Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26313 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 19/11/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 19/11/2020), n.26313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21197-2017 proposto da:

ORIENTAL FINANCE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XXIV

MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GUIDO ANTONINI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21 C,

presso lo studio dell’avvocato UMBERTO GAROFOLI, che lo rappresenta

e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3327/2017 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 08/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PELLECCHIA per delega

dell’avvocato ANTONINI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Oriental Finance S.r.l. impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato il (OMISSIS), relativo all’anno di imposta 2008, per omesso adempimento agli obblighi dichiarativi ICI connessi ad una o più unità immobiliari riportate nell’atto impugnato, con irrogazione di sanzioni pari al 100% sull’intero ammontare dell’imposta dovuta per l’anno oggetto di accertamento. La società contribuente assumeva che per effetto della L. n. 296 del 2006 non esisteva più l’obbligo dichiarativo ICI, denunciando il difetto di motivazione dell’atto, che era stato anche notificato oltre i termini. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 6654 del 2016, respingeva il ricorso. La società contribuente proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale, con sentenza n. 3327/17.

Oriental Finance S.r.l. ricorre per cassazione svolgendo motivi. Roma Capitale si è costituita con controricorso. All’udienza del 7 maggio 2019, la causa, tenuto conto della natura nomofilattica delle questioni trattate, è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione in udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, che sopprime l’obbligo della presentazione della dichiarazione ICI e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, che introduce il principio di legalità, nella parte della sentenza in cui i giudici di appello affermano la tempestività della notifica dell’avviso di accertamento sul presupposto erroneo della sussistenza di un obbligo dichiarativo in capo alla società con riferimento all’anno 2008 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, nella parte della sentenza in cui i giudici di appello hanno ritenuto inammissibili le censure devolute in relazione al vizio di motivazione dell’avviso di accertamento(in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine al denunciato vizio di motivazione dell’atto impugnato (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), atteso che nessun cenno viene fatto nella sentenza alla lamentela di parte circa la mancata giustificazione dell’accertamento in carenza di un obbligo dichiarativo, in quanto già abolito e dei motivi che avrebbero indotto il Comune a chiedere il pagamento delle imposte oltre il termine previsto per il mancato pagamento. Sul punto, i giudici di appello si sarebbero limitati a dichiarare apoditticamente di ritenere legittimo il rinvio di un anno dei termini di decadenza in quanto, “nella fattispecie si è verificata una violazione dichiarativa”.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, nella parte della sentenza in cui i giudici di appello avrebbero ritenuto inammissibili le censure devolute in relazione all’inesistenza di un obbligo dichiarativo in capo alla società con riferimento all’anno 2008 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Il contribuente precisa che dalla motivazione riportata nell’avviso di accertamento nessun dubbio potrebbe sorgere che le contestazioni reative ad ICI possono riguardare un anno diverso dal 2008, mentre del tutto sorprendente sarebbe la decisione dei giudici di appello secondo cui l’avere dedotto che: “Il D.Lgs. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, con decorrenza dall’anno 2007, ha soppresso l’obbligo di presentazione della dichiarazione di nuove rendite rispetto a quelle che assume essere state segnalate con la dichiarazione ICI del 2005”, costituirebbe un “nuovo motivo di illegittimità non dedotto in primo grado per cui, ampliando il tema decisionale, è inammissibile”. Parte contribuente precisa che non vi è dubbio che l’avviso di accertamento si riferisca all’anno di imposta 2008 e che la nuova indagine su eventuali omissioni connesse in anni precedenti, e sulle eventuali ripercussioni su di esse nell’anno 2008, si è resa necessaria solo dopo la sentenza di primo grado, in quanto il giudice, pur in presenza della provata assenza di un obbligo dichiarativo per l’anno 2008, in virtù della L. n. 296 del 2006, ha ritenuto legittimo l’accertamento in funzione proprio di una omissione dichiarativa. Ne consegue che i motivi sostenuti nel giudizio di secondo grado non amplierebbero l’iniziale tema decisionale, in quanto lo stesso riguarderebbe esclusivamente l’anno di imposta 2008.

4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1, quater, nella parte della sentenza in cui i giudici di appello dispongono il raddoppio del contributo unificato a carico della società, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che tale disposizione non sarebbe applicabile ai processi tributari, ma solo ai procedimenti civili.

5.1 primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, in quanto tutti incentrati sulla questione della sussistenza, con riferimento all’anno di imposta, dell’obbligo dichiarativo ICI, sono infondati.

