Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26285 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. III, 17/10/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 17/10/2019), n.26285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20695/2016 R.G. proposto da:

Eurothermo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Attilia Fracchia, PEC

attilia.fracchia-milano.pecavvocati.it, con domicilio eletto in

Roma, via Germanico, n. 109, presso lo studio dell’Avv. Giovanna

Sebastio;

– ricorrente –

contro

Condominio di (OMISSIS), in persona dell’amministratore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Antonia Giovanna Negri, PEC

antoniagiovanna.negri-milano.pecavvocati.it, con domicilio eletto in

Roma, viale Bruno Buozzi, n. 99, presso lo studio dell’Avv. Pier

Filippo Giuggioli;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2651 del Tribunale di Milano pubblicata il 29

febbraio 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 gennaio 2019

dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo che sia

dichiarata l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, che venga

rigettato.

5.3. Il petitum cautelare pag. 16.

5.4. La causa petendi pag. 18.

6. Litispendenza e riunione nelle cause di opposizione.

6.1. Il presupposto della pendenza delle cause innanzi a giudici

diversi pag. 19.

6.2. Giudici diversi competenti per territorio pag. 20.

6.3. Giudici diversi competenti per valore pag. 22.

6.4. Giudici diversi per grado pag. 24.

6.5. L’alternativa fra declaratoria di litispendenza e riunione:

conseguenze pratiche pag. 24;

7. I principi di diritto (parte prima) pag. 25.

8. Corollario pag. 26.

9. La sospensione del processo esecutivo.

9.1. Sospensione “interna” e sospensione “esterna” pag. 26,

9.2. La sospensione ex art. 615 c.p.c., comma 1 e l’avvio dell’azione

esecutiva pag. 29.

9.3. Il potere del giudice dell’opposizione a precetto di sospendere

l’esecuzione nel frattempo iniziata pag. 30.

9.4. I poteri mutuamente esclusivi del giudice dell’opposizione

pre-esecutiva e del giudice dell’esecuzione pag. 32.

9.5. La riassunzione del processo nel merito pag. 36.

10. I principi di diritto (parte seconda) pag. 38.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Eurothermo s.p.a. otteneva, nei confronti del Condominio di (OMISSIS), un’ordinanza di ingiunzione ex art. 186-ter c.p.c. per il pagamento di fatture inevase. In data 12 agosto 2010 notificava al Condominio il titolo esecutivo unitamente ad un atto di precetto per il pagamento dell’importo di Euro 6.332,15.

Il Condominio effettuava un pagamento parziale, residuando un saldo di Euro 392,20. Per la riscossione forzata di tale importo, in data 17 settembre 2010 la Eurothermo s.p.a. notificava al Condominio un atto di pignoramento presso terzi.

Con atto di citazione notificato il 24 settembre 2010, il Condominio opponeva il precetto, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, convenendo la Eurothermo s.p.a. innanzi al Tribunale di Milano. A sostegno dell’opposizione deduceva di aver già provveduto all’integrale pagamento di quanto dovuto.

La società creditrice si costituiva in giudizio ed eccepiva che, essendo stato nel frattempo notificato l’atto di pignoramento, l’opposizione si sarebbe dovuta proporre ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2 cioè con ricorso al giudice dell’esecuzione, funzionalmente competente. Pertanto, il giudice investito dell’opposizione a precetto era carente di potere a pronunciarsi sulla domanda dell’opponente. Il Condominio replicava che la notificazione dell’atto di pignoramento si era perfezionata nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., soltanto in data 28 settembre 2010, quando l’atto di citazione in opposizione a precetto era stato già notificato.

Il Tribunale, rigettate le eccezioni preliminari della creditrice, sospendeva l’efficacia esecutiva del titolo. La Eurothermo s.p.a. proponeva reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., denunciando l’abnormità di un provvedimento adottato da un giudice asseritamente privo di potere, ma il gravame veniva rigettato.

Nel frattempo, ricevuta la notifica dell’atto di pignoramento presso terzi, il Condominio proponeva opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, innanzi al Tribunale di Milano.

Il giudice dell’esecuzione, prendendo atto della sospensione del titolo esecutivo disposta dal giudice dell’opposizione a precetto, sospendeva la procedura esecutiva ai sensi dell’art. 623 c.p.c. e assegnava alle parti un termine per l’introduzione del giudizio di merito.

Ottemperando a tale onere, la Eurothermo s.p.a. introduceva il giudizio dinanzi al Giudice di pace di Milano, competente per valore, al quale chiedeva di dichiarare l’inesistenza giuridica o comunque la nullità del (primo) provvedimento di sospensione del titolo esecutivo (adottato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1) e di revocare, invece, il (secondo) provvedimento di sospensione dell’esecuzione, giacchè al momento della notifica, sia del precetto che dell’atto di pignoramento, il debito del Condominio non risultava estinto. Le domande venivano respinte.

La Eurothermo s.p.a. appellava la decisione.

Nel contraddittorio fra le parti, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice d’appello, riformando la sentenza appellata, dichiarava “la litispendenza tra il processo di cognizione in cui tale sentenza è stata emessa ed il processo di cognizione in cui è stata pronunciata la sentenza in data 11.3.2014 del Tribunale di Milano, riguardando il primo di tali processi – instaurato successivamente all’altro – la medesima opposizione all’esecuzione oggetto del secondo”; compensava le spese di giudizio.

Avverso tale decisione la Eurothermo s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi e illustrato da successive memorie difensive, depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Il Condominio di (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Il ricorso, che deve essere previamente convertito in regolamento necessario di competenza, è inammissibile perchè tardivamente proposto.

1.2. Le Sezioni unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito che la litispendenza è un istituto che concorre all’identificazione in concreto del giudice che deve decidere la causa. Pertanto, la sentenza con cui si dichiari la litispendenza, essendo sostanzialmente assimilabile ad una decisione su questioni di competenza, può essere impugnata soltanto con il regolamento necessario di competenza (Sez. U, Ordinanza n. 17443 del 31/07/2014, Rv. 632602).

Tale conclusione va mantenuta ferma anche quando la litispendenza è dichiarata soltanto all’esito del giudizio di appello, con conseguente riforma della decisione di primo grado riguardante invece anche il merito. Infatti, l’art. 42 c.p.c. non distingue fra sentenza di primo o di secondo grado e configura il regolamento necessario di competenza come l’unico mezzo d’impugnazione esperibile avverso qualsiasi pronuncia sulla sola competenza.

Consegue che, quando la litispendenza è dichiarata in grado di appello, l’impugnazione proposta nelle forme del ricorso ordinario per cassazione è inammissibile (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 17025 del 10/07/2017, Rv. 645064).

1.3. In applicazione del principio di conservazione dettato dall’art. 159 c.p.c., comma 3, occorre però verificare se il ricorso ordinario per cassazione proposto dalla Eurothermo s.p.a. possa essere convertito in istanza di regolamento di competenza, con particolare riferimento all’osservanza del termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 47 c.p.c., comma 2.

La società ricorrente afferma che la sentenza impugnata non le è stata mai notificata. La circostanza non è contraddetta dal Condominio controricorrente.

Nondimeno, non può trovare applicazione il termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c.. Infatti, l’art. 47 c.p.c., derogando alla regola generale in tema di impugnazioni dettata dall’art. 326 c.p.c., prevede che il termine per la proposizione del regolamento necessario di competenza decorre, alternativamente, dalla notificazione della sentenza che decide sulla competenza o dalla sua comunicazione a cura della cancelleria.

Pertanto, la parte che propone un regolamento di competenza, quando invoca l’applicazione del termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., non può limitarsi ad allegare che la sentenza impugnata non le sia stata notificata, ma ha l’onere di depositare copia della comunicazione di cancelleria del medesimo provvedimento, giacchè è dal suo ricevimento che decorre il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22411 del 26/09/2017, Rv. 646751).

Nella specie la Eurothermo s.p.a. ha adempiuto a tale onere. Dall’esame del biglietto di cancelleria, tuttavia, risulta che lo stesso è stato trasmesso telematicamente in data 29 febbraio 2016 (cioè il giorno stesso della pubblicazione della sentenza).

Conseguentemente, il ricorso (consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione solamente in data 29 agosto 2016) risulta proposto in violazione del termine fissato dall’art. 47 c.p.c., comma 2, ed è inammissibile.

