Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26298 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2020, (ud. 29/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31789-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

AGRICOLA LA PALOMBARA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 187/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE delle MARCHE, depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale annullava la cartella di pagamento relativa ad IVA per l’anno d’imposta 2005 notificata alla società contribuente in quanto coobbligata solidale essendo cessionaria d’azienda;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della parte contribuente ritenendo che, in base ai principi costituzionali del nostro ordinamento, occorre in ogni caso portare a conoscenza il coobbligato solidale delle ragioni della pretesa tributaria azionata nei confronti dell’obbligato principale, e nel caso di specie all’appellata non è stato mai fornito l’accertamento presupposto neppure in sede contenziosa e neppure è stata mai fornita alcuna prova in ordine alla preventiva escussione dell’obbligato principale espressamente prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14; inoltre la circostanza che il concessionario possa chiedere la certificazione dei carichi pregressi ex art. 14 cit. non costituirebbe un onere di diligenza ma una facoltà di favore per il contribuente;

l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato a due motivi mentre la parte contribuente non si costituiva; con ordinanza interlocutoria n. 13647 del 2020 la Corte rinviava a nuovo ruolo per formulare una nuova proposta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14 in quanto il titolo su cui si fonda la pretesa erariale va individuato nell’atto di acquisto dell’azienda avvenuto nel 2005 e non anche in non meglio precisati “atti impositivi presupposti” non notificati alla società rispetto ai quali la stessa non sarebbe stata messa in condizioni di difendersi e del resto la cessione d’azienda comporta un sub-ingresso nelle posizioni di debito-credito e nei rapporti giuridici dell’azienda ceduta;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in quanto la CTR avrebbe attribuito rilevanza alla mancata dimostrazione del preventivo tentativo di riscossione del debito erariale nei confronti del cedente pur non essendo stata formulata la relativa censura dalla parte contribuente;

considerato che la sentenza impugnata si fonda su una pluralità di rationes decidendi che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il “decisum” (Cass. n. 6895 del 2019) – 1) mancata conoscenza dell’accertamento presupposto; 2) inesistenza dell’onere di chiedere la certificazione dei carichi pregressi D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 14; 3) mancata prova della preventiva escussione dell’obbligato principale – e che mentre il primo motivo è volto a dolersi della legittimità delle rationes decidendi sub 1) e 2), il secondo motivo invece lamenta un error in procedendo relativo al punto sub 3);

considerato che, in virtù del principio della ragione più liquida (Cass. n. 363 del 2019: in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.), si ritiene opportuno esaminare dapprima il secondo motivo di impugnazione;

ritenuto che tale motivo è innanzitutto inammissibile per difetto di autosufficienza giacchè si lamenta un error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e in tema di ricorso per cassazione l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Cassazione ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. n. 23834 del 2019): nella specie il ricorrente alla lamentata doglianza consistente nel non avere la parte contribuente formulato l’eccezione di mancata preventiva escussione del cedente l’azienda nè nel ricorso introduttivo nè in fase di appello ma solo nella memoria illustrativa depositata prima dell’udienza di trattazione innanzi alla CTR avrebbe avuto l’onere non solo di trascrivere il testo integrale o la parte significativa di tali documenti nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. n. 13625 del 2019: nella specie, in applicazione del principio, la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale la parte si era limitata ad indicare i documenti non esaminati dal giudice di merito senza trascriverne specificamente il contenuto);

considerato peraltro che il motivo è altresì infondato nel merito in quanto spettava all’Agenzia delle entrate l’onere della prova della preventiva escussione del cedente, in virtù del principio della vicinanza della prova (Cass. n. 297 del 2020) dal momento che è per il Fisco assai più facile, compiendo lui stesso il tentativo di escussione, accedere a tale prova rispetto al cessionario dell’azienda che rispetto al tentativo di escussione è un soggetto terzo ed estraneo: del resto secondo Cass. n. 30046 del 2018 l’obbligazione tributaria, quale sottospecie delle obbligazioni pubbliche, nella sua struttura non si differenzia, una volta venuta ad esistenza, dalle obbligazioni di diritto privato, per cui la solidarietà deve essere ricondotta integralmente alle regole concernenti la solidarietà di diritto comune, sia sotto l’aspetto sostanziale che per quanto concerne la disciplina processuale (Cass. S. U. n. 2580/1973) ed è principio generale quello secondo il quale grava su colui il quale voglia escutere l’obbligato in via sussidiaria di provare di aver infruttuosamente esperito il tentativo di escussione dell’obbligato principale: in questo senso depongono Cass. n. 15677 del 2009 – secondo cui grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto, cioè che vi è stata infruttuosa escussione di quest’ultimo – e Cass. n. 29608 del 2018, secondo cui grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto.

Pertanto il secondo motivo di ricorso è inammissibile e, ove la sentenza sia sorretta – come effettivamente lo è, come già detto, nel caso di specie – da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. n. 15399 del 2018).

Ritenuto dunque che il ricorso è inammissibile e che nulla va statuito in merito alle spese non essendosi costituita la parte contribuente.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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