Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26298 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 07/12/2011), n.26298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.R., domiciliato in ROMA, VIA NOVARA 53, presso lo

studio dell’avvocato CANELLI IVAN, rappresentato e difeso

dall’avvocato TREMANTE LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA., VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e PUGLISI LUCIA,

che lo rappresentano e difendono giusta procura notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1391/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/04/2006, r.g.n. 10125/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato ROMEO LUCIANA per delega LA PECCERELLA LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In accoglimento del ricorso proposto da V.R. nei confronti dell’Inail, che, a seguito di visita di revisione, aveva ridotto il gradiente di invalidità derivante da un pregresso infortunio sul lavoro dal 15% all’11%, con conseguente liquidazione in capitale, il Tribunale di Napoli, espletata CTU, condannò l’Istituto alla ricostituzione della rendita, in misura corrispondente all’accertato gradiente del 16%, con decorrenza dal 27.4.2001. Con sentenza del 27.2 – 11.4.2006 la Corte d’Appello di Napoli, accogliendo per quanto di ragione il gravame dell’Istituto, riconobbe all’appellato il minor gradiente invalidante del 15%, disponendo l’integrazione del capitale già versato con decorrenza dal 1.6.2001. A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– in mancanza di una domanda di aggravamento, “effettivamente mai proposta dal beneficiario nè in via amministrativa nè con il ricorso introduttivo del giudizio”, non poteva essere riconosciuto un grado di invalidità superiore a quello sussistente al momento della riduzione o revoca del beneficio;

– la retrodatazione del beneficio al 27.4.2001 era ingiustificata, tenuto conto che, in base alla documentazione e alle stesse deduzioni delle parti, la cessazione della rendita andava fatta risalire al 1.6.2001;

– essendo trascorso il decennio dalla costituzione della rendita e stante la sussistenza di un gradiente di invalidità compreso tra il 10% e il 15%, doveva procedersi alla capitalizzazione dell’importo spettante ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 75.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale, V.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

L’Inail ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando falsa applicazione degli artt. 443, 345 e 346 c.p.c., il ricorrente deduce che:

– il difetto di una condizione di procedibilità (nella specie derivante dalla mancata proposizione del ricorso amministrativo) non avrebbe potuto essere rilevato dopo la prima udienza di discussione del giudizio di primo grado;

– la relativa doglianza era stata introdotta per la prima volta in grado d’appello.

Con il secondo motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia “arbitrariamente” ridotto di un punto percentuale il gradiente di invalidità, nonostante la relativa misura fosse stata accertata da CTU definita dalla stessa Corte “metodologicamente corretta ed immune da vizi logici e senza che ne fosse stata disposta la rinnovazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione, deducendo il mancato rilievo, da parte della Corte territoriale, della documentata “tempestiva e rituale domanda amministrativa di aggravamento ex art. 104 T.U. inf. lav”.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale, senza “alcun riferimento normativo, giurisprudenziale e/o di prassi amministrativa”, abbia ritenuto che la decorrenza del beneficio andava fatta decorrere dalla data della (supposta) cessazione della rendita, anzichè da quella in cui l’Istituto aveva concluso il proprio procedimento amministrativo, posto che non vi era mai stata cessazione della rendita, stante la pronuncia adottata dal primo Giudice, che aveva ordinato di ricostituirla appunto dal 27.4.2001.

3. Il primo e il terzo motivo, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Come esposto nello storico di lite, la Corte territoriale ha rilevato che la domanda di aggravamento non era mai stata proposta, “nè in via amministrativa nè con il ricorso introduttivo del giudizio”.

Si tratta di due distinte ragioni (la prima integrante la ritenuta omessa proposizione del ricorso amministrativo, la seconda implicitamente evidenziante un vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado) ciascuna delle quali di per sè idonea a sostenere il decisum.

Con i motivi all’esame il ricorrente ha censurato solo la prima di tali rationes decidendi (come inequivocabilmente risulta dalla formulazione dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla presente controversia), ma nient’affatto la seconda.

Trova quindi applicazione il principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr, ex plurimis, Cass., n. 2499/1973; 7948/1999; 12976/2001; 18240/2004; 20454/2005; 13956/2005;

9247/2006; 2272/2007; 24540/2009; 3386/2011).

4. Il secondo motivo è palesemente infondato, derivando la statuizione relativa alla spettanza del gradiente del 15% non già da una valutazione medico legale, ma dalla necessità di contenere la pronuncia nei limiti del thema decidendi (stante il già rilevato, decisivo e non censurato rilievo della omessa proposizione della domanda di aggravamento con il ricorso introduttivo del giudizio).

5. Parimenti palesemente infondato è il quarto motivo, avendo la Corte territoriale accertato, con valutazione in fatto inoppugnabile in questa sede di legittimità, che la cessazione della rendita andava fatta risalire al 1.6.2001 ed essendo di piana evidenza che nessun rilievo può essere attribuito, al riguardo, alla statuizione di prime cure oggetto di specifico gravame.

6. In definitiva il ricorso va quindi rigettato.

Non è luogo a provvedere sulle spese di lite, trovando applicazione, ratione temporis (essendo stato il ricorso introduttivo del giudizio depositato il 9.5.2002), l’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo previgente la novella di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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