2. Stante l’esito del giudizio, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono, inoltre, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lei proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

3. Sebbene il ricorso sia stato dichiarato inammissibile, questa Corte ritiene che la questione prospettata dalle parti sia di particolare importanza e che, pertanto, debba essere comunque enunciato, nell’interesse della legge, il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

Specificatamente, la questione della quale la Corte è stata investita concerne il rapporto fra l’opposizione a precetto (o, più genericamente, pre-esecutiva), proposta a norma dell’art. 615 c.p.c., comma 1 e l’opposizione all’esecuzione, avanzata ai sensi del comma 2 medesimo articolo.

La Cassazione, con plurime pronunce, ha affermato che sussiste litispendenza, e non continenza,nè connessione, tra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata.

Il principio, la cui formulazione può farsi ascendere almeno ad un arresto del 1963 in tema di opposizione a precetto cambiario (Sez. 3, Sentenza n. 2275 del 10/08/1963, Rv. 263498), è stato reiteratamente ribadito negli anni ‘70 e ‘80 (Sez. 3, Sentenza n. 1157 del 22/04/1970, Rv. 346749; Sez. 1, Sentenza n. 1034 del 07/04/1972, Rv. 357391; Sez. 3, Sentenza n. 4293 del 17/11/1976, Rv. 383000; Sez. 3, Sentenza n. 6235 del 24/10/1986, Rv. 448495; Sez. 3, Sentenza n. 335 del 18/01/1988, Rv. 456903) e poi ha trovato eco in una sola pronuncia più recente (quantomeno limitando l’indagine alle decisioni ufficialmente massimate) relativa ad una causa introdotta nel merito nel 2007 (Sez. 3, Ordinanza n. 17037 del 20/07/2010, Rv. 614707).

Si tratta, dunque, di verificare se tale principio possa essere mantenuto fermo anche a seguito delle modifiche legislative che, a cavallo fra il 2005 e il 2016, hanno interessato gli artt. 615 c.p.c. e ss..

4.1. In particolare, l’art. 615 c.p.c., comma 1, è stato modificato una prima volta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e), (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, prevedendosi l’inserimento della previsione secondo cui “il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo”.

Fino a quel momento, nell’ordinamento si rinvenivano solamente casi isolati e specifici in cui era consentito al destinatario dell’atto di precetto di richiedere all’autorità giudiziaria di sospendere, in via preventiva, in tutto o in parte gli atti esecutivi (art. 56 Legge Assegni, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736; art. 64 Legge Cambiaria, R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669); casi che, proprio per la loro specificità, erano considerati eccezionali e non suscettibili di estensione analogica.

Era, pertanto, certo che, nella disciplina antecedente al D.L. n. 35 del 2005, l’instaurazione del giudizio di opposizione a precetto non impediva di per sè al creditore di dare inizio all’esecuzione (in quanto l’art. 481 c.p.c. ad essa ricollega soltanto l’effetto di sospendere il termine di efficacia del precetto stesso, non già quello della sospensione dell’esecuzione, che è istituto diverso; Sez. 1, Sentenza n. 5377 del 03/06/1994, Rv. 486860), nè legittimava il debitore, qualora il creditore nelle more del procedimento avesse proceduto al pignoramento, a chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione del processo esecutivo, non essendo configurabile un potere cautelare di tale giudice disgiunto dalla opposizione proponibile dal debitore, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, ovvero dal terzo, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., dinanzi al medesimo giudice dell’esecuzione (Sez. 3, Sentenza n. 7556 del 27/03/2009, Rv. 607887).

Quindi, prima della riforma era tendenzialmente preclusa la possibilità di prevenire gli effetti di un atto espropriativo. Colui che era stato indicato nell’atto di precetto come debitore restava esposto all’effetto – in sè dannoso, in quanto implicante un vincolo di indisponibilità – del pignoramento, pur quando la pretesa del creditore era contestabile, e non aveva altra tutela nei confronti dell’espropriazione illegittimamente intrapresa, che quella risarcitoria di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2. Ciò in quanto la sospensione che il giudice dell’esecuzione può disporre, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., solo dopo che ha avuto inizio il processo espropriativo, non priva di effetti gli atti compiuti e quindi non determina l’immediata liberazione dei beni oramai staggiti.

In tale contesto, la cui legittimità costituzionale era stata avallata anche dalla Consulta (Corte Cost. 19 marzo 1996, n. 81), prese corpo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, a seguito di notifica dell’atto di precetto, l’intimato, sprovvisto di uno strumento di tutela tipica per prevenire il pignoramento, poteva ricorrere al procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per ottenere un provvedimento che inibisse l’attivazione dell’esecuzione forzata (Sez. 3, Sentenza n. 15220 del 19/07/2005, Rv. 582971; Sez. 1, Sentenza n. 2051 del 23/02/2000, Rv. 534285; Sez. 1, Sentenza n. 2051 del 23/02/2000, Rv. 534285).

Il legislatore del 2005 ha colmato il vuoto di tutela dell’intimato, approntando uno strumento specifico di portata generale per la sospensione del titolo esecutivo.

Nondimeno, la soluzione legislativa è risultata, per certi versi, inappagante poichè, venendo meno il requisito della residualità, ha reso impraticabile il ricorso all’art. 700 c.p.c.; ma la tutela cautelare atipica poteva essere ottenuta ante causam e, nei casi di particolare urgenza, pure inaudita altera parte, ai sensi dell’art. 669-sexies c.p.c., comma 2, mentre il provvedimento previsto dall’ultimo inciso dell’art. 615 c.p.c., comma 1, presuppone – quantomeno – l’instaurazione del giudizio di opposizione, ossia la notificazione dell’atto di citazione, con la conseguenza dell’inevitabile differimento del momento in cui potrà essere effettivamente pronunciata l’inibitoria. Così, il creditore può sterilizzarne gli effetti, semplicemente attuando il pignoramento prima che il giudice dell’opposizione a precetto possa pronunciarsi.

4.2. L’art. 615 c.p.c., comma 1, è stato modificato una seconda volta dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132. In tale occasione, il legislatore, intervenendo nuovamente sul potere del giudice dell’opposizione di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, ha puntualizzato che “se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata”.

La precisazione, forse non strettamente necessaria, ha posto fine all’incertezza manifestata da taluni interpreti circa la possibilità di sospendere solo parzialmente l’efficacia esecutiva del titolo, nei casi in cui una parte del credito non sia contestata.

4.3. Infine, l’art. 615 c.p.c. è stato integrato anche dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59 (Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonchè a favore degli investitori in banche in liquidazione), convertito con modificazioni dalla L. 30 giugno 2016, n. 119, ma quest’ultimo intervento legislativo si è limitato a porre un termine di decadenza alla possibilità di proporre opposizione ai sensi del comma 2 della disposizione in commento e non acquista rilievo ai fini della questione in esame.

4.4. Assumono, invece, particolare importanza le modifiche apportate all’art. 616 c.p.c. La norma riguarda la prosecuzione nel merito della causa di opposizione all’esecuzione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2.

In origine, il codice di rito prevedeva che, se la causa rientrava nella competenza dell’ufficio giudiziario al quale apparteneva il giudice dell’esecuzione, questi provvedeva all’istruzione; altrimenti rimetteva le parti davanti all’ufficio giudiziario competente per valore, assegnando un termine perentorio per la riassunzione.

La L. 24 febbraio 2006, n. 52 (Riforma delle esecuzioni mobiliari) ha invece disposto che: “se competente per la causa è l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice dell’esecuzione questi fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa”.

La discontinuità sta dunque in ciò: in precedenza, se la causa di opposizione apparteneva alla competenza del tribunale ordinario, essa proseguiva davanti allo stesso giudice dell’esecuzione, che quindi era funzionalmente competente alla sua trattazione; oggi, la causa di merito va introdotta nelle forme ordinarie anche quando rientra nella competenza del tribunale innanzi al quale pende il processo esecutivo.

La stessa L. n. 52 del 2006 aveva previsto uno speciale regime di inappellabilità della sentenza pronunciata a seguito di opposizione all’esecuzione, ma tale previsione è stata poi soppressa dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 2, (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonchè in materia di processo civile).

5.1. Com’è noto, la litispendenza è un rapporto tra due o più cause che consente di individuare il giudice competente in base al criterio della prevenzione, qualora tra esse vi sia identità di causa petendi e di petitum ed esse pendano fra le stesse parti (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 1302 del 26/01/2004, Rv. 569659).

Il mutato quadro normativo non contraddice, anzi rafforza, il tradizionale orientamento di questa Corte, secondo cui sussiste litispendenza fra l’opposizione al precetto, proposta prima che abbia avuto inizio l’esecuzione forzata, e quella proposta successivamente, per i medesimi motivi, innanzi al giudice dell’esecuzione.

