Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26292 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. III, 17/10/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 17/10/2019), n.26292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14879-2017 proposto da:

CENTRO ALESATURA SRL, in persona rappresentante pro tempore

D.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI PARIOLI 74-C,

presso lo studio dell’avvocato MARCO SEGATORI, rappresentata e

difesa dagli avvocati UGO BERTAGLIA, MIRCA MAGNONI, GIULIA BALUGANI;

– ricorrente –

contro

KRIOPE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore PERICO

PERCARLO, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

BRAGA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 02/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Centro Alesatura S.r.l. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 619/17, del 2 maggio 2017, della Corte di Appello di Brescia, che – rigettando il gravame da essa esperito avverso la sentenza n. 1555/14, del 2 luglio 2014, del Tribunale di Bergamo – ha respinto l’opposizione, ex art. 645 c.p.c., proposta dall’odierna ricorrente avverso decreto, emesso dal medesimo Tribunale, che gli ingiungeva il pagamento, alla società Kriope S.r.l., della somma di Euro 18.635,67, oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di canoni per il noleggio di un piccolo metalloscopio da banco.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di avere proposto opposizione avverso il suddetto provvedimento monitorio, sul presupposto di trattenere legittimamente il piccolo metalloscopio “de quo”, in quanto la sua concessione sarebbe avvenuta in comodato gratuito, risultando “causalmente collegata” sia al ritardo nella consegna di un diverso è più complesso metalloscopio, che la società Kriope si era precedentemente impegnata a fornirle dietro pagamento di un prezzo, sia al successivo riscontrato malfunzionamento dello stesso.

Nell’agire a norma dell’art. 645 c.p.c., l’odierna ricorrente stigmatizzava il comportamento processuale della controparte, innanzitutto evidenziando come il creditore ingiungente, al fine di ottenere il provvedimento monitorio oggetto del presente giudizio, avesse fatto leva sull’esistenza di un precedente decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, da esso ottenuto proprio per il pagamento della fornitura di tale diverso metalloscopio, sottacendo, però, che, anche in quel caso, risultava essere stata proposta opposizione da essa società Centro Alesatura. Inoltre, l’attrice in opposizione non mancava di evidenziare come la società Kriope, al fine di mettere in dubbio la solvibilità dell’ingiunto, avesse dato atto, nel proprio ricorso ex art. 633 c.p.c., della dichiarazione negativa resa da terzo creditore nell’ambito di un pignoramento presso terzi promosso per l’esecuzione di tale “parallelo” decreto ingiuntivo (quello relativo alla fornitura del primo metalloscopio), omettendo di riferire, però, di una successiva dichiarazione positiva, resa da altro creditore ex art. 547 c.p.c..

Costituitasi nel giudizio di opposizione relativo al provvedimento monitorio per cui è causa, la società Kriope ammetteva l’esistenza di un contratto di comodato gratuito, eccependone, però, l’avvenuta scadenza in data 30 giugno 2009, ed assumendo che le parti avrebbero dato vita, successivamente, ad un contratto di noleggio relativo al medesimo bene, vale a dire al nuovo (e più piccolo) metalloscopio, destinato a sostituire il primo. Su tali basi, pertanto, essa, oltre a richiedere il rigetto della opposizione, formulava, in via riconvenzionale, domanda di condanna dell’opponente al pagamento della somma di Euro 250,00, oltre IVA, per ciascun giorno di utilizzazione del metalloscopio nel periodo compreso tra il 1 luglio 2009 e il 18 maggio 2010, a titolo di risarcimento dei pretesi danni subiti in conseguenza della mancata restituzione del bene.

Ciò detto, il Tribunale bergamasco, all’esito del giudizio di primo grado, rigettava l’opposizione (quantunque il parallelo giudizio relativo all’altro decreto ingiuntivo fosse stato, invece, definito, dal medesimo Tribunale, con l’accoglimento dell’opposizione, sul presupposto dell’accertata parziale inadeguatezza del metalloscopio in sostituzione del quale quello oggetto di causa era stato fornito), dichiarando inammissibile la “reconventio reconventionis” esperita dalla società Kriope, con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame dell’odierna ricorrente.

3. Avverso la sentenza della Corte bresciana ha proposto ricorso per cassazione la società Centro Alesatura, sulla base – come detto di cinque motivi.

3.1. In particolare, il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente degli artt. 1326 cc. e ss., nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4).

