Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2631 del 05/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2631 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 25504-2011 proposto da:
IBI

IDROBIOIMPIANTI

S.P.A.

C.F.

06593350637,

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 180,
presso lo studio LEGALE SANINO, rappresentata e
difesa dall’Avvocato MAIONE TOMMASO, unitamente
2013

all’avvocato SANINO MARIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

3301

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Data pubblicazione: 05/02/2014

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

_

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

avvocati SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, D’ALOISIO
CARLA, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 670/2011 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 29/04/2011 R.G.N. 1680/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato BRASCHI FRANCESCO per delega SANINO
MARIO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

Udienza del 19 novembre 2013 — Aula B
n. 18 del ruolo — RG n. 25504/11
Presidente: Stile – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello dell’INPS avverso la sentenza del
Tribunale di Napoli in data 12 novembre 2007 e, in riforma di tale sentenza, rigetta l’opposizione
proposta dalla IBI — IDROBIOIMPIANTI s.p.a. contro la cartella di pagamento notificatale il 26
aprile 2007 per il pagamento di una ingente somma di denaro in favore dell’INPS, per “contributi —
sgravi CFUUE” relativi agli anni dal 1995 al 2001.
La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la cartella di pagamento impugnata consegue al recupero delle agevolazioni contributive
derivanti dalla stipulazione di contratti di formazione e lavoro, accordate da specifiche previsioni
normative, di cui società IBI ha usufruito nel periodo 1995-2001;
b) la Commissione europea, con decisione dell’ 11 Maggio 1999, ha dichiarato parzialmente
illegittimi gli aiuti concessi attraverso i suddetti sgravi contributivi, giudicando compatibili con il
Trattato solo gli aiuti riguardanti: 1) la creazione di nuovi posti di lavoro a favore di lavoratori che
non avevano ancora trovato un impiego o che avevano perso l’impiego precedente, nel senso
definito dagli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione; 2) l’assunzione di lavoratori che
incontravano difficoltà specifiche ad inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro (giovani fino a 25
anni, se diplomati, 29 se laureati, o disoccupati di lunga durata);
c) con particolare riferimento al regime di aiuti istituito con l’art. 15 della legge n. 196 del
1997 per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato,
nell’art. 2 della suddetta decisione si stabiliva che tali aiuti potevano considerarsi compatibili con il
mercato comune e l’accordo SEE purché rispettosi della “condizione della creazione netta di posti
di lavoro come definita dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione”;
d) con sentenza del 7 Marzo 2002, la Corte di Giustizia CE si è pronunziata sul ricorso
presentato dall’Italia per l’annullamento della suddetta decisione della Commissione, respingendo il
ricorso;
e) la CGUE ha chiarito che nessun legittimo affidamento può invocarsi al fine di sottrarsi
all’obbligo di restituzione degli aiuti illegittimi, essendo tale esito prevedibile al momento della
fruizione del beneficio, tanto più che l’art. 88 del Trattato CE — il cui contenuto è stato specificato
dagli artt. 2 e ss. del Regolamento CE n. 659 del 1999 — stabilisce che i singoli Stati membri hanno
l’obbligo di comunicare, in tempo utile, alla Commissione i progetti diretti ad istituire o modificare

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

aiuti di Stato e di dare esecuzione ai progetti stessi solo dopo la decisione della Commissione
medesima;
O lo Stato italiano nel maggio 1997, dopo la promulgazione della legge n. 196 del 1997, ha
provveduto ad effettuare la dovuta comunicazione, sicché tutte le agevolazioni concesse prima delle
suddetta comunicazione ovvero nelle more della decisione della Commissione sono illegittime;

h) da respingere è anche l’eccezione di prescrizione della IBI, in quanto, nella specie,
l’obbligo di recupero è imposto all’autorità nazionale dal diritto comunitario e, pertanto non è
soggetto a prescrizione estintiva secondo le norme interne ed è operante anche in presenza di
sentenza passata in giudicato che abbia affermato la sussistenza del diritto di fruire dei benefici
introdotti dalla normativa nazionale (vedi, in tal senso, CGUE sentenza 18 luglio 2007, causa C119/05, par. 63);
i) quanto alla censura con la quale la società IBI lamenta che l’INPS non ha fornito la prova
della insussistenza dei presupposti individuati dalla Commissione UE per la legittimità delle
agevolazioni contributive va precisato che, poiché si è in presenza del recupero di contribuzione
indebitamente omessa da parte del datore di lavoro e poiché il diritto allo sgravio rappresenta una
deroga rispetto alla regola dell’obbligo contributivo, è onere dell’impresa che rivendica il diritto a
rientrare nella disciplina derogatoria di dimostrare la sussistenza dei relativi requisiti, come
costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità;
1) nella specie, dalla Circolare INPS n. 85 del 9 aprile 2001, prodotta dall’IBI, risulta che per
provare l’incremento netto di occupazione richiesto per ottenere l’agevolazione de qua si doveva
“fare riferimento alla media degli occupati nei sei mesi precedenti la trasformazione del contratto”
da formazione e lavoro a contratto a tempo indeterminato;
m) la IBI non ha dato prova di questa ultima circostanza, essendosi limitata a dedurre di avere
assunto dal 1995 al 2001 con contratti di formazione e lavoro solo personale di età inferiore ai
trentadue anni e che tutti i suddetti contratti sono stati poi convertiti.
2.— Il ricorso della IBI — IDROBIOIMPIANTI s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per
cinque motivi; resiste, con controricorso, l’INPS, in proprio e anche quale mandatario della SCCI
s.p.a.
La società ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Profili preliminari
1.— Preliminarmente deve essere esaminata la censura della società ricorrente — proposta
soltanto nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. — di inammissibilità dell’atto di appello dell’INPS
2

g) analogamente illegittime sono le agevolazione concesse dopo tale decisione — avente
carattere negativo — senza possibilità di invocare il principio del legittimo affidamento;

per mancanza della esposizione sommaria dei fatti e della indicazione di specifici motivi di
impugnazione.
Tale censura è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

