Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2631 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 10629-2016 proposto da:

M.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato Andrea Berto,

con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Alessandro

Porru, in Roma, via Paolo Emilio, n. 34;

– ricorrente –

contro

A.P.R., Avvocato, rappresentato e difeso da se stesso e

dall’Avvocato Giovanni Adriano;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Cagliari,

sezione distaccata di Sassari, n. 36/2016 pubblicata il 1 febbraio

2016;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 novembre 2020 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione del 9 settembre 2005, M.P. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sassari l’avv. A.P., chiedendo di dichiarare nulla e inefficace inter partes la scrittura privata datata 7-16 settembre 2002, in quanto contenente un illegittimo patto di quota lite, e svolgendo domande in via gradata; domandava, inoltre che il convenuto venisse condannato alla restituzione in proprio favore delle somme ottenute per differenza tra quanto percepito dallo stesso professionista e quanto dovuto per la prestazione professionale svolta, nella causa di risarcimento danni da espropriazione, contro la Provincia di Sassari ed in favore dei germani M..

L’attore deduceva di essere stato assistito, unitamente al proprio fratello B., dall’avv. A., nell’ambito di una causa civile promossa dai germani M., nei confronti dell’Amministrazione provinciale di Sassari, poi definita con sentenza del Tribunale di Sassari n. 843 del 2002, pubblicata in data 1 agosto 2002, che condannava la detta Amministrazione al pagamento della somma complessiva di Euro 332.123,10, oltre interessi e rivalutazione monetaria dall’8 febbraio 1984, nonchè alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 3.390,94, oltre accessori di legge.

Affermava altresì l’attore che, successivamente al deposito della sentenza, ma prima del suo passaggio in giudicato, i fratelli M., in data 7-16 settembre 2002, sottoscrivevano con l’avv. A. una scrittura privata, nella quale stabilivano che il ricavato della causa sarebbe stato suddiviso nella seguente misura: 45% del ricavato a M.P.; 45% del ricavato a M.B.; 10%, oltre le spese e gli onorari, all’avv. A..

Deduceva che, autorizzato dai clienti all’incasso dell’intera somma dovuta dall’Amministrazione provinciale (che con interessi e rivalutazione ammontava a complessivi Euro 1.459.586,27), l’avv. A. si liquidava la complessiva somma di Euro 379.805,12, delle quali Euro 229.793 imputati all’attività svolta in favore di M.B. ed il resto, pari a Euro 150.011,89, imputati all’attività svolta in favore di M.P..

Si costituiva in giudizio l’avv. A., resistendo.

Nel corso del giudizio di primo grado venivano prodotti documenti ed esperita consulenza tecnica d’ufficio volta alla trascrizione del contenuto di supporto magnetico (CD) prodotto dalla parte attrice, avente ad oggetto la conversazione telefonica intercorsa tra le parti che era stata registrata dall’attore, senza che il convenuto fosse a conoscenza di tale registrazione.

2. – Con sentenza n. 555 del 24 marzo 2010, il Tribunale di Sassari rigettava integralmente la domanda, condannando l’attore alla rifusione delle spese di lite.

Il Tribunale rilevava che le parti avevano espressamente convenuto l’importo delle competenze in favore dell’avv. A. nella misura di Euro 150.000 proprio nel corso della conversazione telefonica avvenuta il 20 gennaio 2005, e che il contenuto di tale accordo era stato poi formalizzato con scrittura privata del giorno successivo, ossia del 21 gennaio 2005. Con tale atto M.P. autorizzava l’avv. A. ad accreditare sul proprio conto corrente l’importo di Euro 519.793,14 e a trattenere le competenze professionali. Il raggiungimento di tale accordo aveva l’effetto di privare di valenza il precedente accordo del settembre 2002.

Il Tribunale osservava poi che sarebbe comunque pervenuto al rigetto della domanda di parte attrice anche se fosse stato ritenuto rilevante l’accordo intercorso tra le parti nel settembre 2002, non ricorrendo nel caso di specie i presupposti del patto di quota lite (dovendosi interpretare la corresponsione di una percentuale sull’esito come palmario) e non sussistendo nemmeno i presupposti per l’annullamento di tale accordo, in ragione della esecuzione volontaria del negozio asseritamente annullabile da parte dello stesso M.P..

3. – La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 1 febbraio 2016, ha rigettato l’appello di M.P..

A tale esito la Corte territoriale è giunta sul rilievo che dagli atti di causa si desume che le parti abbiano raggiunto – come dimostrato dalla conversazione telefonica del 20 gennaio 2005 e dalla corrispondente scrittura privata del 21 gennaio 2005 – uri accordo sulla entità del corrispettivo dovuto dal M. all’avv. A. per l’opera professionale da questo svolta nel giudizio celebratosi dinanzi al Tribunale di Sassari nella misura di Euro 150.000, somma comprensiva di oneri fiscali: accordo pienamente valido ed efficace, perchè raggiunto nella piena libertà di espressione delle rispettive volontà, e che ha privato di pregio giuridico ogni precedente stipulazione negoziale, e dunque anche l’accordo del 7 settembre 2002.