Si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto concluso, attraverso un preteso comportamento concludente posto in essere dall’odierna ricorrente, il contratto di noleggio relativo al piccolo metalloscopio offerto dalla società Kriope in sostituzione di quello precedente e malfunzionante, e ciò nonostante la chiara manifestazione di volontà contraria da parte di essa società Centro Alesatura.

Evidenzia, al riguardo, la ricorrente che la società Kriope, alla scadenza (30 giugno 2009) del comodato gratuito relativo al metalloscopio per cui è causa, ebbe a indirizzarle, con missiva del 1 luglio 2009, una triplice proposta, che contemplava: a) la restituzione immediata del nuovo metalloscopio; b) la proroga del comodato gratuito, ma contro il versamento di Euro 20.481,44, a titolo di rata di prezzo della fornitura del precedente metalloscopio; c) la ritenzione del nuovo metalloscopio, dietro il pagamento di un corrispettivo di Euro 250,00 al giorno.

Assume l’odierna ricorrente di avere riscontrato tale proposta dapprima con lettera-fax del 6 luglio 2009, con la quale affermava in via interlocutoria – di voler verificare, con l’ausilio di propri tecnici, lo stato di funzionalità del metalloscopio oggetto del precedente contratto di fornitura, data la connessione fra i due contratti. Successivamente, con missiva del 28 luglio 2009, essa sottolineava, invece, la “pretestuosità e illegittimità” delle richieste economiche della società Kriope, in merito al contratto di comodato gratuito, avente ad oggetto il metalloscopio messole a disposizione in sostituzione del precedente, avendo esse, in realtà, come scopo quello di limitare i danni cagionati dall’inadempimento del contratto di fornitura del primo metalloscopio.

Orbene, il giudice di appello avrebbe gravemente errato nell’interpretare il contegno di essa ricorrente come tacita manifestazione di volontà di concludere un contratto di noleggio relativo al nuovo metalloscopio (ovvero, la terza delle alternative prospettate con la missiva del 1 luglio 2009), avendo essa, invece, respinto ciascuna delle tre proposte formulate dalla società Kriope. La sentenza impugnata avrebbe, così, violato l’art. 1326 c.c., nonchè reso una motivazione palesemente contraddittoria, considerato che nel contegno di essa ricorrente era, tutt’al più, ravvisabile una detenzione “sine titolo” del metalloscopio, ciò che avrebbe legittimato la società Kriope ad agire, semmai, per il risarcimento del danno, e dunque per un titolo diverso da quello, contrattuale, azionato in via monitoria.

3.2. Il secondo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente gli artt. 633 c.p.c. e ss., nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4).

Si censura la sentenza impugnata in quanto, in difetto di un valido contratto di noleggio tra le parti, essa avrebbe dovuto ritenere insussistenti i presupposti per l’adozione del decreto ingiuntivo, atteso che il credito azionato in via monitoria dalla società Kriope avrebbe potuto, tutt’al più, configurarsi come un credito risarcitorio da detenzione illegittima, come tale, però, privo dei caratteri della certezza liquidità ed esigibilità, necessari ai fini dell’emissione del provvedimento monitorio.

3.3. Il terzo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione.

Ci si duole, in questo caso, della decisione della Corte bresciana di ritenere congrua la quantificazione, unilateralmente operata da Kriope, del preteso canone di noleggio, considerato che, nel caso di specie, non risulta esservi stato, neppure sul punto, alcun incontro di volontà fra le parti del preteso contratto.

Inoltre, il giudice di appello avrebbe omesso di considerare sia che l’odierna ricorrente, con la già citata missiva del 28 luglio 2009, aveva sottolineato l’illegittimità delle richieste economiche connesse alla utilizzazione del nuovo metalloscopio, sia l’argomentazione difensiva relativa alla iniquità del prezzo di Euro 250,00 al giorno. Esso, difatti, per appena due mesi di utilizzazione, porterebbe alla liquidazione di una somma spropositata, pari a Euro 15.500,00, considerato che il prezzo di acquisto del ben più complesso metalloscopio, in sostituzione del quale quello oggetto di causa era stato fornito, era pari a Euro 51.203,62.

3.4. Con il quarto motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione.

In questo caso, viene dedotto un travisamento dei fatti storici e dei documenti versati in atti, laddove la sentenza impugnata ha escluso la legittimità della ritenzione del metalloscopio per cui è causa, quale conseguenza dell’inadempimento della società Kriope nella fornitura di quello precedente.

