Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26302 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. III, 18/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 18/11/2020), n.26302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17116/2018 R.G. proposto da:

C.E., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dagli

Avv.ti Marco Monetti, e Valeria Didone, con domicilio eletto in

Roma, Viale Cortina D’Ampezzo, n. 269, presso lo studio del Prof.

Avv. Francesco De Santis;

– ricorrenti –

contro

Vodafone Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Alessandro Limatola, e Paola Limatola, con domicilio eletto presso

il loro studio in Roma, via Nomentana, n. 257;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Avellino, n. 487/2018 depositata

il 13 marzo 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2020

dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 149 del 2016 il Giudice di pace di Cervinara, riuniti i giudizi promossi da diversi utenti, tra i quali i ventuno odierni ricorrenti, condannò Vodafone Omnitel N. V. (ora Vodafone Italia S.p.A.) al pagamento in favore di ciascuno di essi della somma di Euro 230, a titolo di risarcimento del danno derivato dalla interruzione del servizio di telefonia mobile nel periodo dal 3 al 17 febbraio 2012.

2. Con sentenza depositata in data 13/3/2018, il Tribunale di Avellino ha accolto l’appello interposto dalla società, ritenendo che l’esatto adempimento fosse stato reso impossibile da causa non imputabile alla società debitrice (interruzioni di energia elettrica, non prevenibili dalla società telefonica, verificatesi a seguito delle eccezionali nevicate) e che, inoltre, i danni non erano stati “provati e neppure allegati in modo minimamente idoneo”.

4. Avverso tale sentenza gli utenti indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui resiste con controricorso Vodafone Italia S.p.A..

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 352 c.p.c., in relazione alla mancata concessione di termine per scambio di comparse conclusionali.

Lamentano che, nonostante reiterata richiesta (la prima con istanza depositata per via telematica in data 19/1/2018, la seconda all’udienza stessa del 12/3/2018 fissata per la discussione orale), motivata dalla necessità di “illustrare con comparsa conclusionale e memoria difensiva le diversità del presente giudizio da quelli già decisi” ed “evidenziare, anche in relazione alle ultime sentenze della Suprema Corte ed alle prove raccolte nel giudizio di primo grado, i motivi per i quali l’orientamento (seguito) per precedenti analoghi… è errato e comunque non applicabile…”, il Tribunale l’ha disattesa, pronunciando sentenza ex art. 281-sexies c.p.c..

Sostengono che, così procedendo, il giudice d’appello ha violato il disposto dell’art. 352 c.p.c., comma 5, e richiamano a supporto il precedente di Cass. n. 22120 del 2016 (a mente della cui massima “la discussione orale della causa immediatamente dopo la precisazione delle conclusioni, giusta l’art. 281 sexies c.p.c., non è subordinata all’istanza di parte, mentre può risultare inibita qualora una di esse abbia richiesto lo scambio delle comparse conclusionali con fissazione di altra udienza di discussione”).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1256 c.c..

Premesso che la mera difficoltà ad adempiere non vale a giustificare l’inadempimento contrattuale, sostengono che, nel caso di specie, le circostanze addotte dalla stessa Vodafone fin dall’atto di costituzione nel giudizio di primo grado, relativamente alla mancata presenza di un gruppo elettrogeno sul ripetitore sito in (OMISSIS) ed alla limitata interruzione della fornitura di energia elettrica, integrano gli estremi della colpa imputabile alla resistente che, conseguentemente, non avrebbe potuto considerarsi immune da responsabilità.

Lamentano, inoltre, che nessun accertamento è stato eseguito dal giudice d’appello in ordine alla interruzione del servizio elettrico.

Concludono, quindi, che, come ritenuto anche dal primo giudice, in mancanza della prova che l’impedimento sia stato obiettivo ed assoluto, tanto da non poter essere rimosso, il giudice avrebbe dovuto concludere per l’imputabilità esclusiva in capo alla Vodafone del disservizio.

3. Con il terzo motivo essi deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Fatti decisivi non considerati sarebbero, secondo i ricorrenti:

a) la circostanza, addotta dalla stessa Vodafone e di cui dà atto il primo giudice, che il ripetitore di (OMISSIS), situato sul (OMISSIS), era sprovvisto di gruppo elettrogeno;

b) la mancata dimostrazione, da parte di Vodafone, come ritenuto già dal Giudice di pace, che Vodafone avesse fatto tutto il possibile per intervenire celermente e con tutti i mezzi e la strumentazione necessaria ed utile per ripristinare il servizio, così come fatto da altri gestori, considerato che è fatto notorio che l’interruzione di energia elettrica è durata 2/3 giorni, mentre l’interruzione della linea telefonica ha avuto una durata di circa 14 giorni;

c) le testimonianze raccolte in separato giudizio relativo allo stesso disservizio, dalle quali emergeva che solo il segnale Vodafone in quel periodo non funzionò, che la strada di accesso al ripetitore dal 4-5 febbraio rimase sempre percorribile; che il ripetitore Vodafone non era dotato di gruppo elettrogeno; che i tecnici non era attrezzati per risolvere il guasto e non avevano con sè alcun gruppo elettrogeno essendosi recati sul posto a bordo di una Fiat Panda;

d) la fotografia prodotta in primo grado che dimostrava che la neve accumulatasi non era alta un metro e mezzo ma molto di meno e che la strada era percorribile a piedi;

e) l’ammissione di Vodafone di essere al corrente dell’imminente verificarsi di eventi del genere.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; motivazione apparente.