Va premesso, che i giudici di appella deducono l’inammissibilità delle censure proposte dalla società ricorrente dalla circostanza che non sussisterebbe la prova che la stessa abbia fatto la dichiarazione ai fini ICI con riferimento agli immobili acquistati nel 2005 a cui si riferisce l’imposta relativa al 2008, rilevando che si tratta di un motivo di illegittimità non dedotto in primo grado per cui, ampliando il tema decisionale, va dichiarato inammissibile. Con il terzo motivo, parte ricorrente si giustifica sostenendo che non vi è dubbio che l’avviso di accertamento si riferisca all’anno di imposta 2008 e che la nuova indagine su eventuali omissioni connesse in anni precedenti, e sulle eventuali ripercussioni su di esse nell’anno 2008, si è resa necessaria solo dopo la sentenza di primo grado, in quanto il giudice, pur in presenza della provata assenza di un obbligo dichiarativo per l’anno 2008, in virtù della L. n. 296 del 2006, ha ritenuto legittimo l’accertamento in funzione proprio di una omissione dichiarativa. Ne consegue che, secondo la ricorrente, i motivi sostenuti nel giudizio di secondo grado non amplierebbero l’iniziale tema decisionale, in quanto lo stesso riguarderebbe esclusivamente l’anno di imposta 2008.

5.1. La Corte rileva che nessuna censura può essere espressa alla sentenza impugnata, tenuto conto che non può essere condivisa la prospettazione illustrata in ricorso dalla società contribuente, sulla base del rilievo che la questione della insussistenza dell’obbligo dichiarativo avrebbe dovuto riguardare il “thema decidendum” del giudizio di primo grado, trattandosi del presupposto normativo della asserita non debenza dell’imposta, essendo preclusa alla parti, in sede di appello la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase del giudizio di primo grado e nè rilevabili d’ufficio.

Nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione di un nuovo motivo di illegittimità dell’atto impositivo, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti con il ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 (Cass. n. 19616 del 2018; Cass. n. 22662 del 2014).

5.2. Ciò premesso, va rilevata l’infondatezza della censura, predicata anche con il primo ed il secondo motivo di ricorso, per le considerazioni che seguono.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, prevede l’obbligo, a carico dei soggetti passivi ICI, di dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti da imposta, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio. La dichiarazione predetta ha effetto anche per gli anni successivi sempre che non si verifichino modificazioni dei dati e degli elementi dichiarati da cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta, nel qual caso i contribuenti sono tenuti a denunciare le modificazioni intervenute.

Il D.L. 223 del 2006, art. 37, comma 53, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, ha soppresso a decorrere dal 1 gennaio 2007, sia l’obbligo di dichiarazione che quello di comunicazione. Per effetto di una modifica operata dalla L. Finanziaria 2007, art. unico, comma 174 (L. 27 dicembre 2006, n. 296) il venire meno dell’obbligo dichiarativo veniva limitato ai casi in cui gli elementi rilevanti ai fini ICI dipendessero da atti per i quali fossero applicabili le procedure telematiche dell’Adempimento Unico Informatico (previste dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3 bis). Il comma 53 in esame rinviava però l’efficacia della soppressione alla data di “effettiva operatività” del sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali, “da accertare” con provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, al fine di consentire ai Comuni di avere a disposizione le informazioni necessarie per l’effettuazione dei controlli relativi all’ICI, diversamente reperibili solamente nella dichiarazione /comunicazione ICI. Il successivo comma 54 disponeva che la circolazione e la fruizione della base dei dati catastali gestita dall’Agenzia del territorio, in attuazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 59, comma 7 bis, come modificato dal D.Lgs. n. 159 del 2006, doveva essere assicurata entro il 31.12.2006. L’Agenzia del territorio, con riferimento a tale disposizione, ha emanato, in data 15.12.2006, la circolare n. 7, con cui si è precisato che, atteso che l’art. 59, citato comma 7 bis, prevede l’emanazione di un decreto del direttore dell’Agenzia del territorio, di concerto con il Comitato per le regole tecniche sui dati territoriali delle pubbliche amministrazioni, con il quale siano stabilite le regole tecnico- economiche per l’utilizzo in via telematica dei dati catastali da parte dei sistemi informatici delle altre amministrazioni pubbliche – l’Agenzia definiva in via provvisoria le modalità di fruizione della base dati catastali. Con tale circolare l’Agenzia comunicava l’attivazione, in data 30 dicembre 2006, del servizio di fornitura delle informazioni catastali derivanti dall’adempimento unico, per consentire l’applicazione delle disposizioni sopra richiamate, di cui al D.L. 223 del 2006, art. 37, comma 53. Il sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali, almeno per quanto attiene l’applicazione del citato comma 53, risultava essere effettivamente in operatività, ma mancava, il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio che accertasse tale operatività e, di concerto con il Comitato per le regole tecniche sui dati territoriali delle pubbliche amministrazioni, ne stabilisse le regole tecnico economiche per l’utilizzo. Con il decreto territoriale dell’Agenzia del territorio del 13 dicembre 2007, in vigore dal 25 novembre 2007, sono state definite le regole tecnico- economiche per l’utilizzo dei dati catastali per via telematica da parte dei sistemi informatici di altre amministrazioni. Il decreto ha concorso a rendere concretamente attuabile la soppressione dell’obbligo di presentare la dichiarazione e la comunicazione ICI. Infatti, con provvedimento del 18 dicembre 2007, pubblicato in Gazz. Uff. 22 dicembre 2007, n. 297, il Direttore dell’Agenzia delle entrate ha accertato, con effetto dalla predetta data, l’operatività del sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali per i comuni, rendendo così finalmente operativa la disposizione di cui al D.L. 223 del 2006, art. 37, comma 53 (convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006), che ha soppresso l’obbligo di dichiarazione ai fini ICI.