In particolare, frutto di travisamento sarebbe sia l’affermazione secondo cui il ritardo nella fornitura risulterebbe ascrivibile allo stesso comportamento della società Centro Alesatura (avendo essa richiesto modifiche sul progetto iniziale, provocando, così, lo slittamento del termine di consegna del macchinario), sia quella relativa all’esito positivo del collaudo, nel maggio 2009.

Entrambe le circostanze sarebbero smentite dalla consulenza tecnica d’ufficio, nonchè dalla sentenza relativa al “parallelo” giudizio avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo concernente il pagamento nel prezzo di fornitura nel primo metalloscopio.

3.5. Infine, il quinto motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), in ragione di motivazione meramente apparente ed incomprensibile.

La ricorrente si duole del rigetto della domanda formulata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., motivata dalla Corte bresciana sull’assunto che nessun comportamento scorretto sarebbe stato realizzato dall'(allora) appellata, essendo stata la sua condotta sempre in linea con la disciplina dettata dal codice di rito.

La sentenza qui impugnata, tuttavia, nulla avrebbe detto sia in merito al silenzio serbato da Kriope – in modo non corretto, secondo la ricorrente – in sede di ricorso monitorio (in particolare, non avendo essa rivelato l’esistenza di un iniziale contratto di comodato gratuito, relativo al metalloscopio offerto in sostituzione di quello malfunzionante), sia alla sua scelta di screditare l’odierna ricorrente, rappresentata come “debitrice inattiva” (tacendo tanto la tempestiva opposizione al decreto ingiuntivo relativo alla fornitura del precedente metalloscopio, quanto l’emissione, sempre su sua iniziativa, del provvedimento ex art. 649 c.p.c.) e, soprattutto, potenzialmente insolvente, allegando Kriope al ricorso ex art. 633 c.p.c. solo la dichiarazione negativa rilasciata da terzo creditore nel procedimento monitorio “parallelo”, senza fare menzione, invece, di quella positiva operata da altro terzo.

4. Ha resistito alla descritta impugnazione, con controricorso, la società Kriope, eccependone, preliminarmente, l’inammissibilità.

In particolare, si assume che quelle prospettate sarebbero questioni attinenti al merito e che, comunque, il giudice di appello si sarebbe uniformato ai precedenti di questa Corte, donde la necessità di dichiarare il motivo inammissibile a norma dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1)

Ciascuno di cinque motivi di ricorso, inoltre, non risulterebbe fondato: il primo, perchè – nel caso di specie – ricorrerebbe un’ipotesi di contratto concluso mediante inizio di esecuzione della prestazione, ex art. 1327 c.c.; il secondo, in ragione dell’autonomia che contraddistingue il processo di opposizione a decreto ingiuntivo, rispetto al procedimento sommario previsto per la sua emanazione; il terzo, visto che nessuna domanda di riduzione del prezzo risulterebbe essere stata effettuata dall’odierna ricorrente; il quarto, perchè del tutto condivisibile sarebbe la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di mantenere distinti il contratto di fornitura del precedente metalloscopio e quello di comodato/noleggio relativo all’altro offerto in sostituzione del primo; infine, il quinto, giacche il rigetto della domanda di lite temeraria risulta fondato sulla reiezione dell’opposizione al decreto ingiuntivo.

5. Hanno presentato memoria entrambe le parti, insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito indicati.

6.1. Il primo motivo è fondato.

6.1.1. Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che non ricorre nel presente caso – come ipotizza, invece, l’odierna controricorrente – la fattispecie della conclusione del contratto mediante inizio di esecuzione, ex art. 1327 c.c..

Non è questa, di certo, la sede per stabilire se tale previsione normativa contempli una semplice (sebbene peculiare) modalità di scambio di proposta e accettazione, nell’ambito della generale disciplina della “contrattazione tra assenti”, ovvero – secondo la diversa tesi, espressa da un’ormai “classica” dottrina – delinei, addirittura, un modello alternativo di negozio giuridico. In base a tale impostazione teorica, infatti, l’art. 1327 c.c. – peraltro, non meno di altre norme, quali gli artt. 476,477,478,590,685,686,1444 e 1724 c.c. – contemplerebbe una tipologia a se stante di negozio, detto di “attuazione” (in contrapposizione a quello “dichiarativo”), connotato dal fatto che la volontà della parte oblata si realizzerebbe senza la “mediazione” di una dichiarazione, con conseguenze non prive di rilievo anche sul piano pratico, visto che i vizi della stessa rileverebbero in difetto delle condizioni normativamente imposte dalla necessità di salvaguardare l’altrui affidamento.