Nella specie, diversamente da quanto accaduto in altri casi (vedi, ad esempio: Cass. n. 2012
del 1995 cit.) le denunciate carenze dell’atto di appello non hanno impedito alla Corte territoriale di
esaminare nel merito le censure dell’INPS e di accoglierle.
Conseguentemente, può dirsi che, sia pure implicitamente, la Corte partenopea abbia risolto la
questione dell’ammissibilità — della quale non vi è traccia nella sentenza, neppure nella parte
iniziale — in senso positivo.
In tale situazione, la prospettata inammissibilità dell’appello per la mancata esposizione degli
elementi di fatto e per la genericità delle censure — essendo stata esclusa dal Giudice d’appello —
non solo potrebbe essere rilevata d’ufficio in sede di legittimità, ma neppure avrebbe potuto essere
dedotta, per la prima volta, con la memoria illustrativa di cui all’art. 378 cod. proc. civ., dovendo,
caso mai, essere fatta valere con i motivi di ricorso, attesa la conversione delle ragioni di nullità
della sentenza in motivi di gravame, che comporta l’onere della parte interessata di impugnare la
decisione anche con riguardo alla pronuncia implicita sulla validità dell’atto di appello (vedi, per
tutte: Cass. 28 gennaio 1984, n. 711; Cass. 20 maggio 2008, n. 12746; Cass. 24 maggio 2013, n.
12923).
È, infatti, noto che le memorie di cui all’ad 378 cod. proc. civ. hanno la funzione di queste
soltanto di chiarire le ragioni giustificative dei motivi, già debitamente enunciate nel ricorso (vedi,
per tutte: Cass. 20 aprile 2012, n. 6222; Cass. 21 febbraio 2003, n. 2637; Cass. 16 dicembre 2000, n.
15505).

II

Sintesi dei motivi di ricorso

2.— Il ricorso è articolato in cinque motivi.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della legge 19 luglio 1994, n. 451.
Si contesta la dichiarazione di illegittimità del beneficio contributivo di cui si discute e si
sottolinea che la ricorrente non poteva dubitare della relativa fruibilità, visto che tale agevolazione
aveva la medesima natura di altre analoghe del passato. Pertanto, dovrebbe farsi applicazione del
principio del legittimo affidamento, riconosciuto dal nostro ordinamento e da quello UE.

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Come ricorda anche la ricorrente è poi pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il
controllo sull’ammissibilità dell’atto d’appello può essere effettuato anche d’ufficio nel giudizio di
cassazione, salvo che la relativa questione sia stata esaminata e risolta, con esito positivo o
negativo, dal giudice d’appello e manchi una specifica impugnazione (Cass. 2 febbraio 1990 n. 706;
Cass. 22 febbraio 1995, n. 2012; Cass. SU 25 novembre 1983, n. 7070).

2.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione: a) della decisione della Commissione europea dell’Il maggio 1999;
b) dell’art. 2697 cod. civ.

Si contesta l’affermazione della Corte partenopea secondo cui, nella specie, l’omissione
contributiva sarebbe indebita, non essendovi la prova della realizzazione di un incremento netto di
occupazione registratosi per effetto delle assunzioni con contratti di formazione e lavoro in oggetto.

Tale prova specifica è stata limitata al periodo 1997-2001, sul presupposto che il periodo
precedente non fosse in discussione sia per l’intervenuta prescrizione sia perché si era ritenuto che
la problematica sollevata dalla Commissione UE riguardasse, eventualmente, soltanto la proroga
introdotta dalla legge n. 196 del 1997.
Comunque, per il periodo antecedente il 1997, la prova, ancorché non dettagliata, era
evincibile dai libri matricola depositati in atti, dai quali emerge la legittimità del beneficio anche per
gli anni 1995-1996.
2.3.— Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione della decisione della Commissione europea dell’il maggio 1999.
Si assume che la Corte territoriale avrebbe invertito l’onere della prova laddove ha posto a
carico della società la dimostrazione della sussistenza dell’incremento occupazionale di cui si è
detto e dei requisiti per avvalersi del beneficio de quo, mentre avrebbe dovuto essere l’INPS a dare
tale prova.
Invece, pur avendo la IBI ugualmente fornito la prova di tali requisiti, comunque l’addebito è
stato contestato senza un preventivo accesso ispettivo dal quale potesse desumersi la riscontrata
assenza dei tre requisiti richiesti dalla Commissione UE: 1) età degli assunti inferiore ai trentadue
anni; 2) trasformazione dei contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato; 3)
realizzazione di un effettivo incremento occupazionale netto, per effetto di dette assunzioni.
2.4.— Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
Si sostiene che, nella specie, deve trovare applicazione — in considerazione del fatto che
l’unico atto interruttivo è rappresentato dalla lettera dell’INPS pervenuta a destinazione il 13
gennaio 2005, per un presunto credito contributivo relativo al periodo 1995-2001 — la normativa su
richiamata in base alla quale il diritto a riscuotere i contributi si prescrive in cinque anni. Pertanto,
diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, in ogni caso, ssarebbero prescritti gli
addebiti relativi al periodo da novembre 1995 al 12 gennaio 2000, come, del resto, ha affermato il
giudice di primo grado.

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Si precisa che la società ha fornito la prova della sussistenza di tutti gli elementi ritenuti
indispensabili dalla Commissione europea per la concessione del beneficio di cui si tratta.