La nuova formulazione dell’art. 616 c.p.c., infatti, consente di superare un possibile ostacolo alla configurazione della litispendenza. Se è vero – come è stato già detto nelle pagine precedenti (par. 1.2) – che la litispendenza è sostanzialmente assimilabile ad una questione di competenza (v. Sez. U, Ordinanza n. 17443 del 31/07/2014, Rv. 632602), la definizione con la pronuncia in rito della causa instaurata per seconda (l’opposizione all’esecuzione) finiva con sottrare la causa alla competenza funzionale attribuita dall’originaria formulazione dell’art. 616 c.p.c. al giudice dell’esecuzione. Tale circostanza, che invero non aveva impedito il formarsi dell’orientamento sopra citato, è venuta meno, poichè il D.L. n. 35 del 2005 ha soppresso la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione ad istruire e decidere nel merito la causa di opposizione rientrante nella competenza tribunalizia. Difatti, secondo quanto dispone il nuovo art. 616 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, in ogni caso, anche quando la competenza appartiene allo stesso tribunale ordinario, assegna alle parti un termine per introdurre il giudizio di merito nelle medesime forme con le quali va proposta l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c., comma 1.

5.2. L’identità di petitum risulta rimarcata anche da una recentissima pronuncia delle Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019, in motivazione).

Nell’occasione, la Corte, investita dal Procuratore generale ex art. 363 c.p.c. della questione della reclamabilità del provvedimento di sospensione adottato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1 ha convincentemente puntualizzato che l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, non integra, in senso tecnico, un’impugnazione del titolo posto a base del precetto. Essa, piuttosto, è volta a contestare – al pari dell’opposizione all’esecuzione già iniziata – il diritto del creditore ad agire in executivis.

In tal senso depone, anzitutto, la circostanza che l’opposizione di che trattasi può essere proposta solo dopo la notifica dell’atto di precetto. In ciò si distingue da una generica azione di accertamento negativo dell’altrui diritto, sempre possibile nelle forme del giudizio ordinario, ma che, in punto di rito, non prevede la possibilità di adottare un provvedimento sospensivo dell'”efficacia esecutiva del titolo” (Sez. 3, Sentenza n. 16281 del 04/08/2016, Rv. 642094). Sospensione che, quindi, non è pronunciata “in astratto”p ma in relazione all’azione esecutiva che il creditore ha effettivamente minacciato notificando l’atto di precetto.

Con l’opposizione pre-esecutiva, pertanto, non si contesta il diritto in sè, così come consacrato nel titolo, bensì il diritto ad agire in via esecutiva. L’eventuale contestazione sul merito della pretesa creditoria rappresenta solamente una domanda accessoria.

Ed invero, nel caso di titolo esecutivo giudiziale, con l’opposizione a precetto – al pari di quella all’esecuzione già iniziata – non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poichè quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente con gli specifici mezzi di impugnazione del titolo previsti dall’ordinamento (per tutte: Sez. U, Sentenza n. 1238 del 23/01/2015, Rv. 634088, in tema di rapporto fra opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. e opposizione all’esecuzione; Sez. 3, Sentenza n. 3712 del 25/02/2016, Rv. 638884, in ordine agli strumenti di impugnazione del titolo esecutivo costituito da un’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’art. 553 c.p.c.; Sez. 3, Sentenza n. 6337 del 19/03/2014, Rv. 629906; relativa alla deducibilità in sede esecutiva di fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato in via monitoria verificatisi sopravvenuti al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo). Per i fatti posteriori alla definitività del titolo esecutivo o alla maturazione delle preclusioni per farli valere nel giudizio in cui il titolo medesimo si è formato, la relativa opposizione non integra, a stretto rigore, un’impugnazione rivolta ad inficiare il titolo per un vizio suo proprio.

Nel caso di opposizione a precetto su titolo stragiudiziale, poi, non si impugna – se non in via descrittiva o atecnica – il contratto o il negozio cui l’ordinamento riconosce efficacia esecutiva, giacchè la domanda principale è rivolta solamente a privarlo di quell’esecutività a favore di chi appare come creditore.

Se da un lato, dunque, deve escludersi che l’opposizione pre-esecutiva si risolva in un giudizio di impugnazione del titolo esecutivo – quale che ne sia la natura, giudiziale o stragiudiziale, o i motivi addotti, anteriori o successivi alla formazione del titolo medesimo dall’altro va detto che la contestazione del diritto di agire in executivis neppure coincide necessariamente con la contestazione del titolo, ben potendo invece insistere su vari aspetti che prescindono da ciò o che, addirittura, presuppongono che il titolo esecutivo sia fuori discussione.

Basti pensare, senza pretesa di esaustività, alla contestazione dei compensi autoliquidati in precetto; ad ogni questione di interpretazione del titolo esecutivo, ivi compresa la deduzione della non corrispondenza della sorte capitale indicata nel precetto con quella legittimamente dovuta in base al titolo medesimo; all’eccezione di carenza di legittimazione attiva o passiva all’azione esecutiva per ragioni diverse da quelle accertate nel titolo (ad esempio, per l’operatività di un beneficium ordinis o excussionis, o per la contestata qualità di erede o successore del creditore, ovvero del debitore o coobbligato cui il titolo si estenda senza altra formalità).

Infine – proseguono le Sezioni unite – un argomento testuale si desume dall’ulteriore previsione introdotta nell’art. 615 c.p.c., comma 1, dal D.L. n. 83 del 2015 (v. retro, par. 4.2), a mente della quale, “se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata”. Sebbene la previsione della “sospensione parziale” costituisca verosimilmente l’estrinsecazione di un principio immanente e sia priva di valenza innovativa, essa comunque conferma che l’opposizione pre-esecutiva non necessariamente ha ad oggetto la contestazione del titolo esecutivo in sè considerato, ma può concernere anche solo una parte del diritto del creditore a procedere esecutivamente.

Orbene, se l’esito vittorioso per l’opponente si risolve nel riconoscimento dell’inesistenza del diritto del creditore di agire esecutivamente,e quindi dell’illegittimità della esecuzione minacciata con l’atto di precetto, è evidente che tale valutazione di illegittimità non può non riguardare – a maggior ragione – l’esecuzione forzata in concreto intrapresa nelle more del giudizio.

Il petitum dell’opposizione pre-esecutiva, pertanto, coincide con quello dell’opposizione all’esecuzione già iniziata, in quanto in entrambi i casi la domanda principale è volta ad accertare l’insussistenza, in tutto o in parte, del diritto del creditore a procedere esecutivamente.

Soltanto ad una lettura sommaria potrebbe sembrare che le due opposizioni tendano al raggiungimento di risultati diversi: l’opposizione a precetto a sterilizzare il titolo esecutivo, oppure a contestare la corrispondenza fra l’importo di cui è stato intimato il pagamento e il debito effettivamente risultante dal titolo esecutivo; l’opposizione all’esecuzione, invece, alla pronuncia di nullità dell’atto di pignoramento, alla caducazione dell’espropriazione forzata e allo svincolo dei beni pignorati. Tale differenza, infatti, è solo apparente perchè non riguarda il c.d. “petitum mediato”, ossia il bene della vita al cui ottenimento tendono, in fin dei conti, le due domande. In entrambi i casi, infatti, l’opponente contesta il diritto del creditore ad agire in executivis. Diritto il cui esercizio, nel caso di opposizione a precetto, è stato solo preannunciato; nel caso di opposizione all’esecuzione è stato concretamente attuato. Le differenze delle formule definitorie, in caso di accoglimento dell’opposizione, riguardano solo i provvedimenti consequenziali all’accertata insussistenza – in tutto o in parte – del diritto azionato dal creditore e risentono del diverso contesto nel quale è stata proposta l’opposizione.

5.3. Una diversità di petitum non si coglie neppure sul piano “cautelare”, ossia della tutela che l’opponente può conseguire con il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, disposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, ovvero mediante la sospensione del processo esecutivo ex art. 624 c.p.c. Ciò in quanto, senza addentrarsi in un argomento che potrebbe avere complesse implicazioni dogmatiche e ricostruttive, i provvedimenti sospensivi producono, in ogni caso, una paralisi dell’azione espropriativa.

D’altronde, il presupposto per l’adozione di un provvedimento sospensivo – sia esso adottato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, oppure dal giudice dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. – è costituito dalla parvente fondatezza dell’opposizione nel merito. Sicchè, una volta accertata l’identità di petitum della domanda di merito (v. par. 5.2), tale identità non può non trasfondersi anche alle domande cautelari e ai relativi provvedimenti, che del probabile esito della causa di merito costituiscono l’anticipazione.

