Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2629 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 04/02/2010), n.2629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18126-2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.C.;

– intimato –

e sul ricorso 18929-2007 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO GIOVANNANTONIO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato CHIARA

TURCO, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3526/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/06/2006 R.G.N. 5055/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato RAFFAELA FASANO per delega GIAVANNANTONIO FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 26.4/23.6.2006 la Corte di appello di Roma rigettava gli appelli proposti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e da L.C. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 19.12.2001 che accoglieva la domanda proposta dal L. limitatamente al ricalcolo dell’indennità di anzianità e del TFR con inclusione dei compensi percepiti per lavoro straordinario e dell’indennità carta valori.

Osservava in sintesi la corte territoriale, quanto all’accordo del 22.6.1974, che la clausola di assorbibilità, ivi prevista, riguardava solo i compensi connessi all’aumento di produttività, e non anche allo svolgimento di lavoro straordinario; quanto al computo dell’indennità di anzianità e del TFR, che i compensi per lo svolgimento del lavoro straordinario dovevano includersi nella base di calcolo sia dell’indennità di anzianità, in virtù del criterio omnicomprensivo previsto nel previgente testo dell’art. 2121 c.c., sia del TFR, sulla base del criterio omnicomprensivo adottato dalla contrattazione collettiva (art. 34 CCNL 1992), che ne imponeva la determinazione sulla base della “retribuzione dovuta”; quanto all’eccezione di prescrizione, che il credito per il TFR maturava con decorrenza solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato spa con quattro motivi.

Resiste con controricorso L.C., il quale ha anche proposto ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, degli artt. 2120, 2934 e 2935 c.c., nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale, nel rigettare l’eccezione di prescrizione, non ha tenuto conto che, nel sistema della L. n. 297 del 1982, la cessazione del rapporto di lavoro non costituisce un elemento costitutivo del diritto al TFR, ma un mero requisito di esigibilità dello stesso.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 1362, 1363 e 2120 c.c., la società ricorrente si duole che la sentenza impugnata, nel rigettare l’eccezione di compensazione fra le somme eventualmente dovute per il ricalcolo dell’indennità di anzianità e del TFR e quanto corrisposto in virtù dell’accordo aziendale del 22.6.1974, ha omesso di valutare la portata complessiva dell’accordo, fra le cui finalità era da ricomprendere anche la prevenzione di un futuro contenzioso in materia di determinazione dell’indennità di anzianità per effetto dell’inclusione dei compensi per lavoro straordinario.

Con il terzo motivo l’Istituto lamenta erronea interpretazione del contratto collettivo grafici dell’ottobre 1992, che aveva inteso espressamente escludere dalla retribuzione presa a base di calcolo per la determinazione del TFR i compensi per il lavoro straordinario, prevedendo, a differenza dei precedenti testi, che la nozione di retribuzione era riferibile non più a quanto complessivamente percepito dal dipendente per la sua prestazione lavorativa, ma a quanto erogato per l’attività svolta “nell’orario normale”.

Con il quarto motivo il ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 4 che la sentenza impugnata ha, in sede di dispositivo, correttamente rigettato l’appello proposto dal L. ai fini del ricalcolo degli istituti collaterali (13, 14, ferie) in considerazione dello straordinario prestato, ha, tuttavia, in sede di motivazione, considerato che, ai fini degli stessi istituti, si debba tener conto dello straordinario prestato sino all’entrata in vigore della legge n. 297/1982. Con il ricorso incidentale, infine, il controricorrente censura la sentenza impugna per avere, senza alcuna motivazione, rigettato l’appello nella parte relativa al ricalcolo degli istituti collaterali.

Il primo motivo è infondato.

Per come questa Suprema Corte ha già precisato in analoghe controversie, il lavoratore può far valere il diritto al trattamento di fine rapporto, distintamente, mediante l’azione di accertamento, fin tanto che persista l’interesse ad eliminare uno stato di incertezza in ordine alle modalità di maturazione del trattamento (sia nel caso in cui la composizione della base di computo del trattamento di fine rapporto sia stata conosciuta mediante la comunicazione degli accantonamenti, sia in quello in cui tale composizione possa venire in discussione a seguito dell’eventuale erogazione di anticipazioni), e mediante l’azione di condanna, una volta che il rapporto sia cessato e si intenda ottenere la liquidazione dello stesso; allorchè venga proposta, come nella specie, quest’ultima azione, diretta ad una diversa liquidazione mediante il ricalcolo dell’indennità, l’interesse ad agire, identificandosi, non tanto con l’eliminazione di uno stato di incertezza che si protrae de die in diem, quanto con il ricevimento di una somma di denaro in conseguenza di un inesatto adempimento, sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, cui sono subordinate, oggettivamente, l’esistenza del diritto e la proposizione dell’azione, si che soltanto da tale momento può decorrere la prescrizione (cfr. Cass. n. 11536 del 2006, ed altre conformi).

Anche il secondo motivo è infondato.

