Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26302 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 20/12/2016, (ud. 13/10/2016, dep.20/12/2016),  n. 26302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11267-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 48/19/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 03/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CRUCITTI ROBERTA.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in

data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in

forma semplificata.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di A.F., dottore commercialista, del silenzio rifiuto opposto ad istanza di rimborso dell’IRAP versata dal 1999 al 2002, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, confermava integralmente la decisione di primo grado, favorevole al contribuente, ribadendo che, nella specie, i dati desumibili dalle dichiarazione dei redditi denotavano, accanto alla mancanza totale di apparecchiature complesse, dipendenti e collaborazioni, un grado minimale di organizzazione.

Inoltre, il Giudice di appello riteneva irrilevante, ai fini impositivi, che il professionista esercitasse la sua attività nello stesso locale in cui vi era lo studio legale del padre, avvocato, ed aveva sede la “Studio Alacqua elaborazioni s.a.s. di C.P. & C.”, società della quale quota del 48%.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate motivi.

Il contribuente non ha svolto attività difensiva.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si lamenta l’insufficienza ed illogicità della motivazione laddove il Giudice di appello aveva ritenuto insussistente l’autonoma organizzazione in capo al contribuente, seppur non associato, ma semplicemente inserito in uno studio dalle dimensioni, dai beni strumentali e dal personale dello studio idonei a configurare, per l’appunto, il presupposto impositivo IRAP.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto rinunciata, siccome non riproposta in appello, l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo perchè non preceduto da istanza di rimborso per l’annualità di imposta 1999, rilevando, peraltro erroneamente, con riferimento all’annualità 2003 che la stessa non fosse oggetto di giudizio.

Detto ultimo motivo, trattato da primo per ragioni di ordine logico giuridico delle questioni prospettate, è fondato nei termini che seguono.

La Commissione regionale, dando atto che l’istanza di rimborso (allegata al ricorso introduttivo) riguardava gli anni dal 2000 al 2002 ha ritenuto che l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Agenzia con riguardo all’anno 1999 (per il quale non era stata prodotta istanza di rimborso), non essendo stata riformulata con l’atto di appello, doveva intendersi rinunciata ex art. 346 c.p.c., mentre la stessa eccezione sollevata con riguardo all’anno 2003 era inammissibile anche perchè tale annualità non era oggetto di ricorso.

Rilevata, da subito, l’inammissibilità della censura, con riferimento agli acconti 2003, in quanto a fronte dello specifico accertamento in fatto contenuto in sentenza (avendo la C.T.R. espressamente escluso che detti acconti costituissero oggetto di giudizio) il mezzo difetta di autosufficienza laddove non riporta il contenuto dell’istanza di rimborso proposta dal contribuente; il motivo è fondato relativamente al saldo 1999.

Costituisce, invero, principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello per cui “in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento come il corrispondente art. 346 c.p.c. – all’appellato, e non all’appellante”, anche tenuto conto del carattere impugnatoti del giudizio, della qualità di attore in senso sostanziale del Fisco e dell’indisponibilità della sua pretesa, alla quale non può rinunciare se non nei limiti di esercizio di autotutela (cfr., ex multis di recente Cass. n.ri 10906 e 8332 del 2016).

E’ fondato anche il primo motivo. La sentenza impugnata, infatti, (pubblicata il 3 maggio 2011 e, pertanto, censurabile secondo il previgente disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) appare insufficientemente motivata e, per alcuni versi illogica, laddove, pur dando atto che il contribuente, commercialista, era socio al 48% di una società di elaborazioni dati, avente sede nel medesimo locale in cui il professionista esercitava la professione e nel quale vi era lo studio legale del padre, avvocato, nulla dice in ordine alla rilevanza di tali elementi al fine di escludere l’utilizzazione da parte del professionista, nello svolgimento della sua attività professionale, delle ingenti risorse sia strumentali che umane (quali dipendenti) di tali strutture.

Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata nei termini di cui sopra ed il rinvio al Giudice del merito il quale provvederà al riesame ed al regolamento delle spese processuali.

PQM

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa, nei termini di cui in motivazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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