei a consentirne l’inquadramento giuridico, non può considerarsi ricompresa nella domanda originariamente proposta.

In particolare, la Corte d’appello:

– ha rilevato che la domanda originaria presuppone la proprietà del bene in capo al convenuto e l’obbligo di quest’ultimo di trasferire tale proprietà all’attore, laddove la domanda avanzata all’udienza di precisazione delle conclusioni del 17 settembre 2003 riguarda, comunque, l’accertamento dell’esistenza in capo al L. di un diritto di godimento (non è dato sapere se reale o personale) che prescinde dalla proprietà del bene;

– ha sottolineato che si tratta di una domanda, non solo diversa per petitum, ma che involge, anche, un nuovo tema d’indagine: quello dell’esistenza di un non meglio qualificato diritto esclusivo di godimento avulso dalla proprietà del bene;

– ha evidenziato la non pertinenza del richiamo al principio enunciato da Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310 (secondo cui la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa, petitum e causa petendi, sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali, con la conseguenza che è ammissibile la modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo): ciò in quanto in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale il L. ha chiesto di accertare non la già avvenuta traslazione della proprietà dell’autovettura Toyota, ma “l’esistenza di un non meglio specificato diritto esclusivo di godimento su di essa, avulso dalla proprietà sul bene, cioè un diritto di godimento che non può dirsi ricompreso nel diritto originariamente fatto valere, con conseguente radicale diversità tra le due domande e inammissibilità della seconda, pena la compromissione del diritto di difesa della controparte”.

7.2. – Tanto premesso, la censura veicolata con il quarto motivo dell’odierno ricorso è inammissibile.

La ragione di inammissibilità sta nel fatto che con essa ci si limita a denunciare, genericamente, che la Corte del rinvio non solo non avrebbe tenuto conto delle precise indicazioni derivanti dalla sentenza della Corte di cassazione n. 6129 del 2012, ma anche se ne sarebbe allontanata senza richiamare ragionevoli motivi.

Ma la doglianza, così articolata, per un verso non coglie la portata della pronuncia rescindente di questa Corte, la quale, con la richiamata sentenza, nell’accogliere il terzo motivo e nel demandare al giudice del rinvio un “nuovo esame”, non ha dichiarato, essa stessa, ammissibile la nuova formulazione della domanda operata in sede di conclusioni di primo grado dal L., ma sì è limitata a censurare “il richiamo alla decisione del giudice di prime cure”, posto che esso non chiariva “in cosa consistesse l’accertamento del diritto di godimento dell’autovettura, che riguarderebbe non solo l’ampiezza del diritto dominicale invocato, ma anche la trasformazione dell’originaria domanda ex art. 2932 c.c., involgente pronuncia costitutiva, in quella di accertamento di un diritto reale del quale si postulava la titolarità in capo all’attore”.

Per l’altro verso, l’odierno ricorrente in via principale, con il motivo in esame, non spiega dove e perchè la Corte di Bologna si sarebbe allontanata dal dictum di questo giudice di legittimità del 2012. In particolare, con il motivo non si muove alcuna specifica censura alla interpretazione della domanda giudiziale compiuta dalla Corte del rinvio, la quale ha sottolineato che la domanda formulata in sede di precisazione delle conclusioni riguardava in realtà l’accertamento di un obbligo restitutorio fondato sull’accertamento, in capo al L., di un diritto di godimento, “non è dato sapere se reale o personale”, che prescinde dalla proprietà del bene: diritto non ricompreso in quello originariamente fatto valere con l’azione costitutiva ex art. 2932 c.c., e come tale comportante una radicale diversità della domanda risultante dalla trasformazione operata in sede di conclusioni.

