Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26316 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. III, 29/09/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 29/09/2021), n.26316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16738/2019 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

44, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO NUZZACI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LODOVICO FABRIS;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ AMBIENTE E TERRITORIO SPA, costituitasi come S.I.T. –

SOCIETA’ IGIENE E

TERRITORIO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 9,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PICOZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MAURIZIO CAMILLO BORRA;

– controricorrente –

e contro

AZIENDE INDUSTRIALI MUNICIPALI VICENZA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3193/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/05/2021 dal Presidente Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. R.G. ha proposto ricorso per cassazione contro la Società Ambiente e Territorio s.p.a. e la Aziende Industriali Municipali di Vicenza S.p.a. avverso la sentenza del 25 novembre 2018, con la quale la Corte di Appello di Venezia ha rigettato sia il suo appello principale sia l’appello incidentale delle società (la prima delle quali, peraltro, indicata in sentenza come SIT-Società Igiene e Territorio s.p.a.) contro la sentenza del Tribunale di Vicenza del luglio 2011, la quale aveva rigettato: a) la domanda proposta con atto di citazione del novembre 2009 dalle due società (la prima indicata come si è appena detto) per ottenere dal R. la condanna alla restituzione come indebito di un importo riscosso per emolumenti e rimborsi di spese asseritamente non dovuti; b) la domanda riconvenzionale proposta dal R. per ottenere il pagamento di Euro 90.000,00 oltre accessori a titolo di trattamento di fine mandato.

2. Per quanto si legge nell’esposizione del fatto del ricorso circa lo svolgimento processuale del giudizio di primo grado veniva richiesta dal R. prova per interrogatorio formale e per testi al fine di provare la provenienza di un documento proveniente dalla SIT prodotto con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2 e disposta l’esibizione di delibere assembleari relative alla determinazione del detto trattamento, che – si sostiene sempre in detta esposizione – sarebbe stato adempiuto all’udienza di precisazione delle conclusioni dell’11 novembre 2010, ma senza produrre una Delib. 2 marzo 1989, cui rinviava altra Delib. 5 dicembre 2002, per il che nella conclusionale del 10 novembre 2011 si eccepiva dal R. il mancato adempimento dell’ordine di esibizione.

3. Al ricorso per cassazione del R., che si fonda su due motivi, hanno resistito con congiunto controricorso le due società e la prima di quelle intimate si è costituita come “SIT-Società Igiene e Territorio s.p.a.”.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., ed in vista di essa parte resistente ha depositato memoria.

6. Poiché nelle more era sopravvenuto un impedimento del relatore designato, il Presidente del Collegio è stato designato in sostituzione alla trattazione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. in via preliminare il Collegio rileva che, non essendosi osservato alcunché da alcuna delle parti in ordine alla proposizione del ricorso contro la “Società Ambiente e Territorio s.p.a.”, ancorché la sentenza risulti pronunciata invece nei confronti della “SIT-Società Igiene e Territorio s.p.a.” ed il ricorso stesso indichi la parte nello svolgimento processuale proprio quest’ultima denominazione, si deve ritenere che la costituzione mediante il controricorso della medesima renda ininfluente la diversa indicazione fatta nella sua intestazione dal ricorso, tenuto conto sia del silenzio delle resistenti, sia del silenzio ulteriore del R.. Sicché, il contraddittorio risulta regolarmente costituito.

2. L’illustrazione dei due motivi premette quella che individua come motivazione della sentenza impugnata, ma riproducendola, in realtà, solo in parte.

La motivazione resa dalla corte territoriale è stata del seguente tenore:

“L’appello proposto da R.G. è infondato e non merita accoglimento. In particolare l’adita Corte rileva che R. lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha rigettato la propria pretesa per difetto di prova della Delibera assembleare che riconosce il diritto al TFM. Sul punto la Corte osserva che l’appellante agendo in via riconvenzionale avrebbe dovuto assolvere all’onere probatorio di allegare e produrre in giudizio i documenti a sostegno della domanda svolta; onere che non può essere arginato mediante il potere officioso del giudice di prime cure. In primo grado la documentazione richiesta ex art. 210 c.p.c., è stata successivamente prodotta in giudizio dalle società appellate: essa richiama a cascata altra documentazione molto più risalente secondo la quale sarebbe spettato al R. l’ulteriore emolumento del TFM. Tale documentazione non è stata né richiesta né prodotta, mentre è emerso che i verbali di assemblea assunti richiamano solamente altra deliberazione che a dire dell’appellante sarebbe costitutiva del proprio diritto a pretende(re) ed ottenere la liquidazione del TFM. Essa non sarebbe stata nella disponibilità dell’appellante a dire dello stesso e ciò costituirebbe violazione dei propri diritti in quanto si ritiene possa essere assunta mediante l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudicante. Tale pretesa appare speculativa e volta ad arginare i limiti derivanti dall’onere probatorio che non possono essere scavalcati per sopperire alla carenza probatoria di parte trattandosi di documenti comprovanti il diritto fatto vedere e che dunque rivestono carattere di “substrato di fatto” e come tali sottoposti alla rigida regola dell’onere probatorio. Tali ragioni inducono la Corte a respingere la doglianza.”.