L’obbligo tuttavia viene meno, a decorrere dal 18 dicembre 2007, solo quando l’atto da cui dipendano gli elementi rilevanti ai fini dell’ICI sia registrato, trascritto e volturato mediante il c.d. “modello unico informatico”. La L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 174, dispone che: “Resta fermo l’obbligo di presentazione della dichiarazione nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell’imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3 bis, concernente la disciplina del modello unico informatico”.

Nella fattispecie, la società contribuente aveva provveduto in data 2005 alla variazione della rendita di alcune unità immobiliari, ed all’acquisto di immobili, come è dato leggere a pag. 4 del ricorso introduttivo, in cui si riporta il contenuto delle controdeduzioni del Comune di Roma che contesta l’omissione dell’obbligo dichiarativo. Come precisato dall’Agenzia delle entrate nel controricorso, ed tale riguardo parte ricorrente non risulta avere dedotto alcunchè, il patrimonio dell’Oriental Finance s.r.l. è stato costituito da unità immobiliari precedentemente all’entrata in vigore della Finanziaria 2007 per le quali la società ha omesso comunque di inoltrare la dichiarazione al Comune di Roma, pur essendo a ciò onerata, tenuto conto che l’operatività del sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali per i comuni è entrata in vigore a seguito della pubblicazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate in data 22 dicembre 2007, n. 297.

Ne consegue che le dedotte censure vanno rigettate.

5.4. Il quarto motivo è inammissibile.

Secondo l’indirizzo condiviso da questa Corte, il contributo unificato costituisce debito fiscale (Cass. S.U., 5 maggio 2011, n. 9840) ovvero “entrata tributaria erariale” (Cass. 29 dicembre 2016, n. 27331) rispetto alla quale creditore è l’Amministrazione e non le parti in causa del singolo giudizio, sicchè essa è soggetta ad accertamento secondo le dinamiche proprie delle entrate fiscali e rientranti, quanto a contenzioso, nella giurisdizione tributaria (Cass. n. 9840 del 2011 cit.). Questa Corte, con ordinanza n. 29424 del 2019, ha affermato che: “in tale contesto, la declaratoria, ad opera del giudice della causa di impugnazione cui inerisce il contributo, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio di esso in ragione dell’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione stessa, non ha natura di condanna, nè di fatto costitutivo del diritto al raddoppio, ma ha soltanto funzione di agevolazione dell’accertamento amministrativo, rispetto alla sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio stesso. Tale dichiarazione non impedisce dunque nè all’Amministrazione di perseguire il raddoppio che ritenga dovuto nonostante la mancata dichiarazione, nè al privato di contestare la sussistenza del diritto al raddoppio a fronte di una dichiarazione di tale presupposto da parte del giudice della causa e che egli ritenga erronea, il tutto nelle sedi e con i procedimenti amministrativi e giurisdizionali propri delle entrate tributarie”.

Ne consegue che la statuizione relativa al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa, ha natura amministrativa (Cass. n. 15111 del 2018), pertanto non è ammissibile la deduzione della corrispondente questione come ragione di impugnazione, stante l’indifferenza della controparte del giudizio rispetto ad essa ed essendo consentito contestare la stessa presso le sedi opportune.

La Corte ha, altresì, precisato che: “neppure può condividersi il timore che ciò comporti un indebito prolungamento dei tempi di giustizia (in quanto non è detto, ed è anzi improbabile – che l’Amministazione, pur a fronte di una erronea dichiarazione sui presupposti processuali del raddoppio, lo persegua ugualmente, stante il fatto che la duplicazione di un importo pari a zero, dà comunque zero come risultato, mentre consentire che tale profitto possa essere oggetto di impugnazione prolunga senza dubbio il processo con riferimento a controparti del giudizio (che sono del tutto estranee alla questione stessa) nè la perdita della tutela giurisdizionale (in quanto come detto la dichiarazione giudiziale ha mera valenza amministrativa, priva di effetti preclusivi sulle pretese che l’una o l’altra parte del rapporto obbligatorio possono far valere nelle sedi giurisdizionali competenti)” (Cass. n. 29424 del 2C19). Il motivo va, dunque, dichiarato inammissibile.

6. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 23 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a tritolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

 

 

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