8. – Con il quinto motivo (esposto a pag. 7, sotto la lettera D, e rubricato “violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè delle tariffe forensi”) si deduce: (a) che in una lite iniziata nel 1993 al cui interno il F. creditore di poco più di 200.000 Euro ha voluto inserire un sequestro svoltosi autonomamente in due gradi e terminati con la condanna di L., “il F. doveva ritenersi consapevole che sfuggendo alla esecuzione del contratto e alla restituzione dei beni ivi convenuta era debitore di somme di gran lunga superiori”; (b) che “la Corte di rinvio ha per esempio condannato V.M.G. a restituire le somme versatele dal L. in adempimento delle opposizioni alle esecuzioni, ma ha omesso di condannarla alle spese che sono venute a gravare sul L. per opporsi alle ingiunzioni di sfratto, ai precetti e alle esecuzioni di importo equiparabile ed anzi leggermente superiore a quelle esposte dall’opposto”.

8.1. – Il motivo è inammissibile.

Come eccepito dalla controricorrente F., la censura si appalesa assolutamente generica, non essendo neppure indicato quale avrebbe dovuto essere una congrua regolazione delle spese in base alla tariffa professionale.

Invero, in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che, nel denunciare l’insufficienza della liquidazione, si limiti alla generica censura dell’avvenuta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e della tariffa forense, dovendo essere specificati, nel ricorso, gli errori commessi dal giudice e precisati i parametri, fissati dalla tariffa forense, dai quali la determinazione dei compensi in sede giudiziale si sia in concreto discostata (Cass., Sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20904; Cass., Sez. VI-2, 16 settembre 2015, n. 18190; Cass., Sez. III, 20 maggio 2016, n. 10409).

9. – Il sesto motivo (pag. 7 e 8, sub II) è rubricato “omesso esame di fatti decisivi per il giudizio come oggetto di discussione”.

Con esso si deduce, sotto un primo profilo, che la Corte d’appello “avrebbe dovuto esaminare tutte le domande proposte una ad una a cominciare dalla restituzione”, non potendo prescindere dalla circostanza che il F., nel proporsi come assuntore di concordato fallimentare, pattuiva di retrocedere al L. “l’alloggio di (OMISSIS), i crediti della Tecnocasa, il camioncino Ford, il fuoristrada Toyota, i mobili e le macchine dell’ufficio”.

In secondo luogo si lamenta che la Corte di Bologna, nel rivalutare il proprio precedente giudizio relativo all’autoveicolo Toyota (il cui godimento il F. aveva trasferito al L.), abbia finito con l’adottare “un’argomentazione già cassata” dalla sentenza della Corte di cassazione. Secondo il ricorrente in via principale, dalla motivazione della sentenza della Corte d’appello emergerebbe “soltanto una cattiva lettura interpretativa degli atti processuali”. Infatti, nella citazione introduttiva l’attore “aveva rivendicato in testa propria l’autoveicolo Toyota” e nelle conclusioni di primo grado “precisava la rivendicazione del diritto esclusivo di godimento del bene”, e ciò a fronte della eccezione, formulata dal convenuto, secondo cui in base alla scrittura del patto paraconcordatario al L. ne era stato attribuito il diritto di godimento.

9.1. – Con il motivo il ricorrente in via principale ripropone sotto una diversa rubrica censure già articolate con i motivi precedenti, le quali sono infondate o inammissibili.

Al di là della formale deduzione di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio come oggetto di discussione, la doglianza reitera, nella sostanza, motivi (attinenti all’errore in cui sarebbe incorso il giudice del rinvio per non avere esaminato “tutte ge domande proposte una ad una a cominciare dalla restituzione” e per avere qualificato come domanda nuova quella formulata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado) già scrutinati, senza aggiungere profili di indagine nuovi.

La complessiva censura va, pertanto, disattesa per le stesse ragioni già esposte in precedenza nell’esame delle corrispondenti doglianze.

Va aggiunto, con riguardo alla censura sub II b), concernente la domanda relativa all’autovettura Toyota, che il ricorrente in via principale, nel prospettare “una cattiva lettura interpretativa degli atti processuali”, deduce qui che “nella citazione introduttiva l’attore aveva rivendicato in testa propria l’autoveicolo Toyota”, che “il convenuto eccepiva che in base alla scrittura del patto paraconcordatario al L. ne era stato attribuito il diritto di godimento” e che, pertanto, nelle conclusioni finali di primo grado “l’attore precisava la rivendicazione del diritto esclusivo di godimento del bene”.