Il ricorso evoca la motivazione ora riportata solo a partire dalle parole “…la documentazione richiesta”.

3. Tanto premesso, si rileva che con il primo motivo di ricorso si deduce “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (o, in subordine, n. 4) per l’illogica e mancante motivazione in ordine al riconoscimento di debito contenuto nel documento allegato sub 1) alla Memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, depositata il 10.05.2010 nell’interesse di R.G. (pagg. 5 e 6)”.

Il motivo è letteralmente così illustrato:

“La decisione del gravame (come la sentenza di prime cure) non contiene alcun accenno al riconoscimento di debito contenuto nel documento allegato sub 1) alla Memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, depositata il 10.05.2010 nell’interesse di R.G. richiamato, da ultimo, nella Comparsa conclusionale in appello del 24.11.2017 a pagina 2. Con la memoria istruttoria citata peraltro R.G. chiedeva altresì l’ammissione dei seguenti capitoli istruttori: 3) Vero che il prospetto che le si mostra (doc. 1) è stato redatto dalla SIT 5.p.a.; 4) Vero che, alla data del 31.12.2016 il T.F.M. maturato a favore del geom. R. era stato determinato dalla SIT 5.p.a. in Euro 74.482,00 come da prospetto che Le si mostra (doc. 1)”. La motivazione della decisione impugnata, come sopra riportata, non contiene alcun riferimento al riconoscimento da parte di SIT del debito di Euro 81.268,93 (o ai capitoli di prova formulati in relazione allo stesso) limitando il proprio esame all’asserita rimessione della dimostrazione della sussistenza del diritto al pagamento del Trattamento di fine mandato all’espletamento dei poteri officiosi del Giudice attraverso l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.”.

Sulla base di queste deduzioni l’illustrazione del motivo evoca quindi il principio di diritto di cui a Cass. n. 16502 del 2017 per giustificare il sollecitato controllo sulla motivazione della sentenza impugnata.

3.1. Il motivo denuncia piuttosto che un omesso esame di un fatto, quello di una emergenza probatoria emergente da un documento.

Inoltre, evoca due capitoli di prova di una memoria istruttoria concernenti il documento e sotto tale profilo si pone al di fuori della logica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, alludendo piuttosto ad una violazione di norma del procedimento sotto il profilo della mancata ammissione degli stessi.

Entrambe le censure sono inammissibili.

3.2. Con riferimento al preteso fatto omesso, si omette, infatti, di precisare come, dove ed in che termini fosse stato prospettato in appello e, dunque, a che titolo avrebbe fatto parte dei fatti che il giudice d’appello poteva e doveva esaminare siccome devolutogli con l’appello.

Il ricorrente si astiene dal dire, in particolare, se il preteso fatto era oggetto di un motivo di appello in quanto a sua volta il primo giudice ne aveva omesso la considerazione oppure l’aveva erroneamente valutato, sì che in ipotesi la corte territoriale nel non esaminare tali ipotetiche prospettazioni sarebbe incorsa in una omessa pronuncia sul relativo motivo di appello. Nulla nell’illustrazione del motivo si presta a consentire nella sostanza di intendere il motivo come di denuncia di una omessa pronuncia in tal senso.

La prospettazione del ricorrente si presta, dunque, ad essere interpretata nel senso che il fatto fosse comunque percepibile dal giudice di appello nell’ambito del devoluto con l’appello dello stesso R. o di quello ascrivibile alle difese avversarie.

Il motivo allora non può sfuggire ad un rilievo di inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che non si fornisce l’indicazione specifica del dove per effetto di quanto devoluto in appello il fatto di cui al documento fosse stato evidenziato e dovesse essere esaminato dal giudice di appello, sicché la doglianza in parte qua non rispetta i criteri di deduzione indicati da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014.