Secondo la Corte d’appello, le domande di parte appellante volte ad una determinazione del corrispettivo, dovuto all’avv. A., in misura diversa da quella corrisposta, non possono essere accolte, in quanto deve farsi applicazione della norma di cui all’art. 2233 c.c., in forza della quale può farsi luogo a determinazione del compenso solo se questo non sia stato convenuto dalle parti.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 18 febbraio 2016, M.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 aprile 2016, sulla base di tre motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.

5. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1321 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente qualificato come nuovo accordo il contenuto della conversazione telefonica del 20 gennaio 2005; lamenta inoltre, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, che la sentenza impugnata abbia completamente omesso di motivare sul perchè abbia attribuito gli incisi (indicati a penna nella scrittura privata del 21 gennaio 2005) ai conteggi della Provincia di Sassari piuttosto che alla contestazione dei compensi richiesti dall’avv. A. a M.P..

1.1. – Il motivo è infondato.

La doglianza articolata dal ricorrente tende, in sostanza, ad un riesame dell’accertamento di fatto riservato al giudice del merito, il quale, con statuizione fondata su argomentazione logica ed adeguata, ha affermato che le parti, intendendo disciplinare i propri rapporti mediante un ulteriore accordo sostitutivo del precedente (del settembre 2002), hanno determinato (nel gennaio 2005) il corrispettivo per l’opera prestata dall’avv. A. nella misura complessiva di Euro 150.000.

A tale conclusione la Corte d’appello è giunta all’esito dell’esame della conversazione telefonica intervenuta tra le parti il 20 gennaio 2005 (il cui contenuto è versato in atti a mezzo c.t.u. disposta nel primo grado di giudizio) e della corrispondente scrittura privata del 21 gennaio 2005.

In relazione alla conversazione telefonica tra il M. e l’avv. A. (registrata dal primo all’insaputa del secondo ed avente ad oggetto l’entità delle somme pagate dalla Amministrazione provinciale ed i compensi dovuti all’avv. A. per l’opera prestata), la Corte territoriale ha infatti evidenziato che – affrontando il tema dei compensi e vista la difformità di interpretazione della clausola della scrittura privata del 7 settembre 2002 in forza della quale “il 10% oltre le spese e gli onorari andrà all’avv. A.P.” – l’avv. A. propose, proprio nel corso di tale colloquio, il pagamento delle sole competente, il M. accettò tale proposta e il professionista indicò tali competenze in complessivi Euro 150.000, rappresentando l’importo che avrebbe versato al cliente nella misura di Euro 519.793.

Con riguardo, poi, alla scrittura privata del 21 gennaio 2005, la Corte sassarese ha osservato che, con essa, il M. ha autorizzato l’avv. A. ad accreditargli la somma do Euro 519.793,14, saldo di quanto spettante sulla somma liquidata dal Tribunale di Sassari con la sentenza n. 843/2002.

Quanto, infine, al fatto che la scrittura privata contenga la dicitura “con riserva di rivedere i conti” e che in essa siano cancellate le parole “a completa tacitazione”, la Corte d’appello ha affermato che si tratta di elementi riferiti all’importo dovuto al M. dall’Amministrazione provinciale di Sassari.

Ora, com’è noto, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche, può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguardai la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass., Sez. I, 5 dicembre 2017, n. 29111).

Il ricorrente deduce bensì la violazione dell’art. 1321 c.c., ma in realtà la censura si risolve in una richiesta di revisione della ricostruzione, operata dalla Corte d’appello, della comune volontà delle parti.

Il ricorrente sostiene che la Corte di Sassari avrebbe erroneamente qualificato come nuovo accordo il contenuto della conversazione telefonica del 20 gennaio 2005; inoltre – nel lamentare che l’interpretazione dei giudici sassaresi non troverebbe conferma nella scrittura privata del 21 gennaio 2005 – si duole della “mancanza di motivazione della Corte d’appello che non ha spiegato perchè abbia attribuito la riserva operata dal M. ad aspetti contabili estranei ai due soggetti interessati e dipendenti invece da un terzo soggetto (mai contestato all’esito del giudizio di liquidazione) e non invece al cliente e professionista, parti del rapporto sottoscritto circa il pagamento fatto dall’uno nei confronti dell’altro e a cui la riserva necessariamente si riferisce”.

Ma tale censura per un verso si risolve nella prospettazione di una diversa ricostruzione della volontà delle parti del rapporto, il che investe profili di merito, posto che l’indagine sulla sussistenza della convenzione e sulla determinazione del suo contenuto si risolve in un tipico accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice del merito. Per l’altro verso non considera che la Corte dei gravame ha dato ampia e congrua motivazione sia dell’accordo sulla determinazione del compenso raggiunto nel corso della conversazione telefonica e trasfuso nella scrittura privata del giorno successivo, sia circa il senso della dicitura “con riserva di rivedere i conti” e della cancellazione delle parole “a completa tacitazione”, precisando che tale argomento è stato oggetto di ampia discussione tra le parti nella citata conversazione del 20 gennaio 2005 e sul punto il M. “aveva manifestato di dissentire dai conteggi effettuati dall’Amministrazione provinciale sia prima che si parlasse delle competenze dell’avv. A., sia dopo aver discusso di tale argomento”.