E’ tuttavia evidente la diversa ampiezza della tutela che l’opponente potrà ottenere nell’uno e nell’altro caso. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo protegge il patrimonio del debitore dagli effetti vincolanti del pignoramento, qualora venga pronunciata prima della sua esecuzione, e – in ogni caso – inibisce qualsiasi futura azione esecutiva che il creditore possa intraprendere della minaccia formulata con il precetto in forza di quel titolo. La sospensione dell’esecuzione concerne solo il processo esecutivo in relazione alla quale è pronunciata e produce gli effetti di cui all’art. 626 c.p.c., cioè impedisce che siano compiuti altri atti esecutivi, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, ma non priva di efficacia gli atti già compiuti e, in particolare, non libera i beni staggiti dal vincolo del pignoramento, nè impedisce al creditore di intraprendere altre azioni esecutivi su differenti cespiti del patrimonio del debitore. Nella sostanza, la sospensione ex art. 624 c.p.c. non priva di efficacia conservativa o prenotativa l’atto di pignoramento, mentre la sospensione disposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, inibisce proprio la verificazione di tali effetti, in relazione al titolo esecutivo sospeso, con protezione estesa all’intero patrimonio dell’opponente.

E’, quindi, possibile affermare che la tutela cautelare che è possibile ottenere ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, è più ampia di quella che potrà essere resa mediante sospensione pronunciata ai sensi dell’art. 624 c.p.c. Ma tale diversa “ampiezza” non dipende da una sostanziale divergenza del petitum, bensì costituisce effetto naturale della maggiore tempestività dell’opposizione proposta a precetto, rispetto all’opposizione all’esecuzione.

5.4 L’identità della causa petendi delle due azioni oppositive, invece, deve essere accertata in concreto, di volta in volta, in considerazione delle ragioni dedotte dall’opponente.

Tale osservazione, in sè alquanto ovvia, merita però qualche ulteriore approfondimento.

Si deve constatare, anzitutto, che la legge prevede espressamente un’ipotesi di opposizione all’esecuzione rispetto alla quale non è ipotizzabile, neppure in astratto, configurare la litispendenza rispetto all’eventuale opposizione a precetto precedentemente proposta. Si tratta dell’opposizione che riguarda la pignorabilità dei beni, che deve essere introdotta necessariamente con ricorso al giudice dell’esecuzione, così come espressamente previsto dall’art. 615 c.p.c., comma 2. La ragione è intuibile: il debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutti i propri beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.); solo dopo che l’azione esecutiva ha avuto inizio è possibile affermare su quali, fra tali beni, si è effettivamente incentrata l’espropriazione forzata e, quindi, solamente da tale momento in poi sarà possibile eccepirne l’impignorabilità.

Per il resto, le ragioni poste a fondamento dell’opposizione pre-esecutiva e dell’opposizione all’esecuzione sono potenzialmente coincidenti. Con entrambe si contesta la sussistenza del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata. La causa petendi è talmente sovrapponibile che l’art. 615 c.p.c., comma 2, descrive il proprio oggetto (in alternativa all’eccezione di impignorabilità dei beni) come “l’opposizione di cui al comma precedente”. Con le due opposizioni, quindi, si potranno dedurre i fatti estintivi o modificativi del credito verificatisi dopo la formazione del titolo esecutivo, se questo è di formazione giudiziale; nel caso di titoli esecutivi stragiudiziali, invece, i motivi dell’opposizione potranno investire l’intero rapporto sottostante.

Le ragioni delle due opposizioni, in conclusione, possono essere le medesime e la loro effettiva coincidenza deve essere verificata in concreto, sulla base della prospettazione dell’opponente.

La sovrapponibilità della causa petendi non viene meno neppure se con l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c., comma 1 il debitore si limita a contestare la congruità della pretesa contenuta nell’atto di precetto, sotto il profilo della esattezza delle somme di cui gli è stato intimato il pagamento oppure delle spese legali autoliquidate, senza porre in discussione il titolo esecutivo in sè considerato (v. par. 5.2). Infatti, poichè l’opposizione a precetto non è soggetta ad alcun termine di decadenza, le medesime doglianze possono essere proposte, per la prima volta, anche dopo che l’espropriazione ha avuto inizio, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2.

6.1. Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve quindi confermare l’approdo giurisprudenziale secondo cui sussiste litispendenza fra l’opposizione pre-esecutiva ex art. 615 c.p.c., comma 1, e quella all’esecuzione proposta ai sensi del comma 2 medesimo art., quando le ragioni ad esse sottese sono le medesime.

Si deve, tuttavia, chiarire che le ipotesi in cui, ricorrendo il presupposto dell’identità del petitum e della causa petendi, è possibile dichiarare la litispendenza sono molto circoscritte.

Infatti, gli istituti della litispendenza e della continenza operano soltanto fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi, secondo quanto reso evidente dal dato testuale dell’art. 39 c.p.c. Pertanto, se le cause identiche o connesse pendono dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, trovano applicazione – piuttosto – gli artt. 273 e 274 c.p.c., che consentono e prescrivono la riunione; ovvero, quando ragioni di ordine processuale impediscano la riunione ed una causa sia pregiudiziale rispetto all’altra o sia già giunta a sentenza, gli istituti della sospensione, di cui agli artt. 295 e 337 c.p.c. (ex plurimis: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21761 del 23/09/2013, Rv. 627815; Sez. 3, Ordinanza n. 9510 del 21/04/2010, Rv. 612512; Sez. 3, Sentenza n. 11357 del 16/05/2006, Rv. 590538).

6.2. L’eventualità che l’opposizione a precetto (pre-esecutiva) e quella all’esecuzione pendano innanzi a due uffici giudiziari diversi può aversi in ipotesi alquanto ristrette.

Viene anzitutto in rilievo l’ipotesi che l’opposizione a precetto sia stata instaurata davanti ad un giudice diverso dal tribunale territorialmente competente per l’esecuzione.

Tale evenienza non dovrebbe, di regola, verificarsi, in quanto, ai sensi dell’art. 480 c.p.c., comma 3, il creditore deve dichiarare la residenza o eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. L’art. 615 c.p.c., comma 1, prevede che l’opposizione ivi regolata si debba proporre innanzi al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27 c.p.c. Infine, l’art. 27 c.p.c., indica come territorialmente competente per le opposizioni all’esecuzione forzata di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c. (ivi inclusa, quindi, anche l’opposizione a precetto) il giudice del luogo dell’esecuzione, facendo però espressamente salva “la disposizione dell’art. 480, comma 3”. Ne consegue che l’opposizione a precetto va proposta innanzi al giudice del luogo in cui il creditore ha dichiarato la residenza ovvero ha eletto il domicilio (Sez. 3, Sentenza n. 13219 del 31/05/2010, Rv. 613022; Sez. 3, Ordinanza n. 12976 del 13/07/2004, Rv. 574525), ma tale luogo deve corrispondere con quello in cui si trovano i beni che egli intende espropriare (talchè, qualora egli sia residente altrove, dovrà necessariamente eleggere un apposito domicilio nel foro corretto). Perciò, il giudice dell’opposizione a precetto dovrebbe coincidere con quello competente territorialmente per l’esecuzione forzata.

Tuttavia, può accadere, anzitutto, che il creditore indichi il proprio domicilio considerando taluni beni del debitore e che, dopo la notifica dell’atto di precetto, egli scelga di pignorarne altri che si trovano altrove.

In secondo luogo, l’art. 480 c.p.c., comma 3, prevede che, in mancanza di dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio, le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui l’atto è stato notificato. E’, dunque, possibile che il giudice del luogo della notificazione del precetto sia diverso da quello che poi risulterà competente per l’espropriazione ai sensi degli artt. 26 c.p.c. e ss..

Infine, può anche darsi che la residenza dichiarata o il domicilio eletto dal creditore non corrispondano ad un luogo in cui vi siano beni del debitore utilmente pignorabili (elezione di domicilio c.d. “anomala”). Soltanto l’opponente può contestare la coincidenza di tale foro con il focus executionis, ma non anche il creditore, che resta vincolato dalla sua dichiarazione o elezione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30141 del 14/12/2017, Rv. 648027). In tal caso l’elezione di domicilio contenuta nel precetto è inefficace ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente a conoscere della opposizione all’esecuzione e il criterio selettivo resta quello del luogo della possibile esecuzione (Sez. 3, Sentenza n. 16649 del 09/08/2016, Rv. 641487). La contestazione del debitore opponente potrebbe essere anche implicita, giacchè, ferma restando la necessità di notificare l’opposizione presso il domicilio eletto, la citazione dell’opposto potrebbe essere effettuata direttamente innanzi al tribunale che l’intimato ritiene competente per territorio. Nondimeno, qualora il debitore aderisse all’indicazione fatta dal creditore mediante l’elezione di domicilio “anomala”, si avrebbe il radicamento della causa di opposizione a precetto in un foro diverso da quello dell’opposizione all’esecuzione. Nè si determina uno spostamento della competenza a seguito dell’instaurazione dell’azione esecutiva innanzi ad un tribunale diverso indicato nell’atto di precetto: opera, in tal caso, il principio della perpetuatio iurisdictionis, canonizzato dall’art. 5 c.p.c., che non consente di spogliare della competenza il giudice che ne era originariamente munito, in dipendenza di un evento sopravvenuto, qual è il pignoramento praticato nel circondario di altro giudice (Sez. 1, Sentenza n. 1319 del 30/05/1962, Rv. 252131).