2.5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 116, commi 15 e 16, della legge 23 dicembre 2000, n.
388; b) della Circolare INPS n. 88 del 2002; c) della Direttiva ministeriale 12 aprile 2001 n. 1/2001.

Si sostiene che nella cartella esattoriale la misura degli interessi legali è diversa e superiore da
quella corrispondente al tasso legale, mentre la Corte partenopea non ha rilevato questo errore.

In tale ipotesi dovrebbe farsi rientrare anche la presente fattispecie, che è caratterizzata dal
fatto che la società ha operato in conformità di una normativa, tuttora non modificata.
Conseguentemente, all’eventuale debito dovrebbero essere applicati i soli interessi legali.
III — Premessa all’esame delle censure
3.- Per chiarezza espositiva, si ritiene utile effettuare una breve ricognizione delle norme dei
Trattati della UE che disciplinano la materia degli aiuti di Stato comunitari, le quali hanno nell’arco
di tempo in cui si inscrive la presente controversia hanno mutato numerazione (e anche contenuto,
principalmente con il Trattato di Lisbona).
Va, quindi, precisato che, dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam (1° maggio
1999), tutti gli articoli del trattato CE sono stati rinumerati, pertanto gli artt. 92, 93 e 94 del Trattato
(sugli aiuti di Stato) sono diventati, nella versione consolidata del TCE, gli artt. 87, 88 e 89. Il
TFUE varato con il Trattato di Lisbona (ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009) ha apportato
alcune modifiche sostanziali alla suddetta normativa e ne ha ulteriormente modificato la
numerazione (artt. 107, 108 e 109 TFUE).
Ciò spiega la ragione per la quale, nella ricostruzione della attuale vicenda, la pertinente
disciplina del Trattato viene richiamata, con riferimento ai diversi periodi di tempo interessati, con
numerazioni differenti.
4.- Inoltre, per una miglior comprensione delle vicende antecedenti la presente controversia,
giova ricordare quanto segue.
Il 7 maggio 1997 le Autorità italiane notificarono alla Commissione europea, ai sensi dell’art.
93, n. 3, del Trattato, un progetto di legge relativo ad aiuti di Stato, che, successivamente approvato
dal Parlamento, divenne la L. n. 196 del 1997; tale progetto di legge fu iscritto nel registro degli
aiuti notificati, sotto il numero N 338/97. Sulla base di informazioni trasmesse dalle Autorità
italiane, la Commissione esaminò altri regimi di aiuti relativi a tale settore, cioè le L. n. 863 del
1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994; queste leggi, poiché erano già in
vigore, vennero iscritte nell’elenco degli aiuti non notificati sotto il numero NN 164/97.
Con lettera 17 agosto 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GU
C 284, pag. 11), la Commissione informò il Governo italiano della sua decisione di avviare il
5

In particolare, nella suindicata Direttiva ministeriale è stata prevista la riduzione delle
sanzioni civili (accessorie ai crediti degli enti pubblici previdenziali) proprio nel caso “della
particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo all’inadempienza”.

procedimento previsto dall’art. 93, n. 2, del Trattato con riguardo agli aiuti per l’assunzione
mediante contratti formazione e lavoro a tempo determinato previsti dalle L. n. 863 del 1984, L. n.
407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994 e concessi dal novembre 1995.

Acquisite le osservazioni del Governo italiano e le ulteriori precisazioni e informazioni
richieste, la Commissione, al termine del procedimento, adottò la propria decisione in data 11
maggio 1999, notificata alla Repubblica italiana con nota 4 giugno 1999, n. SG(99) D/4068.
Con la suddetta decisione la Commissione stabilì quanto segue:
“Articolo 1.
1. Gli aiuti illegittimamente concessi dall’Italia, a decorrere dal novembre 1975, per
l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalle L. n. 863 del
1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994, sono compatibili con il mercato
comune e con l’accordo SEE a condizione che riguardino: la creazione di nuovi posti di lavoro
nell’impresa beneficiarla a favore di lavoratori che non hanno ancora trovato un impiego o che
hanno perso l’impiego precedente, nel senso definito dagli orientamenti in materia di aiuti
all’occupazione; – l’assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a
reinserirsi nel mercato del lavoro. Ai fini della presente decisione, per lavoratori che incontrano
difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro s’intendono i giovani con
meno di 25 anni, i laureati fino a 29 anni compresi, i disoccupati di lunga durata, vale a dire le
persone disoccupate da almeno un anno. 2. Gli aiuti concessi per mezzo di contratti di formazione e
lavoro che non soddisfano alle condizioni menzionate al paragrafo 1 sono incompatibili con il
mercato comune.
Articolo 2.
1. Gli aiuti concessi dall’Italia in virtù della L. n. 196 del 1997, art. 15 per la trasformazione
di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato sono compatibili con il
mercato comune e con l’accordo SEE purché rispettino la condizione della creazione netta di posti
di lavoro come definita dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione.
Il numero dei dipendenti delle imprese è calcolato al netto dei posti che beneficiano della
trasformazione e dei posti creati per mezzo di contratti a tempo determinato o che non garantiscono
una certa stabilità dell’impiego.
2. Gli aiuti per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo
indeterminato che non soddisfano la condizione di cui al paragrafo 1 sono incompatibili con il
mercato comune.
Articolo 3.
6

Con la stessa lettera la Commissione informò altresì il Governo italiano della sua decisione di
dare corso al medesimo procedimento per gli aiuti alla trasformazione dei contratti di formazione e
lavoro in contratti a tempo indeterminato di cui all’art. 15 della legge n. 196 del 1997.