Si tratta, come premesso, di considerazioni delle quali non occorre qui occuparsi, essendo sufficiente ribadire – come più volte fatto da questa Corte, nel pronunciarsi in merito alle condizioni di operatività dell’art. 1327 c.c. – che “l’applicazione della norma è circoscritta alle ipotesi, ritenute dalla giurisprudenza tassative e nel caso neppure prospettate, in cui l’esecuzione di fatto sia avvenuta “su richiesta del proponente, o per la natura dell’affare o secondo gli usi” (…) e perchè difetta pure l’ulteriore condizione richiesta dal comma 2 della stessa norma, che l’accettante dia prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione” (da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 21 marzo 2000, n. 3296, Rv. 534908-01).

Difettando, in particolare, tale seconda condizione, nel caso di specie, deve escludersi la riconduzione della presente fattispecie all’art. 1327 c.c..

6.1.2. Ciò detto, la questione cruciale consiste, pertanto, nello stabilire se nel contegno tenuto dall’odierna ricorrente – e consistito nel trattenere presso di sè, dopo la scadenza del comodato gratuito, il (nuovo) metalloscopio, messole a disposizione in sostituzione del precedente – possa ravvisarsi un comportamento concludente, o più esattamente se tale contegno abbia assunto il significato di accettazione della terza delle proposte formulate, alternativamente, dalla società Kriope nella missiva del 1 luglio 2009, cioè la “ritenzione” (ovvero, il noleggio) del nuovo metalloscopio, dietro il pagamento di un corrispettivo di Euro 250,00 al giorno.

6.1.3. Tuttavia, tale evenienza non è ipotizzabile nel caso di specie, donde l’accoglimento del motivo di ricorso in esame.

Sussiste, infatti, nel caso che qui occupa, la denunciata violazione dell’art. 1326 c.c., censura, peraltro, da ritenersi ammissibile (diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente), visto che da essa esula ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, condizione, questa, necessaria ai fini della ricorrenza – o meglio, della stessa ammissibilità – del cd. “vizio di sussunzione” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 64841401).

In particolare, si deve muovere dalla constatazione secondo cui, affinchè “un determinato comportamento possa concretamente valere come dichiarazione negoziale”, occorre che “sussistano fatti” non solo “concludenti” ma pure “univoci” (Cass. Sez. 3, sent. 12 luglio 1976, n. 2676, Rv. 381458-01), ciò che deve escludersi, nella fattispecie in esame.

Difatti, la manifestazione tacita di volontà negoziale deve sostanziarsi in un “contegno univocamente concludente, tale da assumere, secondo la coscienza sociale, un significato oggettivo, riferibile al soggetto quanto meno a titolo di autoresponsabilità” (Cass. Sez. Lav., sent. 21 maggio 1980, n. 3351, Rv. 407150-01), in quanto, “perchè un determinato comportamento possa qualificarsi concludente è necessario che esso, valutato nella cornice delle circostanze di insieme, sia idoneo a giustificare la sicura ed univoca illazione del fatto psichico che si ricerca, in quanto lo presupponga per logica coerenza (nesso di continenza), oppure escluda, per logica repugnanza (nesso di incompatibilità), un fatto contrario” (Cass. Sez. 1, sent. 7 settembre 1970, n. 1274, Rv. 346955-01).

Orbene, tali circostanze “di insieme” sono, qui, costituite, evidentemente, dalle vicende che hanno riguardato il precedente contratto di fornitura del (primo) metalloscopio.

Infatti, nella specie, “il fatto psichico che si ricerca” (l’accettazione “per facta concludentia” del contratto di noleggio del – secondo -metalloscopio, al prezzo di Euro 250,00 al giorno) risulta, con tutta evidenza, collegato da un “nesso di incompatibilità” con quello costituito dalla dichiarazione, del 28 luglio 2009, con cui l’odierna ricorrente denunciava la “pretestuosità e illegittimità” delle richieste economiche della società Kriope. Circostanza, questa, che dà ragione, nel complesso, della bontà dell’argomento della ricorrente, che assume di avere, al più, trattenuto illecitamente (ovvero, “sine titulo”, a far data dalla cessazione del comodato gratuito) il metalloscopio, non certo di aver voluto accettare la proposta di noleggiarlo.

Quello, pertanto, azionabile dalla società Kriope era un credito nascente dall’illecita ritenzione del bene, non dalla conclusione, “per facta concludentia” di un contratto di noleggio.

6.2. All’accoglimento del primo motivo di ricorso segue – previo assorbimento di tutti gli altri – la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione per la decisione nel merito, alla luce dei principi dianzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti gli altri e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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