Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26285 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12049 – 2019 proposto da:

D.L.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 91,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE D’OTTAVIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE D’OTTAVIO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3257/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CALABRIA SEZIONE DISTACCATA di REGGIO CALABRIA,

depositata il 12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

Ritenuto che:

D.L.E. proponeva opposizione avverso la cartella originata dalla liquidazione delle imposte con la procedura prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 – bis, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, con cui era stato recuperato a tassazione un debito di imposta.

Con sentenza n. 1106/2012 la CTP accoglieva il ricorso.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva appello cui resisteva la contribuente.

Con sentenza n. 3257 del 2018 la CTR della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, accoglieva l’appello rilevando che “la comunicazione al contribuente dell’esito della liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, come del resto quella prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – bis, è obbligatoria per l’Amministrazione finanziaria al fine di evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, allorquando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione laddove nel caso concreto nessuna incertezza ci poteva essere. Invero il contribuente aveva utilizzato in compensazione un credito di imposta senza denunziarne l’esistenza mediante la compilazione del quadro RU, adempimento cui il contribuente era tenuto, di modo chè la comunicazione non era necessaria”.

Avverso tale sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 289 del 2002, art. 69. Lamenta che la CTR non avrebbe fatto corretta applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 69, indicato in rubrica che ha esteso nella forma di credito di imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, alle imprese agricole di cui al D.Lgs. n. 228 del 2001, art. 1, che effettuano nuovi investimenti ai sensi del Reg. CE n. 1257 del 1999, del Consiglio del 17 maggio 1999, art. 51, ovvero ai sensi di regime di aiuto nazionali approvati con decisione della Commissione delle Comunità Europee nel settore della produzione e commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’ art. 132 c.p.c., all’art. 111 Cost. nonchè al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, e alla L. n. 212 del 2000, art. 7.

Lamenta che l’Agenzia delle Entrate avrebbe recuperato un credito di imposta sulla base dell’errore formale dell’omessa compilazione del quadro RU; criterio, questo, che ad avviso della ricorrente non sarebbe idoneo per inferire l’inesistenza del credito di imposta e a procedere al recupero delle relative somme.

Il primo motivo è inammissibile.

Al riguardo, osserva il Collegio come, nel caso di specie, la società ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta.

Sul punto, converrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.

Con riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01; il relativo consolidato principio di diritto è stato condiviso da Cass. Sez. U., n. 7074 del 2017).

Nella specie la CTR, come sopra riportato, ha deciso l’appello proposto dalla contribuente affermando che non era necessaria la previa comunicazione dell’esito della liquidazione non sussistendo alcuna incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione giacchè la contribuente aveva utilizzato in compensazione un credito di imposta senza denunciarne l’esistenza mediante la compilazione del quadro RU, che riteneva adempimento necessario.

La critica veicolata attraverso il primo motivo è diretta a denunciare la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 69, riferita ad una questione di fatto (ovvero, l’esistenza del credito) non presa in considerazione dalla pronuncia impugnata.

Parimenti anche il secondo profilo di censura non coglie la ratio decidendi là dove lamenta un’omessa motivazione sul fatto che il credito di imposta esisteva, era stato concesso, e non era contestato, sicchè la parte avrebbe potuto disporne senza compilare il quadro RU nè indicare le compensazioni effettuate e gli investimenti lordi e netti dai quali discende il medesimo credito.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio legittimità che liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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