Ma si tratta di deduzioni generiche. L’asserzione secondo cui con la citazione introduttiva “l’attore aveva rivendicato in testa propria l’autoveicolo Toyota” non collima con quanto emerge dalla sentenza di questa Corte n. 6129 del 2012, dove l’originaria domanda è qualificata come costitutiva ex art. 2932 c.c. E la censura di una “cattiva lettura degli atti processuali” è prospettata senza compiutamente riportare nella loro integralità, nel testo del ricorso, gli esatti termini in cui venne proposta la domanda nell’atto di citazione ed in cui la domanda venne formulata nelle conclusioni finali del primo grado.

10. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, F.P. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. nonchè omesso (e comunque travisato e illogico) esame dei fatti, dei documenti e delle risultanze istruttorie inerenti alla valutazione in merito alla sussistenza e/o alla dimostrazione dell’azione revocatoria. La Corte di Bologna avrebbe trascurato di considerare che il L. aveva già ottenuto ed incassato la somma pari al controvalore dell’appartamento di (OMISSIS), avendo il Tribunale di Parma, con la sentenza n. 10058 del 2004, accolto la domanda subordinata di rifusione del valore dell’immobile e condannato pertanto il F. a versare al L. la somma di Lire 87.500.000, e cioè il prezzo indicato nel rogito in data 27 settembre 1993 F./ V. oggetto dell’azione revocatoria. Essendo “pacifico che tale somma (unitamente ad altre, aventi diversa causale) è stata pagata dal F. ed incassata dal L.”, ed essendo “altresì pacifico che non residua alcuna pretesa creditoria del L. nei confronti del F.”, ad avviso della ricorrente in via incidentale non sussisterebbe oggi alcun credito del L. nei confronti del F. (“essendo passate in giudicato le statuizioni che hanno rigettato le pretese creditorie del L.”), il che escluderebbe in radice la legitimatio ad causam e l’interesse ad agire in revocatoria. D’altra parte, la circostanza, valorizzata dalla Corte del rinvio, che i coniugi C./ V. fossero presenti nelle occasioni in cui il L. sollecitava il F. a stipulare il rogito di restituzione dell’appartamento di (OMISSIS) ed il F. promettesse di farlo in un prossimo futuro, sarebbe “del tutto inidonea a dimostrare l’indefettibile presupposto del c.d. consilium fraudis”. Inoltre, il prezzo previsto nel rogito F./ V. – superiore di quasi il 30% rispetto al prezzo stabilito in sede fallimentare – era coerente alle caratteristiche dell’immobile (trattandosi di alloggio di edilizia economico-popolare, risalente alla fine degli anni ‘60, di modeste dimensioni ed in cattivo stato di conservazione, oltre che inserito in un contesto urbanistico fortemente degradato), e quindi di fatto corrispondente all’effettivo valore di mercato del bene. In sostanza, ad avviso della ricorrente in via incidentale, la sentenza della Corte del rinvio, nella parte in cui ha ritenuto parzialmente fondato l’appello proposto dal L. relativamente all’azione revocatoria da esso promossa, risulterebbe “viziata da una travisata applicazione dei principi di diritto regolanti l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., da un’errata percezione e valutazione dei fatti e delle risultanze di causa, nonchè da una motivazione generica e meramente i potetica/probabilistica”.

10.1. – Il motivo è infondato e, in parte, inammissibile.

Quanto al rilievo secondo cui la pretesa creditoria del L. sarebbe già stata integralmente soddisfatta, con conseguente esclusione in radice della legitimatio ad causam e dell’interesse ad agire in revocatoria, la ricorrente in via incidentale non indica da quale risultanza o documento, agli atti del giudizio di merito, che il giudice avrebbe omesso di prendere in considerazione, emerga il dato “pacifico” che la somma di (allora) Lire 87.500.000 (unitamente ad altre, aventi diversa causale) “è stata pagata dal F. ed incassata dal L.”.