Rilevano che la sentenza si basa genericamente sulla documentazione prodotta da Vodafone, non prende in esame le contestazioni e conclude nel senso che l’interruzione dell’energia elettrica configurava causa non imputabile senza adeguatamente motivare tale convincimento.

5. Con il quinto motivo, infine, essi deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,1226 e 2059 c.c. nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione alla ritenuta mancata prova dei danni.

Lamentano che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che non fossero allegati e provati i disagi e che gli inconvenienti derivati dal prolungato disservizio fossero stati genericamente addotti, ben potendosi desumere, invece, dalla sintesi contenuta nella sentenza del Giudice di pace, che essi avevano chiesto il risarcimento del danno per il verificarsi di una interruzione del servizio di telefonia in tutta la (OMISSIS), senza averne alcun preventivo avviso, e che ciò li aveva privati del diritto di fare e ricevere telefonate e/o navigare in internet con la conseguenza che, per poter effettuare chiamate o verificare se avessero ricevuto telefonate e/o navigare in internet, avevano dovuto raggiungere zone lontane anche chilometri con perdite di tempo e sostenendo rilevanti spese.

6. E’ pregiudiziale – in quanto attinente alla procedibilità del ricorso – il rilievo del mancato deposito, da parte dei ricorrenti, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata – nè in originale o in copia autentica, nè in copia semplice – della notificazione (che i ricorrenti stessi deducono essere stata effettuata a mezzo p.e.c. in data 30/3/2018), in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

Tale relazione non è stata aliunde acquisita, non avendone fatta allegazione nemmeno la società controricorrente.

La notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza (Cass. n. 17066 del 2013), essendo stata effettuata in data 30/5/2018, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza (13/3/2018).

7. Può comunque rilevarsi che il ricorso, ove fosse stato procedibile, sarebbe comunque andato incontro ad una pronuncia di rigetto.

6.1. Il primo motivo si appalesa, infatti, inammissibile.

La giurisprudenza citata in ricorso fa riferimento alla formulazione dell’art. 352 c.p.c. anteriore alla modifica introdotta dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 27, comma 1, lett. d) (applicabile ai processi che, come il presente, erano in corso alla data della sua entrata in vigore: 1 febbraio 2012) (v. Cass. 07/10/2015, n. 20124; 13/01/2020, n. 344).

Tale novella ha, come è noto, aggiunto all’art. 352 c.p.c., un u.c., secondo il quale “quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’art. 281-sexies”.

Per effetto di tale modifica è divenuto pertanto sempre possibile nei giudizi d’appello, tanto davanti al tribunale in composizione monocratica quanto davanti alla corte d’appello e, in ogni caso, indipendentemente dall’eventuale istanza di parte volta ad ottenere il termine per lo scambio degli scritti difensivi finali.

La novella, come è stata affermato, dimostra il favor del legislatore per la massima estensione di tale modello deliberativo (Cass. n. 344 del 2020, cit.).

E’ appena il caso di aggiungere che, peraltro, neppure è stato allegato, al di là di generiche doglianze, alcun apprezzabile, effettivo e specifico pregiudizio subito dalla ricorrente a causa dell’adozione del modulo decisorio in parola, sicchè, sotto tale profilo, la doglianza è inammissibile, alla luce dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18/12/2014, n. 26831; Cass. 19/03/2014, n. 6330)

6.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Lungi dal denunciarsi l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata, si allega con esso un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, ma piuttosto alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. 23/10/2018, n. 26770; 26/03/2010, n. 7394; 30/12/2015, n. 26110), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo essi propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

6.3. Non diversa valutazione avrebbe dovuto compiersi con riferimento al terzo motivo.

Difetta, quanto alla prima circostanza, l’indicazione specifica del dato testuale da cui essa andrebbe desunta, non essendo questo trascritto in ricorso, nè essendone offerta adeguata sintesi, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (prima circostanza); si fa inoltre riferimento a mere valutazioni o argomentazioni o circostanze comunque marginali di non univoca decisività (fatti di cui alle lett. b), c) ed e)); parimenti non è illustrata e comunque non è dato ravvisare la decisività degli altri (percorribilità a piedi dei tratti innevati, ritratta dalle foto) il cui esame sarebbe stato omesso.

6.4. Il quarto motivo è poi manifestamente infondato.

La motivazione della sentenza impugnata è perfettamente comprensibile; ciò che si contesta in ricorso è, evidentemente, quanto in ammissibilmente, solo l’esito della valutazione operata.

6.5. Il quinto motivo sarebbe risultato assorbito; anch’esso, comunque, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile.

Vengono con esso svolte argomentazioni inconferenti che non colgono la ratio decidendi.

Attraverso la trascrizione di intero stralcio della sentenza di primo grado, si sostiene in sostanza che il danno avrebbe dovuto considerarsi in re ipsa ovvero l’equiparazione tra danno evento e danno conseguenza (dal mero inadempimento deriverebbe la possibilità di presumere il danno e di liquidarlo equitativamente, secondo dunque una impostazione concettuale, la cui incompatibilità con il sistema della responsabilità civile è stata ormai in ogni ambito evidenziata dalla giurisprudenza di questa Corte (v. ex multis Cass. 04/12/2018, n. 31233).

Sul punto la motivazione del giudice a quo si rivela, dunque, pienamente corretta.

Le contestazioni risultano meramente assertive e, quanto alla asserita allegazione dei danni, a parte l’irrilevanza del dato (richiedendosi comunque anche la prova del danno), in realtà quel che in ricorso si afferma essere stato allegata è l’esistenza dell’inadempimento non il riferimento a specifiche e concrete conseguenze pregiudizievoli.

7. Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara improcedibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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