In conclusione, può dunque accadere che:

– il creditore dichiari la propria residenza o elegga il domicilio in un circondario dove si trovano beni del debitore diversi da quelli che poi saranno effettivamente pignorati;

– l’atto di precetto non contenga la dichiarazione di residenza, nè l’elezione di domicilio,e sia notificato al debitore in un luogo diverso da quello in cui sarà intrapresa l’azione esecutiva;

– il creditore effettui una elezione di domicilio “anomala”, il debitore, nel proporre opposizione, aderisca a tale indicazione e l’incompetenza territoriale non venga neppure rilevata d’ufficio.

In tutte queste ipotesi l’opposizione pre-esecutiva dovrà essere instaurata innanzi ad un giudice diverso da quello che sarà territorialmente competente per l’opposizione all’esecuzione già intrapresa. Verificatasi tale circostanza, il giudice adito per secondo dovrà dichiarare la litispendenza fra le due cause, nella misura in cui le ragioni dell’opposizione siano identiche.

6.3. L’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione possono pendere davanti a due giudici diversi anche quando una delle due cause appartenga alla competenza per valore del giudice di pace e l’altra del tribunale.

Anche questa ipotesi, tuttavia, necessita di essere messa a fuoco.

La litispendenza, infatti, è una formula di definizione del giudizio in rito che deve essere pronunciata dal giudice del merito. La stessa va dichiarata, quindi, solo dopo che la causa di opposizione all’esecuzione – che nella fase sommaria appartiene necessariamente alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione (Sez. 3, Sentenza n. 25170 del 11/10/2018, Rv. 651161) – è stata introdotta nel merito, ai sensi dell’art. 616 c.p.c.

Il medesimo art. 616 c.p.c., tuttavia, prevede che il giudice dell’esecuzione, esaurita la fase sommaria, se ritiene che la causa non appartenga alla competenza del tribunale, assegna alle parti un termine perentorio per riassumerla dinanzi all’ufficio giudiziario competente.

Consegue che, nel merito, la causa all’opposizione già iniziata che rientra nella competenza per valore del giudice di pace dovrà essere riassunta innanzi a tale ufficio giudiziario, dove già pende in ipotesi – l’opposizione a precetto. Non ricorreranno, dunque, i presupposti per dichiarare la litispendenza, dovendosi semmai disporre la riunione delle cause.

Una differente competenza per valore in relazione alla causa di opposizione a precetto ed a quella di opposizione all’esecuzione si può determinare allorquando, nelle more fra l’introduzione del primo giudizio e del secondo, interviene un pagamento parziale. Infatti, quando l’esecuzione sia già iniziata, l’individuazione del giudice competente per valore per il giudizio di opposizione nel merito deve essere effettuata, in applicazione dell’art. 17 c.p.c., sulla base del “credito per cui si procede”, che corrisponde a quello che risulta dal titolo esecutivo e per il quale è stato intimato precetto di pagamento; tuttavia, qualora medio tempore siano stati effettuati pagamenti parziali, di cui il creditore ha dato spontaneamente atto (e che, dunque, non sono contestati e la cui esistenza non costituisce essa stessa la ragione dell’opposizione), il “credito per cui si procede” corrisponde al minore importo del credito indicato nell’atto di pignoramento (Sez. 3, Ordinanza n. 4530 del 15/02/2019, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 19488 del 23/08/2013, Rv. 627580).

Può, dunque, accadere che l’opposizione a precetto venga presentata, in base all’importo precettato, innanzi al tribunale e che l’opposizione all’esecuzione, transitata alla fase di merito, debba proseguire invece innanzi al giudice di pace, essendo intervenuti nel frattempo dei pagamenti che hanno ridotto il debito residuo entro la sua soglia di competenza per valore.

6.4. La litispendenza, infine, può essere dichiarata anche quando le due cause, identiche per petitum e per causa petendi, pendano innanzi a giudici diversi, poichè la controversia iniziata precedentemente è stata già decisa in primo grado.

Infatti, in tal caso non è possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o dell’art. 337 c.p.c., comma 2, a ciò ostando l’identità delle domande formulate nei due diversi giudizi (Sez. U, Sentenza n. 27846 del 12/12/2013, Rv. 628456; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15981 del 18/06/2018, Rv. 649429; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19056 del 31/07/2017, Rv. 645684).

Quindi, per “giudici diversi” devono intendersi anche quello di primo grado innanzi a quale penda l’opposizione all’esecuzione già iniziata e quello dell’impugnazione proposta avverso la sentenza che ha definito in primo grado l’opposizione a precetto.

6.5. In conclusione, qualora l’identità di petitum e di causa petendi non diano luogo alla possibilità di dichiarare la litispendenza fra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione, per essere entrambe le cause pendenti innanzi al medesimo ufficio, delle stesse ne va disposta la riunione, ai sensi dell’art. 273 c.p.c.; se ciò non è possibile per ragioni d’ordine processuale, la seconda causa deve essere sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c.

L’alternativa fra declaratoria di litispendenza e riunione (o sospensione pregiudiziale) non è priva di conseguenze pratiche.

In particolare, deve escludersi che, in applicazione di un parallelismo con l’istituto della litispendenza (per il quale vale la regola che il processo iniziato per secondo dev’essere definito in rito e non dev’essere trattato), nell’ipotesi in cui abbiano luogo avanti allo stesso giudice due procedimenti identici, il giudice debba trattare soltanto il primo giudizio, dimodochè se esso presenta un problema in rito che impedisce la trattazione del merito, quest’ultima resta preclusa anche sul secondo. Infatti, ciò, oltre ad essere in contrasto con la previsione della riunione obbligatoria dei procedimenti identici pendenti avanti al medesimo giudice, sarebbe anche in manifesto contrasto con quanto accade allorquando un giudizio venga definito con pronuncia di rito e venga successivamente proposto un nuovo identico giudizio, la cui proposizione non è impedita dalla pronuncia in rito sul primo (Sez. 3, Sentenza n. 5894 del 17/03/2006, Rv. 587894).

Tuttavia, la verificazione di un’eventuale preclusione (di rito o di merito) nel primo processo determina l’effetto di impedire che nel secondo processo la preclusione possa essere superata. Il giudice, infatti, in osservanza del principio del ne bis in idem e allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni, deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’evenienza che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 24529 del 05/10/2018, Rv. 651137).

7. Conclusivamente, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, è possibile enunciare d’ufficio i seguenti principi di diritto nell’interesse della legge:

“Sussiste litispendenza fra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, quando le due azioni sono fondate su fatti costitutivi identici, concernenti l’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata, e semprechè le cause pendano innanzi a giudici diversi. Invece, nell’ipotesi – più probabile – in cui le due opposizioni, riassunta la seconda nel merito, risultino pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, delle stesse se ne dovrà disporre la riunione, ai sensi dell’art. 273 c.p.c.; ovvero, qualora ciò non sia possibile per impedimenti di carattere processuale, bisognerà sospendere pregiudizialmente la seconda causa, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.”.

“L’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione successivamente proposta avverso il medesimo titolo esecutivo, fondate su identici fatti costitutivi e pendenti, nel merito, innanzi al medesimo ufficio giudiziario, vanno riunite d’ufficio, ai sensi dell’art. 273 c.p.c., ferme restando le decadenze già maturate nella causa iniziata per prima”.

8. Tali conclusioni inducono ad un’ulteriore riflessione, circa la sostanziale superfluità dell’opposizione all’esecuzione proposta sulla base degli stessi motivi dell’opposizione a precetto.

Tanto che vi sia litispendenza, poichè le cause sono proposte davanti a giudici diversi, quanto che vengano riunite perchè pendenti innanzi al medesimo ufficio giudiziario, l’introduzione del giudizio di opposizione all’esecuzione nel merito per le medesime ragioni poste a fondamento dell’opposizione a precetto si risolve in un’attività processuale improduttiva di effetti pratici.