In relazione all’accordo aziendale del giugno 1974 la Corte di merito ha escluso che le clausole invocate dalla società ricorrente, e particolarmente il cd. punto A), possano fondare un credito del datore di lavoro, tale da determinare la compensazione con il credito vantato dai lavoratori, ovvero un eventuale saldo in favore della società, in relazione alla previsione di “assorbibilità” di compensi riconosciuti come corrispettivo dell’aumento dei ritmi di produzione.

Tale conclusione si fonda sull’interpretazione dell’accordo (riservata al giudice di merito in ragione della sua efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi collettivi nazionali oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006) e, in particolare, è stata giustificata facendo riferimento al tenore letterale e alla ratio della clausola invocata, avendo i giudici d’appello rilevato, in particolare, che la eventualità di un assorbimento di compensi relativi al ritmo della produzione non potesse che riguardare compensi analoghi, riguardanti comunque la produttività, e fosse estranea, invece, ai compensi percepiti dai lavoratori per la prestazione di lavoro straordinario;

d’altronde, hanno anche osservato i giudici d’appello, un effetto “ablativo” dei compensi per t.f.r., realizzato per via della mancata inclusione dei compensi per prestazioni straordinarie, avrebbe determinato una reformatio in pejus incompatibile con le disposizioni imperative della L. n. 297 del 1982.

Alla luce di tali considerazioni, le osservazioni critiche svolte in ricorso appaiono, quindi, sostanzialmente indirizzate a sostenere un diverso risultato interpretativo, in quanto preferibile a quello accolto nella sentenza censurata, ma in contrasto col consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) ovvero per vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), fermo l’onere del ricorrente di indicare specificamente il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendosi, invece, limitare a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse rispetto a quelle proposte dal giudice di merito, dal momento che il controllo di logicità del giudizio di fatto non può risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata.

Verificato l’impiego corretto dei canoni ermeneutici alla stregua delle censure proposte dal ricorrente, resta esclusa, quindi, la possibilità di un diretto esame del diverso risultato interpretativo proposto dalla parte ricorrente, avendo la corte di merito, fra l’altro, escluso la configurabilità di una transazione – per mancanza dell’aliquid datum atque retentum – in considerazione dell’accertata eterogeneità dei compensi (per la produttività e per lo straordinario), di per sè incompatibile col sinallagma negoziale prospettato dalla datrice di lavoro; intento transattivo che, comunque, per risolversi nel vizio denunciato, non potrebbe che rilevare sul piano della comune volontà delle parti ed essere desunto in funzione di ciò che nelle clausole dell’accordo appare obiettivamente voluto, si da risolvere ogni eventuale dubbio nell’unità di intento che la formula contrattuale è capace di esprimere.

Il terzo motivo, con il quale si prospetta l’erronea interpretazione del contratto collettivo dei grafici del 1992, è, invece, improcedibile, non potendosi in questa sede provvedere alla valutazione della correttezza dei risultati interpretativi cui è pervenuto il giudice di merito, come anche dell’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo la parte ricorrente depositato il contratto collettivo de quo, la cui produzione – nella sua interezza e non soltanto per alcuni stralci – è imposta, appunto a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 allorchè si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte con indirizzo ormai consolidato (cfr. Cass. n. 28305 del 2009, n. 28306 del 2009 e altre conformi, nonchè Cass. n. 19560 del 2007 e altre conformi con riferimento all’art. 420-bis c.p.c.; circa la riferibilità della previsione ai contratti collettivi di diritto comune e la ratio sottesa alla sanzione processuale, cfr. Cass., sez. un., n. 23329 del 2009).

Merita, in particolare, di essere ribadito che la funzione di nomofilachia, demandata alla Corte di Cassazione e perseguita dalle disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che nell’ipotesi di ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., n. 3 l’interpretazione debba essere limitata alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre nel caso previsto dall’art. 420 bis c.p.c. (norma – giova rilevare – che non indica il tipo di controllo cui la Corte deve procedere quando è investita del ricorso per saltum sulla questione pregiudiziale, dandolo per presupposto proprio in base al precedente art. 360 c.p.c., n. 3) l’interpretazione si possa svolgere senza alcuna limitazione, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che però potrebbero risolvere ogni margine di incertezza. Ne deriverebbe il rischio di sentenze contrastanti, recanti, cioè, interpretazioni diverse sulla medesima questione e sulla base della medesima contrattazione collettiva, stante il diverso grado di affidabilità delle une rispetto alle altre, a causa della completezza o meno dell’indagine che la Corte ha svolto.

Ne consegue che deve confermarsi che la norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, non consente deroghe e preclude il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

La medesima improcedibilità occorre rilevare anche rispetto al quarto motivo, essendo stata la correzione della motivazione della sentenza impugnata prospettata con riferimento alle previsioni della disciplina contrattuale in difetto di produzione dei contratti collettivi su cui la censura medesima si fonda, avuto riguardo alla ritenuta incidenza dello straordinario anche sulle mensilità supplementari.

Ed eguali conclusioni sono da ripetersi con riferimento al ricorso incidentale, nel quale si deduce l’erronea interpretazione delle norme collettive poste a base della stessa questione controversa da ultimo indicata.

Il ricorso principale va, dunque, rigettato, mentre va dichiarato improcedibile quello incidentale.

In considerazione della reciproca soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara improcedibile quello incidentale, compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

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