L’Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che
non soddisfano alle condizioni di cui agli artt. 1 e 2 già illegittimamente concessi. Il recupero ha
luogo conformemente alle procedure di diritto interno. Le somme da recuperare producono interessi
dalla data in cui sono state messe a disposizione dei beneficiari fino a quella del loro recupero
effettivo. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo
dell’equivalente sovvenzione nel quadro degli aiuti a finalità regionale.
Articolo 4.

Articolo 5.
La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione”.
Con sentenza del 7 marzo 2002 in causa C-310/99, la Corte di Giustizia CE ha respinto il
ricorso della Repubblica italiana, depositato il 13 agosto 1999, diretto a far annullare la decisione
della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per
interventi a favore dell’occupazione, e, in subordine, a far annullare tale decisione nella misura in
cui prevede il recupero delle somme che costituiscono un aiuto incompatibile con il mercato
comune.
Con successiva sentenza del 1° aprile 2004, in causa C-99/02, la Corte di Giustizia CE, sul
presupposto che “la Commissione aveva fissato un termine di due mesi a decorrere dalla data di
notifica di detta decisione” (punto 24) e che “…allo scadere di tale termine, il governo italiano non
aveva adottato le misure necessarie per recuperare gli aiuti in questione” (punto 25), ha statuito che
“la Repubblica italiana, non avendo adottato entro i termini prescritti tutte le misure necessarie per
recuperare presso i beneficiari gli aiuti che, ai sensi della decisione della Commissione 11 maggio
1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore
dell’occupazione, sono stati giudicati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, è venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 3 e 4 della detta decisione”.
IV-Esame della censure
5.- In conformità con un consolidato orientamento espresso da questa Corte in controversie
analoghe alla presente, cui il Collegio intende dare continuità (vedi, per tutte: Cass. 13 febbraio
2013, n. 3539; Cass. 3 maggio 2012, n. 6671, n. 6672, n. 6673, n. 6674; Cass. 4 maggio 2012, n.
6756, n. 6757, n. 6758, n. 6759; Cass. 10 agosto 2012, n. 14385; Cass. 22 marzo 2013, n. 7306), il
ricorso deve essere respinto, per le ragioni di seguito esposte.
6.-. In ordine logico, vanno esaminate per prime le censure formulate nel quarto motivo, con
le quali, come si è detto, la società ricorrente contesta la statuizione con la quale la Corte territoriale
ha escluso, nei termini già indicati nello storico di lite, la fondatezza dell’eccezione di prescrizione
del credito dell’INPS.
7

Entro due mesi a decorrere dalla data di notificazione della presente decisione, l’Italia
informa la Commissione delle misure adottate per conformarvisi.

6.1.- L’INPS ha fatto riferimento all’art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 il quale, sotto il
titolo “Periodo limite”, prevede che:

2. Il periodo limite inizia il giorno in cui l’aiuto illegittimo viene concesso al beneficiario
come aiuto individuale o come aiuto rientrante in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa
dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei
confronti dell’aiuto illegittimo interrompe il periodo limite. Ogni interruzione fa ripartire il periodo
da zero. Il periodo limite viene sospeso per il tempo in cui la decisione della Commissione è oggetto
di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee.
3. Ogni aiuto per il quale è scaduto il periodo limite è considerato un aiuto esistente”.
L’Istituto ha fatto altresì richiamo della sentenza del Tribunale CE del 10.4.2003 in causa T369/00, laddove si afferma (prg. 83) che “Riguardo all’argomento della Scott trattasi della parte
privata beneficiaria dell’aiuto secondo il quale le misure adottate dalla Commissione tra il gennaio e
l’agosto del 1997 non potevano avere l’effetto d’interrompere il termine di prescrizione in
applicazione dell’art. 15 del regolamento n. 659/1999, per il motivo che essa non aveva all’epoca
conoscenza di tali misure, si deve osservare che l’art. 15 ha introdotto un termine di prescrizione
unico per il recupero di un aiuto che si applica allo stesso modo allo Stato membro interessato, al
beneficiario dell’aiuto e ai terzi. Il successivo prg 85 precisa peraltro che “…il solo fatto che la Scott
ignorasse l’esistenza delle richieste di informazioni effettuate dalla Commissione alle autorità
francesi a partire dal 17 gennaio 1997 non ha come conseguenza di privare le stesse di efficacia
giuridica nel confronti della Scott. Pertanto la lettera 17 gennaio 1997, inviata dalla Commissione
prima dell’avvio del procedimento amministrativo, con la quale erano richieste informazioni
complementari alle autorità francesi, costituisce, in applicazione dell’art. 15 del regolamento n.
659/1999, una misura che interrompe il termine di prescrizione decennale, che nel caso di specie è
iniziato a decorrere il 31 agosto 1987, prima della sua scadenza, anche se il ricorrente e la Scott
ignoravano all’epoca l’esistenza di una tale corrispondenza”.
Il suddetto riferimento non appare tuttavia decisivo, poiché, come del resto evidenziato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 125 del 2009:
a) il precedente art. 14 del medesimo Regolamento, sotto il titolo “Recupero degli aiuti, si
riferisce alle iniziative della Commissione e, al comma 3, dispone che “…il recupero va effettuato
senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a
condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della
Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri
interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici,
comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario”, cosicché deve convenirsi che il
principio secondo cui le procedure dirette al recupero dell’aiuto incompatibile sono disciplinate dal
solo diritto nazionale è espresso in forma molto chiara;
8

“1. I poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un
periodo limite di 10 anni.