Tuttavia, v’e’ di più: la prospettazione del motivo si duole dell’omesso esame di un preteso fatto, quello emergente dal documento evocato, ma non se ne duole sub specie di mancata considerazione di un fatto storico rappresentato dal documento.

Postula, invece, l’omesso esame di una qualificazione giuridica che quanto rappresentato nel documento ad avviso del ricorrente avrebbe dovuto avere, cioè quella di riconoscimento del debito.

Sotto tale profilo il motivo risulta addirittura prospettare, in realtà, non già l’omesso esame di un fatto, bensì del risultato di una interpretazione del documento. E, peraltro, in modo del tutto estraneo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non appoggia tale interpretazione sul solo documento, ma su ciò che si sarebbe potuto dimostrare attraverso “capitoli istruttori”.

3.3. Riguardo ad essi, peraltro, procedendosi all’esame della doglianza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, rileva che nulla dice il ricorrente sull’esito che l’istanza istruttoria ebbe in primo grado e nulla dice sul se e sul come detto non identificato esito venne devoluto al giudice d’appello.

Nulla dice, inoltre, il motivo sul se e sul dove sia in primo grado sia in appello l’indicata interpretazione del documento venne postulata. Nulla dice sul come la considerò il primo giudice e sul se e come venne impugnata in ipotesi in appello.

L’assoluta pretermissione degli oneri di chi impugna una sentenza di appello lamentando la mancata ammissione di istanze istruttorie svolte in primo grado rende inammissibile pure la censura svolta genericamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

D’altro canto, l’esposizione del fatto del ricorso tace completamente sulla sorte delle istanze istruttorie per interrogatorio formale e per testi che dice proposte (pag. 6) e, come s’e’ detto, tace pure sul tenore della decisione di primo grado. La sentenza impugnata, nell’esporre lo svolgimento processuale, dice che la riconvenzionale venne rigettata dal primo giudice “in quanto sfornita di prova giacché la richiesta di TFM sarebbe stata oggetto di delibera assembleare non prodotta e di cui non veniva richiesta l’esibizione, che invece, era richiesta per altra delibera diversa in cui era menzionata, ma rimessa a capitolo generico di prova orale” (pag. 5, ultima proposizione, della sentenza): il ricorso ignora questa affermazione, che sottenderebbe una valutazione di genericità del capitolato probatorio formulata dal primo giudice. Valutazione, peraltro, che, se fosse stata effettuata, sarebbe stata del tutto corretta.

Per le plurime gradate ragioni indicate il motivo è inammissibile.

4. Con il secondo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,in relazione agli artt. 210,232 e 115 c.p.c. (pagg. 5 e 6)(sic)”.

Il motivo è così illustrato:

“La motivazione è errata e applica in maniera distorta i principi di diritto sottesi all’art. 210,232 e 115 c.p.c., non sussistendo un percorso logico e coerente per il giudice nella motivazione del rigetto del gravame. Una volta che il Giudice di merito abbia ritenuto sufficientemente dettagliata e motivata la richiesta di esibizione di documenti “di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo” e ordini conseguentemente ad una delle parti la produzione della documentazione indicata, l’inadempimento a tale obbligo non può rimanere privo di sanzione, pena lo svuotamento della portata della norma e dei poteri stessi del Giudice di merito. E’ pacifico che l’ordine di esibizione di documenti non è suscettibile di esecuzione coattiva. E’ altrettanto pacifico e incontrastato in atti che la delibera dell’assemblea dei soci delle 2 Marzo 1989 non è altrimenti ottenibile da R.G.. L’inottemperanza volontaria assume un valore probatorio autonomo equivalente al rifiuto di rispondere all’interrogatorio formale, che consente al Giudice – ai sensi dell’art. 232, comma 1 – di “ritenere come ammessi i fatti dedotti” (Tribunale Mondovì 25 gennaio 2010), tanto più in presenza di elementi di prova concorrenti (tra cui il documento allegato sub 1 alla Memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, depositata il 10/05/2010 nell’interesse di R.G. più volte richiamato e l’esplicito richiamo contenuto nella Delib. 5 dicembre 2002 all. 13 SIT). Tale situazione non può essere accettata dall’ordinamento, tantomeno nel caso di specie ove la natura pubblicistica delle attrici rende ancora più odiosa l’omissione. E, in effetti, pacifico (e non contestato) che il Trattamento di Fine Mandato per gli amministratori di SIT era stato determinato dall’assemblea dei soci con Delib. 2 marzo 1989, cui rinvia la Delib. 5 dicembre 2002. Come visto quest’ultima Delibera prevede espressamente che agli amministratori spetterà il Trattamento di Fine Mandato (an della pretesa), rinviando ad altra Delibera precedente la determinazione del quantum. SIT e AIM non hanno contestato specificamente la misura del TFM (quantum della pretesa) indicata da R.G. e riconosciuta con dichiarazione dal valore confessorio nel documento allegato sub 1) alla Memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, depositata il 10.05.2010 nell’interesse di R.G., insistendo sul fatto che la mancanza di una Delibera assembleare o di previsione statutaria impedisca qualsivoglia ulteriore considerazione in relazione alla domanda riconvenzionale. L’onere di allegazione e prova gravante su R.G. risulta pertanto assolto anche a norma dell’art. 115 c.p.c., dovendosi ritenere non contestata la misura dello stesso come quantificato da R.G.”.