2. – Il secondo mezzo censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2233 c.c. e del decreto ministeriale 8 aprile 2004 sulle tariffe professionali, per non avere la Corte d’appello valutato se la misura del compenso fosse proporzionata all’attività prestata. Il ricorrente sottolinea la singolarità della mancata consegna di una parcella analitica redatta voce per voce. Segnala inoltre che, rapportando il compenso dell’avv. A. a quanto effettivamente percepito dai fratelli M., lo stesso ammonta al 33% del totale: percentuale dal ricorrente ritenuta sproporzionata, considerato che l’attività svolta dall’avv. A. contro la Provincia non era stata particolarmente complessa, essendo l’Amministrazione rimasta contumace nel procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale ed essendosi la difesa processuale degli attori sostanzialmente esaurita con l’acquisizione della c.t.u. che ha determinato l’indennità di esproprio.

2.1. – Il motivo è infondato.

In tema di compensi spettanti ai prestatori d’opera intellettuale, l’art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l’accordo delle parti ed in via soltanto subordinata le tariffe professionali, ovvero gli usi: le pattuizioni tra le parti risultano dunque preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass., Sez. II, 23 maggio 2000, n. 6732; Cass., Sez. VI-2, 29 dicembre 2011, n. 29837; Cass., Sez. III, 6 luglio 2018, n. 17726) ed il compenso va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera soltanto in mancanza di convenzione.

In particolare, in materia di onorari di avvocato deve ritenersi valida la convenzione tra professionista e cliente che stabilisce la misura degli stessi in misura superiore al massimo tariffario (Cass., Sez. II, 5 luglio 1990, n. 7051; Cass., Sez. II, 10 ottobre 2018, n. 25054), vi-gendo il principio di ammissibilità e validità di convenzioni aventi ad oggetto i compensi dovuti dai clienti agli avvocati, anche con previsione di misure eccedenti quelle previste dalle tariffe forensi (cfr. Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1999, n. 103).

D’altra parte, la misura del compenso dovuta dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti, in ragione del diverso fondamento dell’obbligo di pagamento degli onorari, che riposa, per il cliente, nel contratto di prestazione d’opera, e, per la parte soccombente, nel principio di causalità e dell’inefficacia nei confronti dell’avvocato della sentenza che ha provveduto alla liquidazione delle spese, in quanto non parte del giudizio (Cass., Sez. VI-2, 17 ottobre 2018, n. 25992).

A questi principi si è attenuta la Corte territoriale, la quale, avendo accertato che le parti (uno dei due clienti, M.P., e l’avv. A.) avevano inteso disciplinare la materia con un loro accordo con il quale era stato riconosciuto al professionista un compenso nella misura di Euro 150.000 (oneri fiscali compresi), in fattispecie nella quale la controparte era stata condannata al pagamento (in favore di M.P. e del di lui fratello B.) della somma attualizzata di Euro 1.459.586,27, ha correttamente ritenuto che la validità e l’efficacia di tale accordo impediva al giudice, ai sensi del menzionato art. 2233 c.c., di intervenire in senso modificativo di una previsione espressione dell’autonomia negoziale delle parti.

3. – Con il terzo motivo il ricorrente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, dell’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, avendo la Corte d’appello del tutto omesso di pronunciarsi in merito alla nullità e/o annullabilità dell’accordo del 716 settembre 2002.

3.1. – La censura è priva di fondamento.

Essa non considera che la Corte d’appello non è entrata nel merito della legittimità dell’originario accordo sottoscritto dalle parti il 7 settembre 2002 perchè lo ha considerato superato dalla nuova pattuizione risultante – a seguito della conversazione telefonica del 20 gennaio 2005 – dalla scrittura privata del 21 gennaio 2005.

La censura si risolve nella reiterazione di quanto dedotto con il primo motivo di ricorso, e cioè nella deduzione che le parti, nel gennaio 2005, non raggiunsero alcun tipo di accordo, limitandosi a discutere (senza trovare un’intesa) sull’interpretazione da dare al loro originario negozio.

Cade, pertanto, la possibilità di scrutinare quanto lamentato nello sviluppo argomentativo del terzo motivo, ossia che l’accordo del 2002 “oltre ad essere annullabile perchè viziato da errore essenziale, sarebbe comunque evidentemente nullo in quanto contenente un patto di quota lite abbondantemente sproporzionato in relazione all’attività professionale svolta e di gran lunga superiore anche al 10% riconosciuto al legale in aggiunta al compenso legale di lite”.

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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