c) anche la giurisprudenza comunitaria (vedi, in particolare, Corte di Giustizia CE del 22
aprile 2008 in causa C-408/04), nel prendere in esame il “Periodo limite” ed il termine di
prescrizione stabilito dall’ari 15 del Regolamento n. 659/1999, ne tratta a proposito del tempo di cui
dispone la Commissione per esercitare la sua funzione di controllo della compatibilità dell’aiuto e
per la conseguente ingiunzione di recupero allo Stato membro, come chiaramente si evince nei
paragrafi 98, 101 e 103.
6.2.- Deve invece trovare applicazione la regola, più volte enunciata dalla giurisprudenza
comunitaria (vedi, tra le tante: Corte di Giustizia CE 21 maggio 1990, C-142/87; Corte di Giustizia
CE 20 settembre 1990, C- 5/89; Corte di Giustizia CE 9 febbraio 1999, C-343196; Corte di Giustizia
CE 20 settembre 2001, C-390/98; Corte di Giustizia CE 5 ottobre 2006, C-368/04), secondo cui il
recupero dell’aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri,
con il rispetto dei principi:
a) di equivalenza, tra quanto è previsto dal diritto comunitario e quanto è previsto per le
violazioni del diritto interno;
b) di effettività del rimedio, nel senso che non deve essere reso impossibile o eccessivamente
difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario.
6.3.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte, sebbene da un punto di vista funzionale gli
sgravi contributivi concessi alle aziende concretizzino una sovvenzione pubblica, da un punto di
vista giuridico lo strumento adottato è quello della riduzione dell’entità dell’obbligazione
contributiva, cosicché, laddove l’ente previdenziale agisca per il pagamento degli importi
corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non si versa in tema di ripetizione di indebito
oggettivo, dovendosi invece accertare la sussistenza o meno del diritto agli sgravi (vedi Cass. 7
febbraio 2001, n. 1756); al contrario di indebito oggettivo può parlarsi nell’ipotesi speculare — ma
affatto insussistente nel caso di specie — di mancata fruizione del beneficio concretizzatosi nel
pagamento dell’intero importo del debito contributivo e che, come tale, dà appunto luogo ad un
pagamento indebito per la cifra corrispondente al mancato sgravio (Cass. 23 agosto 1996, n. 7772).
Deve quindi escludersi che il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di recupero
dell’aiuto di Stato illegittimo possa essere ricavato nell’ambito previsionale dell’indebito oggettivo
di cui all’art. 2033 cod. civ.
6.4.- Deve tuttavia del pari escludersi che alla fattispecie all’esame sia applicabile il termine
prescrizionale quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, siccome
espressamente previsto per il pagamento delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale,
9

b) il surricordato art. 15 è parimenti riferito ai poteri della Commissione e, con il richiamo a
“qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della
Commissione, nei confronti dell’aiuto illegale”, non ha inteso riferirsi alle azioni di recupero
avviate nell’ambito degli ordinamenti nazionali, bensì alle iniziative intraprese sempre dalla
medesima Commissione, che ben può chiedere informazioni, chiarimenti, indagini agli Stati
membri per pervenire alle proprie determinazioni;

laddove gli aiuti di Stato costituiscono una categoria giuridica dotata di una propria autonomia, tale
da determinare, in ipotesi di loro ritenuta contrarietà alla normativa europea, la doverosa reazione
recuperatoria da parte degli Stati membri.

L’incompatibilità può dunque riguardare qualsiasi tipo di aiuto, non necessariamente quindi
quelli costituiti da sgravi contributivi. La conseguente azione di recupero degli aiuti incompatibili,
anche in relazione al principio di effettività del rimedio, non può dunque ritenersi assoggettata a
termini di prescrizione variabili, siccome specificamente previsti dall’ordinamento interno per
taluni tipi di diritti, in base alla natura dell’aiuto che debba essere recuperato. Più in particolare va
osservato che la diversità tra l’azione diretta al pagamento dei contributi omessi od evasi e l’azione
di recupero degli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune trova riscontro:
a) nella differenza della fonte normativa che l’impone, rispettivamente nazionale e
comunitaria;
b) nella differenza delle finalità, per essere la prima diretta all’acquisizione della provvista
contributiva necessaria per l’assolvimento delle obbligazioni previdenziali e la seconda diretta al
ripristino dello status quo ante, dovendosi ritenere raggiunto tale obiettivo quando l’aiuto in parola
sia stato restituito dal beneficiario e, per conseguenza, il medesimo resti privato del vantaggio di cui
aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti (cfr, Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-348193;
Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-350/93);
c) nella differenza della disciplina sostanziale, essendo previste dalla legislazione nazionale,
in ipotesi di pagamenti contributivi omessi od evasi, conseguenze sanzionatorie specifiche, nel
mentre sugli aiuti già illegittimamente concessi sono dovuti gli interessi nei termini stabiliti dalla
stessa Commissione.
L’utilizzazione della procedura di iscrizione a ruolo e della successiva formazione della
cartella esattoriale, secondo le previsioni della L. n. 46 del 1999, art. 24 discende poi dal fatto che
l’attività di recupero ha ad oggetto sgravi di natura contributiva e non incide quindi sulla
qualificazione giuridica dell’azione.
6.5.- La diversità tra azione di recupero dello sgravio (da aiuto di Stato illegittimo) già
applicato e azione di pagamento di contribuzione non versata impedisce dunque di ricondurre
direttamente la prima delle due fattispecie alla specifica previsione dettata, in tema di termine
prescrizionale, per la seconda, ma neppure facoltizza l’applicazione analogica di quest’ultima,
poiché il ricorso all’analogia può ritenersi consentito soltanto se una controversia non può essere
decisa con precisa disposizione, in ipotesi cioè di un vuoto normativo (ex plurimis, Cass. 23
novembre 1965, n. 2404; Cass. 29 aprile 1995, n. 4754; Cass. 6 luglio 2002, n. 9852), che, come

10

Deve infatti osservarsi che, a mente dell’art. 87 (ex 92), comma 1, del Trattato CE “…sono
incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli
aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo
talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

tale, impone di porvi rimedio ricorrendo alle disposizioni che regolano casi simili o materia
analoghe.