Sotto questo profilo, la ricorrente in via incidentale si limita ad allegare la circostanza dell’avvenuto pagamento, il cui esame sarebbe stato omesso, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui tale fatto storico risulti esistente nè il come e il quando esso sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

In ordine, poi, alla censura attinente al consilium fraudis, va premesso che questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 6129 del 2012, ha censurato l’insufficienza del percorso motivazionale della sentenza d’appello, giacchè gli elementi sui quali aveva fatto leva l’appellante per dimostrare il fondamento dell’esperita azione revocatoria – la frequentazione, da parte dell’acquirente dell’appartamento, dei cantieri del F.; la conoscenza, da parte dell’acquirente, dell’obbligo restitutorio del F. verso il L. e la non congruità del prezzo erano stati dal giudice del gravame unitariamente e complessivamente valutati come “non… assolutamente sufficienti a contrastare gli elementi assolutamente corretti valutati dal Tribunale e ritenuti idonei al rigetto della domanda”, senza che detti elementi di giudizio, la cui valutazione il giudice distrettuale aveva dichiarato di condividere, venissero indicati nella medesima decisione.

Giudicando in sede di rinvio, la Corte di Bologna ha dichiarato inefficace ex art. 2901 c.c. nei confronti del L. l’atto di compravendita del 27 settembre 1993 ai rogiti del notaio D.T. dopo avere ritenuto la sussistenza di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti idonei a provare che il contratto è stato concluso in frode al L..

A tale conclusione i giudici del rinvio sono pervenuti:

dopo avere esaminato e valutato la deposizione del teste B.N. (resa all’udienza dell’8 marzo 2001), il quale ha riferito essere vere sia la circostanza che i coniugi C.- V. erano presenti nelle occasioni in cui il L. sollecitava il F. a stipulare il rogito di restituzione dell’immobile ed il F. prometteva di farlo in un prossimo futuro, sia la circostanza che il prezzo indicato nel rogito D.T. era molto vicino al prezzo base stabilito in sede fallimentare, prezzo notoriamente inferiore al valore di mercato dei beni onde incentivare la partecipazione all’asta fallimentare;

in considerazione della mancata contestazione, da parte del F. e della V., della veridicità di tutte le parallele vicende anche giudiziarie coinvolgenti i coniugi C.- V. e la figlia del L. e di cui si narra nell’atto introduttivo della causa n. 6194 del 1993: vicende dalla Corte territoriale ritenute anch’esse indicative dell’esistenza di una profonda conoscenza tra le parti in causa e quindi suscettibili di corroborare la tesi della conoscenza da parte della V. anche dell’obbligo assunto dal F. verso il L. quanto all’appartamento di (OMISSIS);

avendo conclusivamente rilevato l’esistenza di un quadro indiziario con i requisiti di cui all’art. (2946, recte) 2729 c.c., volgente nel senso della consapevolezza, da parte della V., del fatto che l’acquisto dell’immobile di (OMISSIS) andava a ledere le ragioni creditorie che il L. vantava nei confronti del F. in relazione allo stesso bene, quindi un quadro indiziario favorevole alla esistenza nella fattispecie della c.d. scientia fraudis di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2).

Con il motivo di ricorso incidentale, la F. avanza nella sostanza contestazioni relative ad un accertamento di fatto operato dalla Corte territoriale e sostenuto da adeguata motivazione.

Ed è appena il caso di ribadire che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la prova della conoscenza del pregiudizio delle ragioni creditorie o della participatio fraudis può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (Cass., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18315; Cass., Sez. III, 22 marzo 2016, n. 5618; Cass., Sez. VI-3, 18 giugno 2019, n. 16221).

Nella specie la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, ha ritenuto la sussistenza del pregiudizio, della frode e della consapevole partecipazione da parte del terzo sulla base di elementi convergenti e cospiranti: la non congruotà del prezzo di vendita dell’immobile al terzo, molto vicino al prezzo base stabilito in sede fallimentare, notoriamente inferiore al valore dii mercato del bene; la presenza del terzo nelle occasioni in cui il creditore sollecitava il debitore a stipulare il rogito di restituzione dell’immobile e questi prometteva di farlo; la profonda conoscenza tra le parti in causa.