Nel primo caso, l’opposizione all’esecuzione dovrà essere definita in rito, mediante la declaratoria di litispendenza e la cancellazione dal ruolo. Nell’altro caso, il giudice dovrà trattare solo la prima delle due opposizioni (quella a precetto), a meno che questa non risulti improcedibile e venga quindi meno l’ostacolo alla trattazione della seconda.

9.1 Così ricostruito il rapporto fra le opposizioni regolate, rispettivamente, dall’art. 615 c.p.c., commi 1 e 2 resta da chiarire come si ripartisce il potere di adottare provvedimenti interinali di carattere sospensivo.

Come abbiamo già detto (retro, par. 4), l’art. 615 c.p.c., comma 1, attribuisce al giudice dell’opposizione a precetto il potere di sospendere, su istanza di parte, concorrendo gravi motivi, l’efficacia esecutiva del titolo. Se il diritto del creditore è contestato solo parzialmente, il giudice provvede in relazione alla parte contestata.

L’art. 624 c.p.c. prevede, dal canto suo, che, nel caso di opposizione all’esecuzione proposta a norma dell’art. 615 c.p.c., “il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza”. L’incipit dell’art. 624 c.p.c. è stato emendato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (conv. con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, e successivamente modificato dal D.L. 30 giugno 2005, n. 115, conv. con modificazioni dalla L. 17 agosto 2005, n. 168), nel senso di eliminare il riferimento testuale all’art. 615 c.p.c., comma 2; ma la correzione va intesa nel senso di estendere anche al provvedimento di sospensione adottato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1 il rimedio del reclamo al collegio previsto dallo stesso art. 624 c.p.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019, Rv. 654839 – 01).

Resta fermo, comunque, che la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. è strutturalmente diversa da quella disciplinata dall’art. 615 c.p.c., comma 1.

Tale differenza è plasticamente evidenziata dall’art. 623 c.p.c., che così recita: “salvo che la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo, l’esecuzione forzata non può essere sospesa che con provvedimento del giudice dell’esecuzione”. Si parla, a tal proposito, di “sospensione esterna” per indicare quella “disposta (…) dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo” e di “sospensione interna” con riferimento a quella pronunciata dal giudice dell’esecuzione.

Orbene, riprendendo quanto già osservato in relazione al contenuto dell’opposizione a precetto (par. 4.1 e 5.4), deve affermarsi con certezza che la sospensione della “efficacia esecutiva del titolo” disposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, ha natura di “sospensione esterna”. Con la stessa, infatti, viene privato di efficacia esecutiva il titolo indicato nell’atto di precetto, che diviene inidoneo a sorreggere qualsiasi azione espropriativa che il creditore intenda porre in essere in base a quella intimazione. La tutela che l’opponente ottiene mediante il provvedimento di sospensione previsto dall’art. 615 c.p.c., comma 1, è analoga a quella che, anteriormente alla riforma del 2005, gli veniva offerta ex art. 700 c.p.c. (retro, par. 4.1): la protezione del suo patrimonio dall’apposizione di vincoli conservativi ed espropriativi che possano derivare dal portare ad esecuzione forzata contro di lui il titolo, la cui efficacia è oramai sospesa.

Sull’altro versante si pone, invece, la “sospensione interna” disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c., che non incide sul titolo esecutivo, ma sul singolo processo espropriativo nel cui àmbito essa è pronunciata. La differenza è evidente: mentre la “sospensione esterna” inibisce in radice l’azione esecutiva, gli effetti della “sospensione interna” sono invece che “nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione” (art. 626 c.p.c.). Dunque, nel caso di sospensione interna gli atti esecutivi già posti in essere conservano la loro efficacia, i beni staggiti restano indisponibili e il vincolo nascente dal pignoramento continua ad essere opponibile anche ai terzi. Il singolo processo esecutivo entra in una fase di stallo, ma il creditore può intraprendere altre azioni espropriative su beni differenti.

Il debitore che deduca innanzi al giudice dell’esecuzione l’intervenuta sospensione esterna del processo esecutivo, non introduce una nuova causa di opposizione all’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione non deve adottare un provvedimento di sospensione ex art. 624 c.p.c., ma limitarsi a prendere atto di quanto già disposto dal giudice innanzi al quale è stato impugnato il titolo esecutivo. Conseguentemente, in caso di sospensione esterna, il debitore non deve proporre un ricorso ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, per contestare la proseguibilità dell’azione esecutiva e il giudice dell’esecuzione, dopo aver dichiarato la sospensione dell’espropriazione ai sensi dell’art. 623 c.p.c., non deve fissare un termine per l’introduzione del giudizio nel merito ex art. 616 c.p.c. L’unico giudizio che prosegue è quello nel cui ambito è stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. Il termine per la riassunzione del processo esecutivo fissato dall’art. 627 c.p.c. va riferito alla causa di opposizione a precetto.

9.2 L’eventuale coincidenza del petitum e della causa petendi dell’opposizione pre-esecutiva (a precetto) e dell’opposizione all’esecuzione già iniziata, pone il problema del reciproco atteggiarsi dei poteri sospensivi ripartiti fra il giudice adito ex art. 615 c.p.c., comma 1, e il giudice dell’esecuzione. Problema i cui termini sostanziali non mutano, tanto se, nel merito, debba dichiararsi la litispendenza, quanto se le due cause debbano invece essere riunite (par. 7).

A tal proposito, occorre rammentare che questa Corte ha recentemente affermato che l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, deve avere struttura necessariamente bifasica (Sez. 3, Sentenza n. 25170 del 11/10/2018, Rv. 651161), in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario. Consegue che al debitore opponente non è consentito, a pena di improcedibilità, proporre la domanda di merito direttamente nel giudizio di opposizione a cognizione piena, senza passare per la fase sommaria innanzi al giudice dell’esecuzione.

Ciò posto, si pone il dubbio se il giudice dell’opposizione a precetto possa disporre la sospensione, in tutto o in parte, dell’efficacia del titolo esecutivo qualora, prima che egli si pronunci, il creditore abbia già eseguito il pignoramento.

Secondo una certa interpretazione, infatti, il combinato disposto dell’art. 615 c.p.c., comma 2. (che dispone che, quando è iniziata l’esecuzione, l’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione) e degli artt. 623 e 624 c.p.c. (che prevedono la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione a pronunciare la sospensione dell’espropriazione), in uno con la citata giurisprudenza per la quale l’opposizione all’esecuzione deve avere necessariamente struttura bifasica, implica che, eseguito il pignoramento, solo il giudice dell’esecuzione – e non più il giudice dell’opposizione a precetto – potrebbe disporre la sospensione del processo esecutivo.

9.3 Tale impostazione non può essere condivisa per almeno due ragioni.

Anzitutto, nessuna norma circoscrive la potestas del giudice, innanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo, di pronunciare la sospensione “esterna” solo fino al momento in cui ha avuto inizio l’esecuzione. Al contrario, è inequivoco il tenore dell’art. 623 c.p.c., che parla del potere di “sospensione dell’esecuzione”, dunque anche di quella già iniziata, concorrente con l’analogo potere che spetta al giudice dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. (“salvo che…”). E’, quindi, certo che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, anche se disposta dopo che sia già stato eseguito il pignoramento, determina parimenti gli effetti sospensivi del processo esecutivo previsti dall’art. 626 c.p.c., che infatti parla genericamente di “processo esecutivo sospeso”, senza distinguere a seconda che la sospensione sia stata pronunciata ai sensi degli artt. 623 o 624 c.p.c.

Pertanto, una volta inquadrato anche il provvedimento sospensivo considerato dall’art. 615 c.p.c., comma 1, fra le ipotesi di “sospensioni esterne” considerate dall’art. 623 c.p.c., deve escludersi che l’attuazione del pignoramento (o, più in generale, l’inizio dell’esecuzione forzata) esautori il giudice dell’opposizione a precetto dal provvedere sull’istanza rivoltagli dall’opponente.

In secondo luogo, va ricordato che – come già ampiamente chiarito – la sospensione adottata ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, ha una portata più ampia di quella che può essere disposta dal giudice dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c.: la prima inibisce al creditore precettante, in via preventiva e generale, di intraprendere qualsiasi azione esecutiva sulla base di quel precetto e del titolo esecutivo ivi indicato; la seconda, invece, esaurisce i suoi effetti solo nell’ambito del processo esecutivo in cui è pronunciata.