6.6.- L’identicità del suddetto termine temporale con quello stabilito dal ricordato art. 15 del
regolamento (CE) n. 659/1999 (regolamento a cui la recente L. n. 234 del 1912, art. 51 in vigore dal
19 gennaio 2013, rimanda al fine di individuare il periodo nell’ambito del quale, indipendentemente
dalla forma di concessione dell’aiuto di Stato, sussiste il diritto alla restituzione dell’aiuto oggetto di
una decisione di recupero) esclude in radice, in relazione alla fattispecie per cui è causa, eventuali
dubbi di compatibilità della legislazione nazionale con la disciplina comunitaria.
La rilevata differenziazione tra l’azione diretta al pagamento dei contributi omessi o evasi e
quella diretta al recupero degli aiuti di Stato illegittimamente concessi, esclude poi che possano
ravvisarsi dubbi di legittimità costituzionale in ordine alla corrispondente diversa durata del termine
prescrizionale, dovendosi peraltro rilevare, anche con riferimento ai correlati diritti dei lavoratori
interessati, che la stessa disciplina di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, non è
legislativamente prevista come di esclusiva applicazione in tema di pagamento di contributi omessi
od evasi, residuando l’ordinario termine decennale per i contributi relativi a periodi precedenti la
data di entrata in vigore della legge, in caso di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate
nel rispetto della normativa preesistente.
6.7.- Il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data
anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4 giugno 1999) della decisione della
Commissione dell’ 11 maggio 1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune — nei
limiti indicati — degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero.
Ciò premesso, tenuto conto della rilevata durata decennale del termine di prescrizione e della
data di notifica della cartella esattoriale opposta, divengono irrilevanti ai fini del decidere ulteriori
valutazioni, quali quelle relative all’incidenza che, sul decorso del termine, attribuibile al maturare
del giudicato sul ricorso proposto dalla Repubblica Italiana avverso la decisione della
Commissione.
7.- Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente, come si è detto, contesta la sentenza
impugnata nelle parti in cui è stato posto a carico della opponente l’onere di provare con precisione
la sussistenza dei diversi elementi della non debenza delle somme indicate sulla cartella di
pagamento.
Tali motivi — che in parte sembrano contestare inammissibilmente i criteri di valutazione del
materiale probatorio il quali, come noto, rientrano nel potere discrezionale del Giudice del merito e
11

Tale ipotesi nella specie è da ritenere insussistente, stante l’applicabilità — in difetto, appunto,
di differenti peculiari disposizioni — della disciplina generale di cui all’art. 2946 cod. civ.
(estinzione dei diritti per prescrizione, salvi i casi di diversa disposizione di legge, con il decorso di
dieci anni) e l’inosservanza di tale disciplina generale, oltre che non consentita dall’ordinamento
interno, comporterebbe altresì, nei suoi riflessi sull’attività di recupero, la violazione del principio
di equivalenza.

7.1.- Come affermato anche dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 111 del 2007 —
dichiarativa della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 del
d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, sollevata in riferimento all’art. 111, comma secondo, Cost. “laddove
attribuisce agli enti previdenziali il potere di riscuotere i propri crediti attraverso un titolo (il ruolo
esattoriale, da cui scaturisce la cartella di pagamento) che si forma prima e al di fuori del giudizio e
in forza del quale l’ente può conseguire il soddisfacimento della pretesa a prescindere da una
verifica in sede giurisdizionale della sua fondatezza” — “non è irragionevole la scelta del legislatore
di consentire ad un creditore, attesa la sua natura pubblicistica e l’affidabilità derivante dal
procedimento che ne governa l’attività, di formare unilateralmente un titolo esecutivo, e, dall’altro
lato, è rispettosa del diritto di difesa e dei principi del giusto processo la possibilità, concessa al
preteso debitore, di promuovere, entro un termine perentorio ma adeguato, un giudizio ordinario di
cognizione nel quale far efficacemente valere le proprie ragioni, sia grazie alla possibilità di
ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e/o dell’esecuzione, sia grazie alla
ripartizione dell’onere della prova in base alla posizione sostanziale (e non già formale) assunta
dalle parti nel giudizio di opposizione”.
Ora, il suddetto riferimento alla ripartizione dell’onere probatorio nel giudizio di opposizione
alla cartella non può certamente essere inteso nel senso di alterare quello che è il generale regime
dell’onere probatorio nelle controversie in materia di sgravi contributivi, in genere, che trova
applicazione anche nella presente fattispecie, in conformità con quanto si desume dalle indicazioni
della Commissione UE.
7.2.— Al riguardo va precisato che la Commissione ha fissato le condizioni in presenza delle
quali può ritenersi che gli sgravi contributivi per contratti di formazione lavoro già fruiti possono
considerarsi compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie relative al recupero dei
contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro
opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della
detrazione (ex plurimis, Cass. 9 marzo 2006, n. 5137; Cass. 24 luglio 2007, n. 16351; Cass. 13
gennaio 2009, n. 499; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21898, quest’ultima specificamente in tema di
benefici che trovano fondamento nell’avvenuta conclusione di contratti di formazione e lavoro).
La circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio (e la conseguente non
recuperabilità del medesimo) siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non altera i
termini della questione, spettando pur sempre al beneficiario degli sgravi dimostrare la sussistenza
delle condizioni — stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate
dalla normativa nazionale — per poter legittimamente usufruire degli sgravi medesimi.
Tali condizioni, oltre a quelle espressamente fissate dalla Commissione, riguardano quindi
anche quelle già contemplate dalla legge nazionale e che la Commissione stessa ha come tali
considerato nell’ambito della valutazione di compatibilità con il mercato comune; in particolare
12

sono sottratti al valutazione in sede di legittimità se, come accade nella specie, risultano giustificati
da congrua e logica motivazione — sono comunque, per il resto, da respingere.