Nel contestare l’argomentato approdo al quale è pervenuto il giudice del rinvio all’esito della ponderata valutazione della deposizione testimoniale e delle altre risultanze di cause, la ricorrente in via incidentale finisce con il sollecitare un, non consentito in sede di legittimità, riesame di merito: sia là dove assume la non decisività della testimonianza del B.; sia quando deduce la congruità del prezzo di vendita, superiore rispetto a quello stabilito in sede fallimentare; sia allorchè prospetta la contrarietà alle risultanze processuali della ritenuta mancata contestazione, da parte del F. e della V., di tutte le parallele vicende, anche giudiziarie, coinvolgenti i coniugi C.- V. e la figlia del L..

Non pertinente, infine, appare il richiamo al principio (affermato da Cass., Sez. VI-1, 3 dicembre 2014, n. 25614) della non sufficienza, ai fini della dimostrazione della sussistenza del consilium fraudis, della conoscenza, da parte del terzo acquirente dell’immobile, dell’avvenuta stipula del precedente preliminare. Difatti, la Corte d’appello non si è basata su tale mera conoscenza da parte del terzo, ma ha sottolineato, al fine di ritenere integrato il requisito soggettivo necessario per l’accoglimento dell’azione revocatoria, la consapevolezza, in quadro indiziario rivelatore della frode, del fatto che l’acquisto dell’immobile di (OMISSIS) andava a ledere le ragioni creditorie che il L. vantava nei confronti del F. in relazione allo stesso bene.

11. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, V.M.G. denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., stante l’inammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria in mancanza dei presupposti tipici che legittimano il ricorso alla stessa. L’assenza di una pretesa creditoria o risarcitoria dell’attore evidenzierebbe che l’azione pauliana è stata utilizzata non già in vista del soddisfacimento di un credito pecuniario, bensì per neutralizzare il preteso pregiudizio connesso al trasferimento dell’immobile di (OMISSIS). Ad avviso della ricorrente in via incidentale, non risulterebbe dagli atti di causa che il L. abbia mai dato prova, o chiesto di provare, che per effetto dell’alienazione dell’immobile in questione la realizzazione del suo credito risarcitorio sarebbe stata resa quantomeno più difficile. E neppure si comprenderebbe quale sarebbe il credito (ed a quanto ammonterebbe) per il soddisfacimento del quale il L. potrebbe agire in via esecutiva o conservativa sull’immobile.

11.1. – La doglianza non è meritevole di seguito.

11.2. – La censura è inammissibile là dove ruota intorno alla deduzione che l’azione revocatoria sarebbe stata spiegata per ottenere l’intestazione a favore dell’attore del medesimo cespite oggetto dell’atto dispositivo revocando o, in ogni caso, a tutela di un credito risarcitorio non richiesto.

Così prospettata, la doglianza non coglie la ratio decidendi.

Per un verso, infatti, la Corte felsinea – accogliendo solo in parte la domanda, cioè limitatamente alla pronuncia di inefficacia nei confronti del L. dell’atto di compravendita ai rogiti del notaio D.T. ha chiarito che l’accoglimento dell’azione revocatoria non comporta l’invalidità dell’atto di disposizione e il rientro del bene nel patrimonio del debitore alienante, ma determina unicamente l’inefficacia dell’atto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla, con conseguente possibilità per quest’ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro il terzo acquirente, pur divenuto validamente proprietario. In questo senso, la statuizione resa dal giudice del rinvio corrisponde pienamente alla funzione della revocatoria ordinaria, che consiste nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c. ove la sua consistenza si riduca, per uno (o più) atti dispositivi, così pregiudicando la realizzazione coattiva del diritto del creditore (Cass., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 22915).

Per l’altro verso, la Corte d’appello ha evidenziato, nella parte dedicata allo svolgimento del processo (v. la quarta pagina della sentenza), che il Tribunale di Parma ha accolto la domanda di condanna del F. a corrispondere al L. il controvalore dell’immobile, indicato in Lire 87.500.000, pari al prezzo risultante nel più volte citato rogito di compravendita, e altre somme di denaro, per il complessivo importo di Euro 91.048,76.