4.1. Il secondo motivo è inammissibile.

In primo luogo, là dove esordisce dicendo che la motivazione della sentenza impugnata è errata, omette di indicare i passaggi di essa in cui si anniderebbe l’errore, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuarli ed abdicando all’onere di articolare il motivo di ricorso, che, come critica alla sentenza impugnata, suppone l’identificazione dell’oggetto della critica. Già questo basterebbe ad evidenziare l’inammissibilità del motivo, specie tenuto conto del fatto che il tenore della sopra riportata motivazione deve considerarsi anche al lume di quanto la corte territoriale ha riferito a pag. 5 e di cui si è detto sopra.

In secondo luogo, posto che il motivo ragiona di sufficienza dell’ordine di esibizione dato dal primo giudice e, quindi, si fonda sul suo contenuto (che, parrebbe doversi intendere la del tutto generica prospettazione avrebbe attinto anche la Delib. 2 marzo 1989, come parrebbe evincersi da quanto indicato a pag. 6 del ricorso in fine), il motivo risulta dedotto in manifesta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, là dove omette di riprodurre il contenuto dell’ordine di esibizione dato in primo grado.

Non solo: non diversamente da quanto segnalato a proposito del primo motivo, anche in questo caso si omette sia di indicare il contenuto della decisione assunta dal primo giudice sull’esito dell’ordine di esibizione e particolarmente sulla sua osservanza integrale o meno, sia di indicare il tenore dell’appello eventualmente proposto riguardo ad esso. Tale omissione rende impossibile percepire se quanto dedotto nel motivo sia prospettabile in quanto inerente a questioni tenute idoneamente “vive” in appello.

Si rileva anzi che a pag. 6 nell’esposizione del fatto del ricorso, si dice, come si è rilevato già, che la Delib. 2 marzo 1989, non venne depositata all’udienza di p.c., in tal modo implicitamente sostenendosi che l’ordine di esibizione la comprendesse, ma, poi si afferma che il ricorrente se ne sarebbe doluto nella conclusionale: in tal modo, il ricorrente stesso “confessa” di avere svolto un’eccezione di nullità riguardo alla non integrale ottemperanza dell’ordine di esibizione in modo tardivo, giacché detta eccezione, a norma dell’art. 157 c.p.c., doveva essere svolta nella detta udienza di precisazione delle conclusioni.

Anche sulla sorte della pur tardiva eccezione nella decisione di primo grado nulla peraltro ci si dice e nemmeno alcunché si dice sul se e sul come tale decisione o l’omessa decisione di quanto dedotto sarebbe stata lamentata con l’appello.

Ove, poi, solo all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado il R. avesse appreso della Delib. 2 marzo 1989, prospettazione che parrebbe contraddetta dal fatto che egli assuma come secondo l’ordine di esibizione detta Delibera sarebbe stata ricompresa nell’oggetto dell’ordine stesso, è palese una sollecitazione ad un nuovo ordine di esibizione avrebbe dovuto essere formulata sempre in detta udienza.

4.2. Palesemente irrispettosa dell’art. 366 c.p.c., n. 6, risulta altresì la deduzione finale della esistenza di un atteggiamento di non contestazione delle società: nessuna precisazione del se e dove gli atteggiamenti di non contestazione delle società sarebbero stati tenuti ed anzi a monte essi nemmeno vengono precisamente identificati, sicché la prospettazione impinge anche in difetto di specificità (Cass. n. 4741 del 2005, il cui consolidato principio di diritto sulla necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione, è stato ribadito da Cass. se. Un., n. 7074 del 2017).

Il secondo motivo e’, dunque, inammissibile per le gradate ragioni indicate.

5. Il ricorso e’, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro settemilatrecento, oltre Euro duecento per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

 

 

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