vanno perciò dedotte e provate dalla parte beneficiaria anche quelle indicate nei seguenti punti della
decisione della Commissione:

“(71) Gli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione precisano che la Commissione è in
linea di massima favorevole agli aiuti:
– riguardanti i disoccupati e
– destinati alla creazione di nuovi posti di lavoro (creazione netta) nelle PMI e nelle regioni
ammissibili agli aiuti a finalità regionale oppure
– volti ad incoraggiare l’assunzione di talune categorie di lavoratori che incontrano particolari
difficoltà di inserimento o di reinserimento sul mercato del lavoro, e ciò in tutto il territorio; in
questo caso è sufficiente che il posto di lavoro sia divenuto vacante in seguito ad una partenza
spontanea e non ad un licenziamento.
“(88) Inoltre la condizione imposta dagli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione, che
richiede che il posto occupato si sia reso vacante in seguito ad una partenza naturale e non ad un
licenziamento, è rispettata in quanto la legislazione italiana pone espressamente la condizione che
non si sia proceduto a licenziamenti. Di conseguenza, e conformemente a quanto precisato negli
orientamenti, per le categorie svantaggiate non occorre esigere che vi sia creazione netta di posti di
lavoro”.
L’individuazione dell’incombenza dell’onere probatorio, nei termini testé indicati, discende
dall’oggetto, nel caso specifico, dell’azione di recupero (ossia, come detto, degli sgravi contributivi
illegittimamente fruiti) e prescinde quindi dalla diversa questione inerente la qualificazione
giuridica dell’azione stessa e il conseguente termine prescrizionale applicabile.
7.3.— La Commissione ha affermato la legittimità soltanto parziale degli aiuti concessi
dall’Italia per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalle
leggi n. 863 del 1984, n. 407 del 1990, n. 169 del 1991 e n. 451 del 1994, nonché in virtù
dell’articolo 15 della legge n. 196 del 1997.
Solo con riferimento alla legge n. 196 del 1997 l’Italia aveva previamente provveduto a
notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3 del Trattato; la
Commissione ha quindi esaminato altri regimi di aiuti relativi a tale settore, cioè quelli previsti dalle
leggi n. 863 del 1984, n. 407 del 1990, n. 169 del 1991 e n. 451 del 1994, iscritte nell’elenco degli
aiuti non notificati.

13

“(13) Per beneficiare di tali agevolazioni i datori di lavoro non devono aver proceduto a
riduzioni di personale nei 12 mesi precedenti, salvo se l’assunzione riguarda lavoratori in possesso
di una qualifica diversa. La possibilità di accedere a tali benefici è inoltre subordinata al fatto di
aver mantenuto in servizio (con un contratto a tempo indeterminato) almeno il 60 % dei lavoratori il
cui CFL è venuto a termine nei 24 mesi precedenti.

7.4.— La Corte di giustizia CE ha affermato che uno Stato membro, le cui autorità abbiano
concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all’art. 88 CE, non può invocare il
legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all’obbligo di adottare i provvedimenti necessari
ai fini dell’esecuzione di una decisione della Commissione con cui quest’ultima ordina la
ripetizione dell’aiuto. Ammettere tale possibilità significherebbe, infatti, privare di effetto utile le
norme di cui agli artt. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorità nazionali potrebbero far valere in tal
modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l’efficacia delle decisioni emanate
dalla Commissione in virtù di tali disposizioni del Trattato (Corte di giustizia CE 7 marzo 2002, C310/99).
Già in precedenza era stato ritenuto (vedi Corte di giustizia CE, con sentenza del 20 settembre
1990, C-5/89) che “Non è in contrasto con il diritto comunitario una normativa nazionale che
garantisca la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione di
aiuti contrari al diritto comunitario.
Tuttavia, in considerazione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata
dalla Commissione a norma dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono in
linea di principio fare legittimo affidamento sulla regolarità di un aiuto solamente qualora
quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista da tale articolo.
Non può certamente escludersi la possibilità, per il beneficiario di un aiuto illegittimamente
concesso, di invocare circostanze eccezionali sulle quali egli abbia potuto fondare il proprio
affidamento nella natura regolare dell’aiuto e di opporsi, conseguentemente, alla sua ripetizione. In
tale ipotesi spetta al giudice nazionale eventualmente adito valutare, se necessario dopo aver
proposto alla Corte delle questioni pregiudiziali di interpretazione, le circostanze del caso di
specie”.
Ancora, per Corte di giustizia CE 20 marzo 1997, Causa C-24/95 “(…) sebbene non contrasti
con l’ordinamento giuridico comunitario una legislazione nazionale che garantisce la tutela del
legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione, tuttavia, tenuto conto del
carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 93
del Trattato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di
principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto
della procedura prevista dal menzionato articolo. Un operatore economico diligente, infatti, deve
normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata, anche quando
l’illegittimità della decisione di concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una
misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede”.
Analogamente, secondo quanto affermato da Corte di giustizia CE 28 gennaio 2003, C334/99, “Per quanto riguarda le sovvenzioni già versate al momento della loro comunicazione alla
14

Deve inoltre considerarsi che, con comunicazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle
Comunità europee, la Commissione (GU 1983 C 318, pag. 3) aveva informato i potenziali
beneficiari di aiuti statali della precarietà degli aiuti che fossero stati loro illegittimamente concessi,
nel senso che essi avrebbero potuto essere tenuti a restituirli.

