Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26290 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14583-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO CIT SAFEPARTNERS, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32,

presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE NEBBIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del MOUSE, depositata il 05/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

Il Consorzio Innovazione Tecnologia s.r.l., ora CONSORZIO CIT SAFEPARTNERS, nell’anno 2008 si avvaleva delle agevolazioni previste dalla L. 21 maggio 1981, n. 240 (provvidenze a favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese) accantonando l’intero utile di bilancio anno 2008 nell’apposito fondo del passivo sterilizzando, mediante variazione in diminuzione per lo stesso importo, il reddito di impresa risultante dal quadro RF allegato alla dichiarazione, pari ad Euro 131.697,00.

L’Amministrazione finanziaria, sulla base della documentazione contabile esibita dalla contribuente a seguito di invito e della dichiarazione dei redditi mod. Unico/SC2009 regolarmente prodotta per l’anno 2008, rilevava la mancanza dei requisiti previsti dalla L. n. 240 del 1981 per fruire delle agevolazioni sicchè emetteva un avviso di accertamento per l’anno 2008 per un reddito imponibile pari ad Euro 131.697,00 ed imposta dovuta nella misura di Euro 36.217,00, oltre a sanzioni ed interessi di legge.

La contribuente impugnava l’avviso avanti alla CTP di Campobasso la quale con sentenza n. 1298/2014 accoglieva il ricorso annullando il provvedimento in questione valorizzando esclusivamente la violazione del termine previsto dalla L. n. 212 del 2002, art. 12, comma 7, e ritenendo assorbiti gli ulteriori profili di contestazione sollevati dalla ricorrente.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva appello contestando l’applicazione della citata disposizione alla fattispecie in esame ed insistendo per la fondatezza della pretesa erariale.

Con sentenza n. 701/02/2018 la CTR del Molise rigettava l’appello osservando che l’Ufficio si era limitato a contestare unicamente il primo dei cinque motivi di opposizione introdotti dalla contribuente con il ricorso originario (ovvero quello relativo al difetto di contraddittorio endoprocedimentale) sicchè in relazione agli altri quattro motivi di ricorso non contestati si era formato il giudicato. Rilevava in questa prospettiva che il disposto dell’art. 115 c.p.c., là dove stabilisce che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonchè i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, costituisce un principio applicabile anche nel processo tributario.

La CTR riteneva che fosse un diritto-dovere delle parti, non solo quello di portare all’attenzione del Giudice le prove ritenute utili, ma anche e soprattutto di contestare specificamente e tempestivamente i fatti che l’altra parte afferma essere accaduti o non accaduti e che pertanto le eccezioni di diritto e di merito sollevate dal Consorzio e non esaminate dal giudice di prime cure in quanto rimaste assorbite, non essendo state contestate dall’Ufficio nell’atto di appello, dovevano considerarsi “valide, con il conseguente annullamento dell’avviso di accertamento”.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte intimata non si è costituita.

Diritto

Ritenuto che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 346,324 e 115 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Censura in particolare l’affermazione secondo cui le eccezioni di fatto e diritto non esaminate dai giudici di prime cure in quanto ritenute assorbite e non contestate dall’Ufficio nell’atto di gravame in base al principio della non contestazione, dovevano ritenersi “valide”.

Sostiene infatti che un tale assunto si porrebbe in aperto contrato con il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, e degli orientamenti interpretativi della Suprema Corte.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta infatti che la CTR si sarebbe pronunciata esclusivamente sulla ritenuta esistenza di un giudicato interno e sulla base di un erroneo presupposto, omettendo di pronunciarsi sull’eccepita violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Il primo motivo è fondato.

Giova ricordare che nel processo tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato, ad esempio, perchè ritenute assorbite (Cass. n. 14534/2018).

Pertanto si è affermato, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale rivestita dall’Ufficio ed all’indisponibilità della pretesa, alla quale l’Amministrazione non può rinunciare se non nei limiti di esercizio dell’autotutela, che, qualora l’Amministrazione sia soccombente in primo grado per un profilo preliminare di legittimità formale dell’atto, dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria (Cass. 12/06/2009, n. 13695; Cass. 30/12/2009, n. 28018).

Ciò premesso, nella specie la decisione di primo grado aveva accolto il ricorso sulla pretesa violazione dello statuto del contribuente, art. 12, comma 7, (emissione dell’avviso di accertamento prima della scadenza dei 60 giorni previsti dalla norma), cosi ritenendo assorbite le contestazioni di merito relative alla pretesa tributaria.

L’Agenzia ha fatto appello su tale statuizione e la Commissione Regionale ha ritenuto a torto, alla luce dei principi sopra illustrati, che le questioni di merito relative alla pretesa impositiva in quanto non fatte oggetto di uno specifico motivo di gravame fossero non contestate e ormai coperte da un giudicato interno.

Il secondo motivo merita anche esso accoglimento.

La CTR, sull’erroneo presupposto della sussistenza di un giudicato interno, ha omesso di pronunciarsi sull’unica questione che era stata introdotta dall’Ufficio come motivo di gravame, ovvero l’eccepita violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

La decisione impugnata va quindi cassata con rinvio alla CTR del Molise, la quale in diversa composizione dovrà pronunciarsi su tale motivo e su tutte le questioni rimaste assorbite, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

In particolare dovrà pronunciarsi sia sui motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate, sia sui motivi di ricorso proposti in primo grado dal Consorzio ma rimasti assorbiti, ove ritualmente e tempestivamente riproposti in grado di appello, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56 (ex multis, Cass. n. 30444 del 2017, secondo cui “Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure “per relationem”, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicchè non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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