Neppure può trovare ingresso – per le ragioni esposte retro, in sede di esame del ricorso incidentale della F. – la deduzione, particolarmente sviluppata a pagina 2 della memoria illustrativa, secondo cui, “se la pretesa creditoria del L., avente ad oggetto la rifusione del valore dell’immobile è stata non solo accolta ma anche soddisfatta…, all’evidenza fin da allora vennero a mancare, o comunque sopravvenne la mancanza dei presupposti giuridici che giustificavano il ricorso all’azione revocatoria”.

11.3. – Generica è poi la censura là dove ci si duole del fatto che non sia stato considerato dalla Corte del rinvio che l’accoglimento dell’azione revocatoria postula l’accertamento che l’alienazione al terzo da parte del debitore comprometta o renda più difficile la realizzazione del credito risarcitorio dell’attore.

11.3.1. – E’ esatto che tra le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria vi è l’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento, da parte del debitore, dell’atto traslativo (Cass., Sez. III, 25 maggio 2017, n. 13172). Presupposto oggettivo per l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria è l’eventus damni. Esso ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (Cass., Sez. III, 19 luglio 2018, n. 19207; Cass., Sez. VI-3, 18 giugno 2019, n. 16221).

11.3.2. – Ora, la Corte bolognese non ha prescisso dall’accertamento dell’esistenza dell’eventus damni ai fini dell’accoglimento dell’azione pauliana.

La sentenza impugnata, infatti, ha riportato la deposizione del teste B., là dove questi ha riferito che l’alienazione del bene immobile al terzo V. da parte del venditore F. è avvenuta ad un prezzo molto vicino a quello base stabilito in sede fallimentare, notoriamente inferiore a quello di mercato, con ciò mettendo evidentemente in rilievo la variazione del patrimonio del debitore discendente da quella alienazione. Inoltre la sentenza – sia pure affrontando il profilo, a valle, della consapevolezza da parte del terzo della frode – ha considerato – con ciò investendo anche il profilo, a monte, dell’eventus damni – che l’atto di disposizione “andava a ledere le ragioni creditorie” che il L. vantava nei confronti del F..

In questo contesto, la ricorrente in via incidentale avrebbe dovuto indicare – e il rilievo orienta nel senso della genericità della doglianza – da quali risultanze, che il giudice del merito avrebbe dovuto prendere in considerazione, emerga che, nonostante l’atto di alienazione, il patrimonio del debitore F. avrebbe comunque conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore L. senza difficoltà.

12. – Con il secondo motivo, rubricato “difetto di motivazione nella valutazione della sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria”, la ricorrente in via incidentale deduce che nella sentenza impugnata non sarebbe rinvenibile l’individuazione dei motivi da cui risulterebbe la conoscenza, da parte della V., del pregiudizio che l’atto di disposizione concluso con il F. fosse idoneo a recare alle ragioni creditorie del L.. La ricorrente in via incidentale sottolinea inoltre che la sentenza della Corte d’appello non avrebbe esaminato la sussistenza del pregiudizio che dall’atto revocando può derivare alle ragioni del creditore.

12.1. – Il secondo motivo è infondato e, in parte, inammissibile.

Là dove lamenta che sia stata ritenuta sussistente la consapevolezza, da parte della V., del carattere pregiudizievole dell’acquisto, la censura va disattesa per le stesse ragioni che hanno condotto al rigetto dell’analogo motivo prospettato dalla ricorrente in via incidentale F..

La doglianza relativa all’eventus damni ripropone profili già respinti nell’esame del primo motivo del ricorso incidentale della V..

In ogni caso, non può trovare ingresso la censura, che con il motivo viene articolata, di “difetto di motivazione” in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria. Così prospettato, infatti, il motivo finisce con l’investire l’apprezzamento di merito, congruamente compiuto dal giudice del rinvio ed insindacabile in sede di legittimità, circa il riscontro in fatto della sussistenza del pregiudizio per le ragioni del creditore e della scientia fraudis da parte del terzo e prospetta una censura che non rientra nei limiti – consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. Un., 7 agosto 2014, n. 8053, cit.) – di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o degli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo.