Con sentenza 23 febbraio 2006, resa nei procedimenti riuniti C-346/03 e C-529103, la Corte di
giustizia CE ha ribadito che “Quando un aiuto è stato versato senza previa notifica alla
Commissione ed è pertanto illegittimo in forza dell’art. 93, n. 3, del Trattato, il beneficiario
dell’aiuto non può riporre, a quel punto, alcun legittimo affidamento nella regolarità della
concessione dello stesso (…). Di conseguenza, nella misura in cui la legge n. 44/88 non era stata
debitamente notificata alla Commissione, gli agricoltori sardi interessati non potevano fare alcun
affidamento sulla legittimità degli aiuti loro concessi e l’asserita lentezza del procedimento non ha
potuto far sorgere un siffatto affidamento”.
Conforme a tale giurisprudenza della Corte di giustizia è altresì la decisione del Tribunale di
primo grado CE 12 settembre 2007, nelle cause riunite T-239/04 e T-323/04, secondo la quale “(…)
tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai
sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea
di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto
della procedura (…). Infatti, un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di
accertarsi che tale procedura sia stata rispettata anche quando l’illegittimità della decisione di
concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca
appare contraria al principio di buona fede”.
Risultano altresì di rilievo i principi ribaditi dalla Corte di giustizia CE (Grande Sezione) con
la sentenza 18 luglio 2007, C-119/05, secondo cui, in ordine alle competenze dei giudici nazionali
in materia di aiuti di Stato, “51 (…) i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla
compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune. 52 Emerge infatti da una giurisprudenza
costante che la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un
regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo
del giudice comunitario”.
7.5.— Da tali principi, vincolanti per i giudici degli Stati membri, discende che:
– l’inosservanza delle norme procedurali in ordine ai provvedimenti legislativi non notificati e
la non ancora avvenuta conclusione della procedura in ordine al progetto di legge poi divenuto
legge n. 196/97 non potevano far insorgere nei beneficiari degli aiuti alcun legittimo affidamento
sulla regolarità degli aiuti medesimi;
– l’eventuale non conoscenza delle conseguenze a cui poteva condurre la valutazione negativa
in sede comunitaria della legittimità degli aiuti e, parimenti, eventuali incertezze sull’ambito degli
15

Commissione ed il legittimo affidamento fatto valere dal governo tedesco, da un lato occorre
ricordare che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla
Commissione ai sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo
affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato
concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo. Un operatore economico
diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata
rispettata”.

orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione, non costituiscono elementi su cui
potesse fondarsi il legittimo affidamento dei beneficiari;

– né tali circostanze eccezionali potrebbero essere ravvisate in pronunce dei giudici nazionali,
ivi compresa la stessa Corte costituzionale, in ordine alla conformità degli aiuti de quibus alla
normativa comunitaria, spettando alla competenza esclusiva della Commissione, e non ai giudici
nazionali, la relativa valutazione di compatibilità con il mercato comune delle misure di aiuto.
7.6.— Va, infine, precisato che, nella fattispecie, non ricorre l’ipotesi di una decisione adottata
dalla Commissione con “eccessivo ritardo”, la quale — secondo la sentenza della Corte di giustizia
CE 24 novembre 1987, C-223/85 — potrebbe insorgere nel beneficiario della sovvenzione un
legittimo affidamento, posto che, come detto, soltanto con riferimento alla legge n. 196 del 1997
l’Italia aveva previamente provveduto a notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi
dell’art. 93, n. 3 del Trattato.
7.7.— Da quel che si è detto risulta che per l’affermazione della legittimità del beneficio
contributivo in argomento la società interessata avrebbe dovuto dare prova della sussistenza di tutto
il complesso delle condizioni sopra dettagliatamente indicate, come ha esattamente ritenuto la Corte
partenopea.
Ebbene, da quanto esposto in ricorso, non risulta che le prove asseritamente offerte fossero
idonee allo scopo e quindi dotate del carattere della decisività, sicché da tale punto di vista non si
ravvisa un idoneo rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso.
Comunque, per tutte le anzidette ragioni, il secondo e il terzo motivo sono da respingere.
8.- Da respingere è anche il primo motivo, con il quale ci si duole della mancata applicazione
del principio del legittimo affidamento.
Infatti, come si è detto, la statuizione della Corte d’appello secondo cui nella specie non
poteva farsi riferimento alla tutela dell’affidamento del cittadino sulla legittimità della normativa
interna, è conforme alle richiamate statuizioni della Commissione europea, tanto più che, anche
prima della decisione del 1999, i potenziali destinatari di aiuti di Stato erano stati avvisati della
precarietà della relativa concessione nel periodo antecedente l’esaurimento della procedura di
notifica prevista dall’art. 88 del Trattato CE.
9.- Da quel che fin qui si è detto deriva che anche il quinto motivo di ricorso non è da
accogliere.
Infatti, non solo le censure risultano formulate senza il rispetto del principio di specificità dei
motivi del ricorso per cassazione (con riguardo agli atti ivi richiamati), ma muovono dal
presupposto secondo cui la presente fattispecie sarebbe meritevole della disposta riduzione delle
16

– la mera esistenza di una o più disposizioni legislative nazionali disciplinanti gli aiuti (poi
giudicati illegittimi), costituendo il necessario presupposto per la loro applicazione, non può essere
riguardata alla stregua di una circostanza eccezionale tale da far insorgere un legittimo affidamento;

sanzioni civili in quanto la società avrebbe operato in conformità di una normativa di legge, mentre
tale presupposto è palesemente smentito da tutti i precedenti rilievi.
IV

Conclusioni

10.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 4000,00
(quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Co ‘deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 19 novembre 2013.

P.Q.M.

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