Ciò posto, non risulterebbe coerente con il sistema ipotizzare che, iniziata l’esecuzione, l’ambito di tutela del debitore si restringa, potendo egli ottenere la sospensione della sola procedura esecutiva in corso,e non più un’inibitoria generale ad iniziare (e proseguire) azioni esecutive sull’intero suo patrimonio sulla base del titolo esecutivo e del precetto che sono stati opposti e concretamente azionati dal preteso creditore.

In conclusione, l’avvio dell’azione esecutiva non impedisce al giudice preventivamente adito in sede di opposizione pre-esecutiva di provvedere sull’istanza di sospensione che gli sia stata rivolta in base all’art. 615 c.p.c., comma 1.

In fin dei conti, trova applicazione, anche a proposito del potere sospensivo, il principio della perpetuatio iurisdictionis, sancito dall’art. 5 c.p.c., per il quale la competenza del giudice che ne era originariamente munito non viene meno in dipendenza di un evento sopravvenuto, qual è il pignoramento nel frattempo eseguito.

Ovviamente, il momento nel quale è pronunciato il provvedimento di sospensione non è privo di conseguenze giuridiche. Se è vero che la sospensione pre-esecutiva inibisce, in linea di principio, il compimento di qualsiasi atto esecutivo sui beni del preteso debitore, qualora il pignoramento sia stato nel frattempo già eseguito, gli atti esecutivi posti in essere fino a quel momento conserveranno i propri effetti, trovando applicazione quanto disposto dall’art. 626 c.p.c.

Qualora, invece, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo sia stata disposta, dal giudice dell’opposizione a precetto, anteriormente all’attuazione del pignoramento, questo è colpito da radicale invalidità in quanto compiuto in difetto di titolo esecutivo. Tale invalidità deve essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, dando luogo ad un caso di “estinzione atipica”.

Consegue che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo avrà un effetto protettivo dall’azione esecutiva per i beni dell’opponente non ancora aggrediti dal creditore, ma relativamente a quelli già pignorati i suoi effetti non differiranno, nella sostanza, dalla sospensione ex art. 624 c.p.c.: i beni staggiti resteranno soggetti al vincolo di indisponibilità, ma non potranno compiersi ulteriori atti esecutivi.

9.4 Resta, allora, da risolvere il nodo se, pendenti entrambe le opposizioni basate sui medesimi motivi, il giudice dell’esecuzione conservi comunque il potere di adottare l’eventuale provvedimento sospensivo ai sensi dell’art. 624 c.p.c.

In senso affermativo si registra un arresto, non più recente, di questa Corte, secondo cui la competenza del giudice dell’esecuzione a sospendere il processo, avendo carattere funzionale, non è derogabile per effetto dell’eventuale litispendenza tra due giudizi introdotti ai sensi dell’art. 615 c.p.c., commi 1 e 2 (Sez. 3, Sentenza n. 10121 del 02/08/2000, Rv. 539053). A sostegno di tale affermazione, viene semplicemente indicato un precedente più risalente (Sez. 3, Sentenza n. 6235 del 24/10/1986, Rv. 448495). Quest’ultimo, tuttavia, si limita a ribadire che sussiste litispendenza fra l’opposizione avverso l’atto di precetto e l’opposizione avverso l’atto di pignoramento proposte in relazione al medesimo credito e solo incidentalmente aggiunge, senza approfondire il tema, che il giudice dell’esecuzione conserva il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione, a norma dell’art. 624 c.p.c.

L’esattezza di questa impostazione deve essere sottoposta a verifica.

La sospensione del processo esecutivo – che sia disposta tanto ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, quanto dell’art. 624 c.p.c. – ha natura cautelare (quantomeno in senso lato), tant’è che essa è in entrambi i casi reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c. (Sez. U, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019, Rv. 654839 – 01). Il fumus boni iuris è costituito dalla parvente fondatezza dell’opposizione.

Una siffatta valutazione di fondatezza non può essere ristretta all’astratta prospettazione delle ragioni di merito, ma deve tener conto del probabile esito dell’opposizione in rito. Cosi, ad esempio, non potrà essere disposta la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. nel caso di un’opposizione all’esecuzione proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione, poichè il giudizio prognostico relativo al giudizio di merito sarà di inammissibilità ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, come modificato dal D.L. n. 59 del 2016 (v. par. 4.3).

Orbene, l’opposizione all’esecuzione già iniziata proposta per le medesime ragioni in fatto e diritto dell’opposizione pre-esecutiva (a precetto) già pendente, è destinata ad essere cancellata dal ruolo per litispendenza, se le due cause pendono innanzi a giudici diversi, ovvero ad essere riunita ma non trattata, se le due cause sono state instaurate innanzi al medesimo tribunale (v. par. 6.4). Il problema è, dunque, se queste formule definitore possano essere assimilate ad un rigetto o ad una declaratoria di inammissibilità o, comunque, non consentano di formulare una prognosi fausta circa l’esito della causa. Se così fosse, infatti, il giudice dell’esecuzione dovrebbe respingere l’istanza di sospensione proposta per le medesime ragioni per le quali è già pendente un’opposizione pre-esecutiva, in quanto accessoria ad una causa non destinata a risolversi in favore dell’opponente. Andrebbe, dunque, esclusa in radice qualsiasi forma di competenza concorrente del giudice dell’opposizione a precetto e del giudice dell’esecuzione nel disporre la sospensione del processo esecutivo.

Occorre tuttavia considerare che la litispendenza non determina l’improcedibilità o l’inammissibilità della causa introdotta per seconda. Piuttosto, si è in presenza di due giudizi che hanno ad oggetto la medesima causa, sicchè – per ragioni di economia processuale e per evitare che si formino giudicati contrastanti – verrà trattata e decisa solo la prima. Consegue che il giudice dell’esecuzione – innanzi al quale sia stata proposta un’opposizione perfettamente coincidente, per petitum e causa petendi, all’opposizione a precetto già pendente – non si trova a dover decidere una causa inammissibile o improcedibile, bensì l’identica causa già incardinata davanti ad altro giudice, ex art. 615 c.p.c., comma 1, che nella sede appropriata sarà decisa nel merito.

L’identità delle cause, che determina la cancellazione dal ruolo della seconda, può essere dichiarata solo nella fase a cognizione piena. Pertanto, nel momento in cui il giudice dell’esecuzione esamina l’opposizione al solo fine di decidere sull’eventuale sospensione della procedura esecutiva opposta, egli ha innanzi a sè una causa potenzialmente suscettibile di essere decisa nel merito. Ed infatti, quand’anche fosse successivamente dichiarata la litispendenza, quella stessa causa sarà comunque decisa nel merito, sebbene dal giudice dell’opposizione a precetto.

Perciò, fintanto che l’opposizione all’esecuzione già iniziata non transita nella fase del giudizio a cognizione piena, il giudice dell’esecuzione ha – quantomeno in astratto e salvo quanto si dirà subito appresso – il potere di disporre la sospensione del processo esecutivo, anche se per le medesime ragioni è stata già proposta anche un’opposizione a precetto.

Ciò non significa, tuttavia, che l’opponente, per ottenere il provvedimento sospensivo, possa rivolgersi – contemporaneamente o in momenti successivi – sia al giudice dell’opposizione a precetto, sia al giudice dell’esecuzione. “I rispettivi poteri, ove – beninteso e adeguatamente sottolineato – le richieste di sospensiva si basino sugli stessi identici motivi, non possono dirsi concorrenti, ma mutuamente esclusivi: il giudice adito in tempo successivo deve ritenersi privo di potestas iudicandi anche sulle relative misure caute/ari di competenza” (così Sez. U, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019, pag. 21).

E’ possibile dire – con un’espressione atecnica, dal valore meramente descrittivo – che sussiste una sorta di rapporto di “continenza cautelare” fra la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo prevista dall’art. 615 c.p.c., comma 1, e la sospensione della procedura esecutiva di cui all’art. 624 c.p.c., giacchè la prima inibisce al creditore di agire in executivis sull’intero patrimonio dell’opponente e determina, al contempo, la stasi dell’eventuale espropriazione forzata nel frattempo già avviata (par. 5.3 e 9.3); mentre la seconda produce i propri effetti solo sull’azione esecutiva cui si riferisce. Dunque, il provvedimento di sospensione disposto ex art. 615 c.p.c., comma 1, comprende in sè anche gli effetti della sospensione che il giudice dell’esecuzione potrebbe pronunciare ex art. 624 c.p.c.