13. – Con il terzo motivo la ricorrente in via incidentale V. lamenta violazione o falsa applicazione dei D.M. n. 140 del 2012 e D.M. n. 55 del 2014 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per mancata osservanza dello scaglione di riferimento rispetto al valore effettivo della controversia. La Corte di Bologna non avrebbe tenuto distinte le posizioni differenziate dei convenuti e non avrebbe considerato, al riguardo, che, con riferimento alla posizione della V., sarebbe stato possibile ipotizzare unicamente il valore della causa compreso nello scaglione tra Euro 26.000 ed Euro 52.000, giacchè il prezzo della vendita dell’immobile, unico parametro utilizzabile per determinare il valore della controversia, era di Lire 87.500.000. Inoltre – lamenta la ricorrente in via incidentale – la liquidazione delle spese e dei compensi sarebbe stata effettuata, erroneamente, mediante l’indicazione di un importo complessivo, senza specificazione degli importi liquidati a titolo di diritti e di onorari sotto la vigenza del D.M. n. 140 del 2012 e senza la specificazione delle diverse fasi sotto la vigenza del D.M. n. 55 del 2014.

13.1. – Il motivo non è meritevole di seguito.

Ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente nei giudizi relativi ad azione revocatoria, il valore della causa si determina sulla base non già dell’atto impugnato, bensì del credito per il quale si agisce, anche se il valore dei beni alienati, o comunque sottratti al creditore, risulti superiore o inferiore, e ciò in considerazione del carattere conservativo del rimedio, volto a paralizzare l’efficacia degli atti aggrediti per assicurare al creditore l’assoggettabilità ad esecuzione dei beni resi indisponibili dal debitore (Cass., Sez. I, 17 marzo 2004, n. 5402; Cass., Sez. III, 13 febbraio 2020, n. 3697).

E’ pertanto erroneo il presupposto interpretativo da cui muove la ricorrente in via incidentale, posto che nella liquidazione dei compensi a carico della parte soccombente, nel giudizio per azione revocatoria, si ha riguardo all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è rivolta.

Per il resto, il motivo si appalesa generico.

Esso, infatti, ipotizza che il valore della causa sia stato ritenuto rientrante nello scaglione tra Euro 52.001 ed Euro 260.000 in base alla “dichiarazione resa dal ricorrente principale in ordine al valore” della stessa e all’importo del contributo unificato corrisposto” (così a pagina 10 del ricorso) nonchè “a giudicare dall’entità degli importi liquidati per ciascun grado” (così a pagina 11), ma non prospetta che, in concreto, la liquidazione sia stata effettuata in misura superiore al massimo stabilito dalla tariffa.

Del pari aspecifica è la censura con cui si addebita alla Corte del rinvio di avere proceduto alla liquidazione delle spese e dei compensi “mediante l’indicazione di un importo complessivo, un unicum, senza specificazione degli importi liquidati a titolo di diritti e di onorari sotto la vigenza del D.M. n. 140 del 2012 e senza specificazione delle diverse fasi sotto la vigenza del D.M. n. 55 del 2014”. La giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, 7 ottobre 2015, n. 20128; Cass., Sez. III, 26 luglio 2016, n. 15363) ha infatti chiarito che, in tema di spese processuali, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia della mancata distinzione, nella sentenza impugnata, tra diritti ed onorari secondo la disciplina delle tariffe professionali applicabili ratione temporis alla fattispecie, atteso che, in assenza di deduzioni sui concreti pregiudizi subiti dalla mancata applicazione di tale distinzione, la censura non dimostra l’esistenza di un interesse ad ottenere una riforma della decisione.

14. – Il ricorso principale L. è dichiarato inammissibile.

Il ricorso incidentale F. è rigettato.

Il ricorso incidentale V. è rigettato.

La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

15. – Poichè il ricorso principale e i ricorsi incidentali sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono, l’uno, dichiarato inammissibile, e, gli altri, rigettati, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale L. e delle ricorrenti incidentali F. e V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascuna impugnazione, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso principale L.; rigetta il ricorso incidentale F. e il ricorso incidentale V.; dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale L. e delle ricorrenti incidentali F. e V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 25 novembre 2020 e, a seguito di riconvocazione, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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