Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26285 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24433-2010 proposto da:

M.P. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato FRISANI

L. PIETRO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto nel procedimento n. 1073/08 V.G. della CORTE

D’APPELLO di BOLOGNA del 26/06/09, depositato il 09/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Libertino Alberto che

ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che M.P., con ricorso dell’11 ottobre 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 9 febbraio 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il, quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso pei l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha rigettato la domanda di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 9.800,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 29 dicembre 2 008, era fondata sui seguenti fatti: a) il M., già appartenente alla Polizia di Stato ed asseritamente titolari del diritto alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita con il computo dell’indennità pensionabile di impiego operativo, aveva proposto – con ricorso collettivo del 12 aprile 1996 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda, osservando che: a) al momento di presentazione del ricorso, la giurisprudenza si era orientata nel ritenere che, sulla base del dato letterale della normativa, l’indennità di impiego operativo non era computabile ai fini dell’indennità di buonuscita; b) tale tesi era stata accolta sia dalla Corte costituzionale sia dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria; c) “(…) dopo tali pronunce della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, i ricorrenti avanti al TAR non potevano nutrire alcuna legittima aspettativa di accoglimento del ricorso nè (…) continuare a vivere “nell’incertezza dell’esito dello stesso”. (…) nella specie non è in gioco l’astratto principio richiamato a funzionale sostegno della stessa L. n. 89 del 2001, bensì la sussistenza in concreto del danno “da processo” che la medesima ha inteso tutelare e la cui accertata inesistenza comporta l’inapplicabilità dell’invocata tutela risarcitoria (…)”.

Considerato che, con il motivo di censura, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al Giudice contabile, nonchè l’apoditticità della motivazione;

che il Ministro controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancanza della procura speciale di cui all’art. 365 c.p.c.;

che il controricorrente deduce in particolare che dall’esame del ricorso notificato all’Avvocatura generale dello Stato risulta che la stessa procura è semplicemente “spillata” al ricorso, è inoltre priva della certificazione del difensore dell’autografia della sottoscrizione dell’odierno ricorrente, in quanto soltanto siglata, ed è infine priva di sottoscrizione autografa del ricorrente apposta soltanto in fotocopia;

che tutte tali eccezioni sono prive di fondamento;

che – quanto alla eccepita invalidità della procura ad litem per il suo rilascio su foglio separato “spillato” al ricorso – è noto che, secondo il prevalente e consolidato orientamento di questa Corte, il requisito, posto dall’art. 83 c.p.c., comma 3, ultimo periodo, (aggiunto dalla L. 27 maggio 1997, n. 141, art. 1), della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui si tratta, con la conseguenza che, ai fini della validità della procura, non è richiesto che il rilascio di essa su foglio separato sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, nè che la procura sia redatta nelle prime righe del foglio separato, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 12332 del 2009 e 7731 del 2004);

che il prudente apprezzamento di fatti e circostanze, consente di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui si tratta;

che, infatti, la materiale congiunzione della procura al ricorso per equa riparazione de quo costituisce già un serio indice di riferimento di essa al processo in questione, indice supportato sia dalla sottoscrizione del ricorrente certificato autografa dal difensore;

che – sempre quanto alla eccepita invalidità della procura ad litem per la presenza della sola sigla del difensore a certificazione dell’autografia della sottoscrizione dell’odierno ricorrente – è altrettanto noto il principio secondo cui l’identità del segno grafico, apposto come sottoscrizione del difensore al fine di autenticare la firma del ricorrente, rispetto a quello apposto in calce al ricorso comporta una presunzione di appartenenza della sottoscrizione al difensore medesimo, dovendo escludersi che tale firma possa attribuirsi a persona non identificabile (cfr., ex plurimis e tra le ultime, la sentenza n. 13630 del 2011);

che, nella specie, la sigla del difensore è identica a quella apposta in calce al ricorso ed inoltre la procura speciale è stata rilasciata su foglio intestato a stampa all’Avv. Frisani;

che infine – quanto alla eccepita invalidità della procura ad litem, perchè priva di sottoscrizione autografa del ricorrente, apposta soltanto in fotocopia – non risulta che il controricorrente abbia espressamente disconosciuto, ai sensi dell’art. 2719 cod. civ., la conformità all’originale della fotocopia della procura notificatagli, senza contare che il disconoscimento della conformità all’originale non esclude il valore della fotocopia, ma determina l’onere per chi l’ha prodotta di dimostrarne la conformità all’originale, con la conseguenza che l’eventuale produzione in giudizio di copia fotostatica non autenticata della procura – generale o speciale, conferita per atto pubblico o scrittura privata – non determina automaticamente la nullità o l’inesistenza dell’atto introduttivo per difetto di jus postulando, ancorchè sia stata disconosciuta dall’altra parte la conformità della copia all’originale, ma impone al giudice di accertare tale conformità attraverso la produzione dell’originale (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 2590 del 2009);

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che la censura è fondata;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio deciderteli sull’esito del giudizio presupposto, senza accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di dodici anni e otto mesi circa (dal 12 aprile 1996, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 29 dicembre 2008, data del deposito del ricorso per equa riparazione);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo, che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va determinato in Euro 6.350,00 per i dodici anni e otto mesi circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo, in favore di ciascuno dei ricorrenti;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 6.350,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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