Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26309 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 18/10/2018), n.26309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11437-2017 proposto da:

ASSESSORATO DELLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA, (OMISSIS), in

persona dell’Assessore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO

PENNISI, rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO SANFILIPPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 435/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 2.5.2016, la Corte d’appello di Catania ha rigettato il ricorso per revocazione proposto dall’Assessorato della Salute della Regione Siciliana avverso la decisione della medesima Corte che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato l’opposizione proposta dal predetto Assessorato nei confronti del decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Catania gli aveva ingiunto di pagare a L.C.P. somme per rimborsi per prestazioni emodialitiche corrisposte ad altro soggetto per conto del quale egli aveva dichiarato di agire;

che avverso tale pronuncia l’Assessorato in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura;

che L.C.P. ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione per decorso del termine di legge;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di censura, l’Assessorato ricorrente denuncia violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 1, per avere la Corte di merito ritenuto che non integrasse un’ipotesi di dolo processuale, ma semplice fattispecie di slealtà, il fatto che l’odierno controricorrente avesse agito nel giudizio conclusosi con la sentenza revocanda quale procuratore speciale di soggetto deceduto anteriormente al rilascio della procura ad litem e senza dichiarare tale circostanza nei due gradi di merito;

che il motivo è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, avendo la Corte di merito deciso conformemente al consolidato principio di diritto secondo cui il dolo processuale che può dar luogo alla revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1, deve consistere in artifici e raggiri soggettivamente diretti ed oggettivamente idonei a pregiudicare la difesa avversaria, facendo apparire una situazione diversa da quella reale ed impedendo quindi al giudice la conoscenza della verità, non potendo per contro identificarsi con la semplice allegazione di fatti e situazioni non veri nè con il semplice silenzio su fatti contrari alla parte deducente o con la mancata produzione di documenti (Cass. nn. 1128 del 1987, 8342 del 1990, 6322 del 1993, 7576 del 1994, 888 del 2001, 8916 del 2002, 1369 del 2004, cui acide Cass. nn. 25761 del 2013 e 12875 del 2014, cit. dalla sentenza impugnata);

che, anche quando la giurisprudenza di questa Corte ha attribuito rilievo, ai fini del dolo, al mendacio o al silenzio della parte (cfr. Cass. S.U. n. 9213 del 1990), ha precisato che essi debbono costituire elementi essenziali di un’attività diretta a trarre in inganno la controparte e idonei a sviarne o a pregiudicarne la difesa e ad impedire al giudice l’accertamento della verità (Cass. n. 888 del 2001, cit.);

che, nella specie, la Corte di merito ha correttamente escluso che tanto potesse derivare dal silenzio tenuto dall’odierno controricorrente circa l’avvenuto decesso del soggetto per conto del quale egli aveva dichiarato di agire, in considerazione della assoluta conoscibilità dell’evento morte, specie da parte di un’amministrazione pubblica;

che resta conseguentemente assorbita l’eccezione preliminare d’inammissibilità del ricorso per decorso dei termini, dovendo ritenersi consentito a questa Corte di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio canonizzata all’art. 111 Cost. (cfr. da ult. Cass. n. 12002 del 2014);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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