Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26281 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 17/07/2018, dep. 18/10/2018), n.26281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28972-2016 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FABIO VENTURINI;

– ricorrente –

contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO PRIORESCHI, rappresentata e

difesa dagli avvocati VINCENZO BRUNO, SILVIA TORTORELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1750/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

IL COLLEGIO:

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

La Corte d’appello di Milano con sentenza 5.5.2016 n. 1750 ha rigettato l’appello proposto da G.A. confermando la decisione impugnata che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di Amissima Ass.ni s.p.a. (già Carige Ass.ni s.p.a.) ed avente ad oggetto la condanna al pagamento della indennità della “polizza infortuni” stipulata in data 21.10.2009 in conseguenza del sinistro verificatosi in data 22.12.2009.

La Corte territoriale ha rilevato: a) che la società assicuratrice, con la comparsa di costituzione in primo grado aveva, tra l’altro eccepito la insussistenza dell’obbligo di adempimento stante la condotta dolosa tenuta dalla propria assicurata, che aveva falsamente dichiarato, al tempo della stipula della polizza, di non essere titolare di altre polizze assicurative stipulate a copertura del medesimo rischio, con conseguente applicazione degli artt. 1892,1893 e 1910 c.c.; b) che la stipula di almeno un’altra polizza infortuni con Fondiaria SAI Ass.ni s.p.a. risultava dal documento prodotto dalla società assicurativa (certificato casellario sinistri), da cui emergeva che, con riferimento allo stesso infortunio, la G. aveva presentato in pari data richiesta di indennizzo alla Fondiaria SAI per il danno alla persona da invalidità di natura permanente, percependo il relativo indennizzo che ometteva di comunicare ad Amissima Ass.ni s.p.a., elementi tutti convergenti alla dimostrazione del dolo intenzionale legittimante ai sensi dell’art. 1910 c.c., comma 2 il diniego di pagamento dell’indennizzo.

Rilevato:

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione G.A., deducendo con un unico motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1910,1892,1893 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ha resistito con controricorso Amissima Ass.ni s.p.a.

La causa è stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5) e art. 380 bis c.p.c., essendo stata formulata proposta di inammissibilità del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Ritenuto:

– che la ricorrente contesta il “travisamento” dell’art. 1910 c.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe negato il diritto all’indennizzo di polizza operando un indebito automatismo tra l’omesso avviso cui è tenuto l’assicurato e la condotta dolosa di cui al comma 2 della norma, non potendo desumersi argomenti dal Casellario infortuni prodotto in giudizio dalla società assicurativa, dal quale non emergeva il rischio assicurato, la data di stipula della polizza e la effettiva corresponsione dell’indennizzo.

Tali gli argomenti esposti a supporto della impugnazione della sentenza di appello, osserva il Collegio che sussiste una evidente discrasia rispetto al vizio di legittimità dedotto con la censura intesa a denunciare un “error in judicando” ma volta, piuttosto, a contestare la valutazione delle risultanze probatorie compiuta dal Giudice di merito, investendo quindi accertamenti in fatto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012 applicabile ratione temporis, come interpretato da questa Corte – consente di sindacare in sede di legittimità esclusivamente in relazione all’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), non accedendo alla verifica di legittimità la critica alla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione condotta alla stregua di elementi istruttori extratestuali, residuando oltre alla ipotesi omissiva indicata soltanto la verifica della esistenza del requisito essenziale di validità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), inteso nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.

Ed infatti l'”errore di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) può cadere direttamente sulla norma indicata come pertinente al caso, e dunque sulla interpretazione del significato del precetto normativo o sulla esatta individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie normativa astratta (vizio di violazione), o ancora – incontroversa la ricostruzione della fattispecie concreta in base ai fatti rappresentati in giudizio – può investire la relazione che collega il fatto e la norma, è più specificamente il recepimento del fatto nello schema della norma ritenuta applicabile, laddove non sia data coincidenza tra gli elementi fattuali e gli elementi costitutivi del diritto descritti nella fattispecie normativa astratta, oppure, sussistendo tale coincidenza, il regolamento giuridico del rapporto controverso non corrisponda agli effetti conformativi, modificativi od estintivi della situazione giuridica previsti alla norma di diritto (vizio di falsa applicazione o di sussunzione).

