Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26298 del 25/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26298 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 20082-2008 proposto da:
PILIA ANTONIO C.F. PLINTN30D02M016R, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 4,
presso lo studio dell’avvocato TENCHINI GIUSEPPE, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PRUNEDDU GIOVANNI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3100

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 25/11/2013

DELLA FREZZA

17,

presso

l’Avvocatura

Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
RICCIO ALESSANDRO, GIANNICO GIUSEPPINA, VALENTE
NICOLA, giusta delega in atti;

controrícorrente

di CAGLIARI, depositata il 28/03/2008 r.g.n. 65/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega VALENTE
NICOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 24/2008 della CORTE D’APPELLO

i

RG. n. 20082/08
Ud. 5.11.13
Pi/la c. INPS

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 24.11.06 il Tribunale di Cagliari accoglieva la domanda di Antonio
Pilia intesa ad ottenere il riconoscimento dello stato di invalidità civile e di avente

diritto all’accompagnamento.
L’attore appellava la sentenza perché le spese di lite erano state liquidate in
misura inferiore ai minimi tariffari, considerato che lo scaglione di riferimento del
valore di causa era quello compreso fra gli euro 51.700,01 e gli euro 103.300,00.
Con sentenza del 28.3.08 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale accoglimento
del gravame, correggeva in modesta misura la liquidazione delle spese applicando
lo scaglione di valore di causa compreso fra gli euro 5.200,01 e gli euro 25.900,00.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre Antonio Pilia affidandosi a due motivi.
L’INPS resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e
13 c.p.c. e dell’art. 12 disp. prel. al c.c., nonché vizio di motivazione, nella parte in
cui l’impugnata sentenza non ha applicato, per stabilire il valore della controversia e
il relativo scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese, l’art. 13 c.p.c.,
secondo il quale, in caso di contestazione, il valore della causa è sempre pari a dieci
annualità della prestazione richiesta, norma da estendersi in via analogica
nell’ipotesi in esame.
Il motivo è infondato.
La determinazione del valore della causa in materia di pensione di invalidità in
funzione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al
difensore dell’assicurato deve essere effettuata secondo il criterio stabilito dall’art.
13 co. 2°, seconda parte, c.p.c., in quanto l’assegno di invalidità e l’indennità di
accompagnamento, pur partecipando della natura delle prestazioni alimentari, si
concretano in una somma di danaro da corrispondere periodicamente e, perciò, sono
del tutto assimilabili ad una rendita vitalizia.

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Ud. 5.11.13
Pilia c. INPS

Ne consegue che il valore della causa deve essere determinato cumulando le
annualità domandate “fino ad un massimo di dieci”.
Ciò è conforme a costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr., ex aliis,
Cass. 18.9.2012 n. 15656; Cass. 31.1.2011 n. 2148; Cass. 17.10.07 n. 21841; Cass.

23.2.2007 n. 4258; Cass. 14.12.2004 n. 23274; Cass. 15.4.2004 n. 7203, sino a
risalire nel tempo, fra le altre, a Cass. 23.1.1989 n. 373, Cass. 16.1.1987 n. 336 e
Cass. 22.4.1986 n. 2837).
Sostiene l’odierno ricorrente che in detta ipotesi, essendo controverso il titolo, il
valore della causa andrebbe determinato non già cumulando le annualità domandate
“fino ad un massimo di dieci”, ma, senz’altro, cumulandone in ogni caso dieci,
anche se in concreto le annualità domandate sono state inferiori; a tal fine invoca il
precedente di Cass. n. 23274/04.
Ma — va osservato – si tratta di un richiamo non decisivo vuoi perché quello che si
legge in tale ultima sentenza è un mero obiter dictum nel contesto della
dichiarazione di inammissibilità (per altre ragioni) del ricorso della parte privata,
vuoi perché in senso contrario a quello preteso dall’odierno ricorrente militano sia
la più recente giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. 18.9.2012 n. 15656; Cass.
31.1.2011 n. 2148) sia il tenore letterale della seconda parte del co. 2° del cit. art. 13
che, nel riferirsi al calcolo delle annualità domandate “fino a un massimo di dieci”,
non riproduce quell’inciso (“se il titolo è controverso”) che invece si legge nel
primo periodo dello stesso co. 2° dell’art. 13 c.p.c.
Dunque, il riferimento non può che essere alle annualità domandate (e “fino a un
massimo di dieci”), a prescindere dall’essere o meno controverso il titolo.
Nella vicenda processuale in oggetto le annualità domandate erano meno di dieci:
per l’esattezza, nel ricorso introduttivo di lite il ricorrente aveva chiesto la condanna
al pagamento delle annualità scadute a decorrere dal 15.2.05 (data della domanda
amministrativa); la sentenza di accoglimento della domanda del ricorrente è stata
emessa il 24.11.06 e dal 15.2.05 al 24.11.06 decorrono — all’evidenza – meno di due
annualità.
Ciò colloca il valore di causa – come correttamente statuito dai giudici d’appello —
nello scaglione compreso fra gli euro 5.200,01 e gli euro 25.900,00 e non in quello
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compreso fra gli euro 51.700,01 e gli euro 103.300,00 chiesto dall’odierno
ricorrente.
Quanto al dedotto vizio di motivazione, esso si colloca all’esterno dell’area
dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c., in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante

ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacché quella in
diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in
cassazione (v. art. 384 ult. co . c.p.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in
alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata
sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta
erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben
costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la
pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge
o falsa od erronea sua applicazione.

2- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 co.
1° legge n. 326/03 per non avere la Corte territoriale liquidato a carico dell’INPS i
diritti per l’attività svolta per la notifica del ricorso anche alla Direzione Provinciale
del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto, sebbene le parti evocate in
giudizio siano state solo due (INPS e predetto Ministero, come obiettato dai giudici
d’appello), nondimeno il cit. art. 42 co. 1° prevede obbligatoriamente la notifica al
Ministero sia presso l’Avvocatura dello Stato sia presso la competente Direzione
Provinciale del Ministero medesimo.
Il motivo è fondato nei sensi appresso specificati.
Il tariffario forense all’epoca applicabile, vale a dire quello approvato con d.m.
8.4.04, attribuisce i diritti per “richiesta copie autentiche ricorso e decreto” nella
misura di 10,00 euro per ciascuna copia (v. n. 30), per “richiesta notifica” nella
misura di 10,00 euro per ogni notifica in più (v. n. 23) e per l’esame di ogni relata di
notifica nella misura di 16,00 euro (v. n. 24), sempre applicando lo scaglione
compreso fra euro 5.200,01 ed euro 25.900,00.

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Ed effettivamente il ricorso, nel caso di specie, andava notificato non solo
all’INPS e al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato, ma anche (ex art. 42 co. 1°
legge n. 326/03) alla Direzione Provinciale del Ministero dell’Economia e delle
Finanze, la quale, pur non essendo tecnicamente una parte diversa dal Ministero,

tuttavia era destinataria di autonoma notifica e, per l’effetto, di una autonoma
richiesta copia per la notifica, di un’autonoma richiesta di notifica e di un autonomo
esame della conseguente relata.
In breve, tali diritti vanno applicati non in ragione del numero delle parti in causa,
ma in rapporto al numero delle notifiche da effettuare.
Pertanto, al ricorrente spettano a titolo di diritti maturati riguardo al giudizio di
primo grado ulteriori euro 36,00.

3- In conclusione, questa S.C. rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il
secondo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e, decidendo nel merito ex art. 384 co. 2° c.p.c., non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, condanna l’INPS a pagare a parte ricorrente
ulteriori euro 36,00 per diritti relativi al primo grado di giudizio, così in definitiva
liquidando le spese del primo grado in euro 170,88 per esborsi, euro 953,00 per
diritti ed euro 450,00 per onorari, oltre accessori come per legge, con distrazione in
favore dell’avv. Giovanni Pruneddu, antistatario.
L’accoglimento solo parziale e in misura assai modesta delle doglianze del
ricorrente consiglia di compensare per intero fra le parti le spese del grado d’appello
e del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo nei sensi di cui in
motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e,
decidendo nel merito, condanna l’INPS al pagamento in favore del ricorrente di
ulteriori euro 36,00 per diritti relativi al primo grado di giudizio, così in definitiva
liquidando le spese del primo grado in euro 170,88 per esborsi, euro 953,00 per
diritti ed euro 450,00 per onorari, oltre accessori come per legge, con distrazione in
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favore dell’avv. Giovanni Pruneddu, antistatario. Compensa per intero fra le parti le
spese del grado d’appello e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, in data 5.11.13

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