Ed allora, l’opponente che abbia già richiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo al giudice dell’opposizione pre-esecutiva, non può rivolgersi per le medesime ragioni anche al giudice dell’esecuzione. Egli, infatti, indirizzando la propria istanza al giudice dell’opposizione a precetto, ha oramai consumato il proprio potere processuale, in ossequio del principio “electa una via, non datur recursus ad alteram”, che costituisce espressione dell’esigenza interna al sistema processuale di scongiurare tutte le ipotesi che possano dar luogo alla pronuncia di provvedimenti contrastanti. D’altronde, anche i principi del “giusto processo” e della “ragionevole durata”, di cui all’art. 111 Cost., comma 1 e 2, impongono che siano preferite le soluzioni interpretative che, secondo un criterio di economia processuale, evitino il compimento di attività processuali duplicate e potenzialmente foriere di generare contrasti interni al medesimo processo.

Conclusivamente, deve ritenersi che il debitore opponente può, per le medesime ragioni, richiedere l’adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza tanto al giudice dell’opposizione a precetto, quanto al giudice dell’esecuzione. Tuttavia, una volta che egli abbia adito il primo con la propria istanza, non potrà rivolgersi pure al secondo, a prescindere dalla circostanza che sull’istanza si sia già provveduto oppure no. In tal modo, infatti, ha consumato il suo potere processuale e quindi spetterà, semmai, al giudice dell’opposizione pre-esecutiva pronunciare la sospensione “esterna” del processo esecutivo nel frattempo iniziato. “Il giudice del processo esecutivo comunque iniziato resterà impossibilitato a discostarsi dalle misure adottate, ma limitatamente alle domande fondate sull’identica causa petendi (ciò che costituisce il presupposto ineliminabile della litispendenza), dal giudice preventivamente adito” (ancora Sez. U, Sentenza n. 19889 del 23/07/2019).

9.5. E’, dunque, possibile che il giudice dell’esecuzione possa provvedere sull’istanza di sospensione contenuta nel ricorso proposto ex art. 615 c.p.c., comma 2, che ricalca i medesimi motivi dell’opposizione a precetto, semprechè – beninteso – la richiesta di sospensiva non sia stata già rivolta al giudice adito per primo, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1.

In tale evenienza si pone, allora, il problema del tenore del provvedimento che il giudice dell’esecuzione deve contestualmente assumere, a sensi dell’art. 616 c.p.c., per quanto concerne la prosecuzione del giudizio nel merito.

Abbiamo detto, infatti, che la contemporanea pendenza delle due cause dovrà essere risolta, nel merito, mediante la dichiarazione di litispendenza oppure tramite la riunione delle stesse, senza che però tale riunione valga a rimettere l’opponente nei termini per il compimento di attività processuali nelle quali è già decaduto nel giudizio iniziato per primo (par. 6.1 e 6.5). Dunque, se vi è assoluta identità di petitum e di causa petendi, il debitore-opponente è tenuto a proseguire nel merito la causa iscritta a ruolo per prima, ossia quella di opposizione a precetto, poichè l’altra sarà definita in rito mediante la cancellazione dal ruolo (o la riunione alla causa “portante”).

Le istruzioni che il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., dovrà impartire alle parti per la prosecuzione del giudizio nel merito, dovranno essere adeguate alla particolarità del caso, nel senso che egli potrà limitarsi a prendere atto della pendenza del giudizio nel merito, senza onerare la parte interessata di instaurare un giudizio sostanzialmente superfluo.

In altri termini, poichè l’unica causa che la parte è tenuta a coltivare è quella proposta per prima (l’opposizione a precetto), deve escludersi che l’opponente sia onerato di introdurre nel merito un secondo giudizio (l’opposizione all’esecuzione già iniziata) la cui proposizione, in realtà, serve solamente ad investire nella fase sommaria il giudice dell’esecuzione della domanda sospensiva non già rivolta al giudice dell’opposizione pre-esecutiva. In altri termini, è come se con il ricorso ex art. 615 c.p.c., comma 2, si rivolgesse una istanza cautelare in corso di causa ad un giudice dotato, ai soli fini sospensivi, di una competenza funzionale mutuamente alternativa a quella del giudice del merito.

In una simile ipotesi, non potranno verificarsi neppure gli effetti di cui all’art. 624 c.p.c., comma 3, (così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, a mente del quale il processo esecutivo si estingue se il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’art. 616 c.p.c.), dato che il giudizio di merito è già stato introdotto, ancor prima della pronuncia del giudice dell’esecuzione sulla sospensione.

Nel caso in cui il termine sia stato erroneamente assegnato, le parti non hanno l’onere di introdurre un nuovo giudizio e possono disattenderlo.

Qualora, invece, il giudice dell’esecuzione abbia ritenuto di non assegnare il termine di cui all’art. 616 c.p.c., nell’erronea convinzione della perfetta sovrapponibilità delle ragioni dell’opposizione a precetto e dell’opposizione all’esecuzione, la parte interessata a sostenere che il petitum e la causa petendi delle due opposizioni non siano del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di sei mesi previsto dall’art. 289 c.p.c. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5060 del 04/03/2014, Rv. 630644; Sez. 3, Sentenza n. 22033 del 24/10/2011, Rv. 620286). Infatti, poichè l’accertamento della litispendenza spetta al giudice del merito, il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione, ravvisando l’identità delle domande formulate nell’opposizione a precetto e nell’opposizione all’esecuzione pendente innanzi a sè, omette di assegnare il termine per la riassunzione del giudizio del merito, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., ha comunque natura meramente ordinatoria e non definisce il giudizio nel merito. Consegue che contro tale provvedimento irrituale è esclusa l’esperibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, e del regolamento di competenza.

10. Conclusivamente, ad integrazione dei principi di diritto enunciati nell’interesse della legge nel par. 7, si devono formulare i seguenti altri principi:

“Il giudice dell’opposizione a precetto (c.d. opposizione pre-esecutiva) cui sia stato chiesto di disporre la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, (così come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35), non perde il potere di provvedere sull’istanza per effetto dell’attuazione del pignoramento o, comunque, dell’avvio dell’azione esecutiva, sicchè l’ordinanza sospensiva da questi successivamente pronunciata determinerà ab esterno la sospensione ex artt. 623 e 626 c.p.c. di tutte le procedure esecutive nel frattempo instaurate”.

“Il pignoramento eseguito dopo che il giudice dell’opposizione a precetto ha disposto la sospensione dell’esecutività del titolo è radicalmente nullo e tale invalidità deve essere rilevata, anche d’ufficio, dal giudice dell’esecuzione”.

“Qualora siano contemporaneamente pendenti l’opposizione a precetto (art. 615 c.p.c., comma 1) e l’opposizione all’esecuzione già iniziata (art. 615 c.p.c., comma 2) sulla base di quello stesso precetto, i due giudici hanno una competenza mutuamente esclusiva quanto all’adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza, nel senso che, sebbene l’opponente possa in astratto rivolgersi all’uno o all’altro giudice, una volta presentata l’istanza innanzi a quello con il potere “maggiore” (il giudice dell’opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell’esecuzione, neppure se l’altro non sia ancora pronunciato”.

“Qualora sussista litispendenza fra la causa di opposizione a precetto (c.d. opposizione pre-esecutiva) e la causa di opposizione all’esecuzione già iniziata, il giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, non deve assegnare alle parti, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., un termine per introdurre il giudizio nel merito, giacchè un simile giudizio sarebbe immediatamente cancellato dal ruolo ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 1. Il giudizio che le parti hanno l’onere di proseguire si identifica, infatti, con la causa iscritta a ruolo per prima, ossia l’opposizione a precetto”.

“Qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell’esecuzione – o il collegio adito in sede di reclamo ex art. 624 c.p.c., comma 2 e art. 669-terdecies c.p.c. – sospenda l’esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell’opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all’art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall’art. 624 c.p.c., comma 3, in quanto l’unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza”.

“Qualora il giudice dell’esecuzione, ravvisando identità di petitum e la causa petendi fra l’opposizione a precetto e l’opposizione all’esecuzione innanzi a lui pendente, dopo aver provveduto sulla richiesta di sospensiva, non assegni alle parti il termine di cui all’art. 616 c.p.c. per l’introduzione nel merito della seconda causa, la parte interessata a sostenere che le domande svolte nelle due opposizioni non siano del tutto coincidenti, dovrà introdurre egualmente il giudizio di merito, nel termine di cui art. 289 c.p.c., chiedendo che in quella sede sia accertata l’insussistenza della litispendenza o, comunque, un rapporto di mera continenza. Infatti, avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione, avente natura meramente ordinatoria, non possono essere esperiti nè l’opposizione agli atti esecutivi, nè il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, nè il regolamento di competenza”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Afferma, nell’interesse della legge, i principi di diritto di cui alle pag. 25 ss. e 38 ss. della motivazione.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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