Tanto premesso nessuno di tali errori afferenti l’attività di giudizio viene imputato dalla ricorrente alla Corte territoriale, venendo piuttosto contestato l’accertamento in fatto compiuto in ordine all’elemento soggettivo di dolo caratterizzante la fattispecie normativa di cui all’art. 1910 c.c., comma 2, e dunque un preteso “errore di fatto” del tutto inidoneo a veicolare anche l’altra censura di violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Eventuali errori concernenti la valutazione della prova non possono, infatti, ridondare mai nella applicazione e violazione della norma che regola il riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., e la relativa censura risulta pertanto “ictu oculi” inammissibile, atteso che, come più volte ribadito da questa Corte “La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”….” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione paragr. p. 14; già in precedenza: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11949 del 02/12/1993; id. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 3642 del 24/02/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013; id. Sez. L, Sentenza n. 13960 del 19/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Per il resto il motivo di ricorso non assolve neppure i requisiti minimi per essere qualificato come vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che non vengono indicati fatti storici oggetto di prova o fatti storici comunque allegati ed oggetto di discussione, che il Giudice di appello avrebbe del tutto omesso di considerare nella ricostruzione della fattispecie concreta e che rivestono invece carattere “decisivo” in quanto idonei “ex se” a mutare in senso favorevole alla parte ricorrente la decisione della causa, essendo interamente incentrato il motivo di ricorso sulla disamina del “Casellario infortuni” prodotto dalla società assicurativa e che la Corte di merito ha posto a fondamento della prova presuntiva della condotta dolosa rilevante ai fini dell’art. 1910 c.c., comma 2, (in quanto preordinata a conseguire un indebito cumulo di indennizzi assicurativi in violazione del principio indennitario che regola anche la assicurazione infortuni: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 5119 del 10/04/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 5102 del 09/03/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 13233 del 11/06/2014; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 10602 del 04/05/2018. Per obiter vale rilevare come la violazione dell’art. 1910 c.c., comma 2, inerendo a condotta prescritta alla parte contraente in funzione della corretta valutazione del rischio da parte dell’assicuratore, e dunque in funzione della valida formazione del consenso contrattuale, prescinde del tutto dalla verificazione dell’evento cui è diretto il dolo intenzionale e cioè della effettiva liquidazione di indennità cumulate superiore al valore del danno, in violazione del principio indennitario: vedi Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 14993 del 21/07/2016, in motivazione), unitamente peraltro anche ad altri elementi indiziari (rischio assicurato: danno alla persona liquidato in misura pari al 5% di invalidità permanente; coincidenza cronologica con la data del sinistro oggetto di richiesta indennitaria; dichiarazione resa dall’assicurata, al momento della stipula della polizza infortuni, di non avere in corso altre polizze assicurative a copertura del rischio infortuni; omessa indicazione da parte della assicurata, ai sensi dell’art. 1910 c.c., comma 3, della richiesta di indennizzo presentata a Fondiaria), accertamento in fatto in ordine al quale è peraltro preclusa la deducibilità del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo deciso il Giudice di appello conformemente alle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale, e dunque trovando applicazione la disposizione limitativa dell’accesso del sindacato di tale vizio avanti la Corte di legittimità introdotta dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, ed estesa ai giudizi pendenti per i quali l’appello sia stato proposto successivamente alla data 11.9.2012 di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 di conversione del D.L. n. 83 del 2012 (come previsto dall’art. 54, comma 2 Legge di conversione), ipotesi che ricorre nel caso di specie essendo stato notificato l’atto di appello in data 19.11.2015

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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