Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2628 del 02/02/2018


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2628 Anno 2018
Presidente: DIDONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

previdenziali fatti maturare irrazionalmente, e lasciati impagati, e
all’irrazionale attribuzione ai dipendenti di somme a titolo di incentivi
all’esodo.
Per la cassazione della sentenza, depositata il 20-8-2015,
Salvatore ha proposto ricorso affidandosi a cinque motivi.
Hanno replicato con separati controricorsi la Giuliano, che ha
proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi, e la curatela
fallimentare, che ha proposto ricorso incidentale affidato a due
motivi.
Tutte le parti hanno replicato, con controricorso, ai distinti
ricorsi incidentali.
Botto non ha svolto difese.
Le parti costituite hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Nel ricorso principale Luigi Salvatori denunzia nell’ordine:
(i) col primo mezzo, la violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (artt. 115 e 115 cod. proc. civ., 2697, 2359, 2497 cod. civ.,
146, secondo comma, legge fall., 2392, 2393 e 2394 cod. civ.) e
l’omesso esame di fatti decisivi, per avere la sentenza d’appello
intravisto la presenza di un gruppo di imprese tra le società da esso
Salvatori gestite e la società fallita, senza tuttavia basare tale

Data pubblicazione: 02/02/2018

convincimento su dati oggettivi e concreti, e senza precisare quale
fosse la società capogruppo e la natura dell’attività di controllo svolta
su quella poi fallita;
(ii) col secondo mezzo, la violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 112 cod. proc. civ.) e l’omesso esame di fatti decisivi,

a esso ricorrente di una responsabilità da mala gesti° quale supposto
amministratore di fatto della società poi fallita, per aver agito non
nell’interesse di questa ma nell’interesse delle società controllanti di
cui era gestore palese; da questo punto di vista, il ricorrente sostiene
che la condanna sarebbe stata infine pronunciata per scorretto,
abusivo o illegittimo esercizio di attività di direzione unitaria pur in
mancanza di una domanda in tal senso;
(iii) col terzo mezzo, la violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 e 2740 cod. civ.) e
l’omesso esame di fatti decisivi: il ricorrente in particolare si duole
della valutazione fornita dalla corte d’appello in ordine alla valenza
gerarchica delle prove raccolte in causa, nel contrasto tra prove
tipiche e prove atipiche; ciò in quanto il convincimento della corte
medesima sarebbe stato basato sulle dichiarazioni rese da Botto al
curatore del fallimento, durante l’interrogatorio svolto nella fase
endofallimentare, a fronte dell’aperto contrasto esistente tra queste
dichiarazioni e l’esito delle prove tipiche assunte in corso di causa nel
pieno contraddittorio fra le parti;
(iv) col quarto mezzo, la violazione e falsa applicazione di norme di
diritto (art. 2392, 2393, 2394, 2395 cod. civ.) e l’omesso esame di
fatti decisivi, stante l’avvenuto rigetto dell’eccezione di prescrizione:
la corte d’appello avrebbe infatti erroneamente affermato la
decorrenza della prescrizione dalla dichiarazione di fallimento, quando
invece la perdita di bilancio, già registrata al 31-12-1999, doveva
indurre a percepire da tale momento l’oggettiva insufficienza

avendo la sentenza pronunciato ultra petita a misura dell’attribuzione

patrimoniale della società poi fallita; da questo punto di vista la corte
territoriale non avrebbe considerato che il curatore fallimentare,
esercitando l’azione ex art. 146 legge fall., subentra in essa nello
stato in cui si trova al momento della relativa introduzione;
(v) col quinto mezzo, la violazione e falsa applicazione di norme di

fatti decisivi, in ordine all’operata liquidazione del danno: sarebbe
mancata, a dire del ricorrente, qualsivoglia evidenza e dimostrazione
nel nesso di causalità tra la condotta illecita dell’amministratore di
fatto e la conseguenza dannosa direttamente procurata alle casse
sociali e ai creditori.
2. Col proprio ricorso incidentale la Giuliano a sua volta deduce
nell’ordine:
(i) la violazione e falsa applicazione delle norme riguardanti la
prescrizione (artt. 2934, 2935, 2947, 2949 cod. civ.), in quanto il
fallimento della società Anticorrosione & Bacini era stato dichiarato il
15-3-2001, e la citazione notificata il 7-3-2006; poiché lo stesso
curatore del fallimento aveva posto in rilievo che il bilancio della
società al 31-12-1999 riportava una perdita di esercizio di lire
772.476.182 e che il ricorso per dichiarazione di fallimento era stato
depositato nel febbraio 2000, se ne sarebbe dovuto inferire che i
diritti esercitati dalla curatela erano già prescritti, dovendo in
generale farsi decorrere il termine di prescrizione dalla data in cui il
patrimonio risulti insufficiente a soddisfare i creditori sociali, o
comunque dalla data in cui i creditori possono averne conoscenza
usando l’ordinaria diligenza; inoltre la ricorrente assume di aver
cessato di coprire la carica amministrativa il 10-1-2001, o al massimo
il 31-1-2001 (considerandosi il periodo di prorogatio), allorché era
stata sostituita da tale Lino Superno;

diritto (artt. 2392, 2393, 2394 e 1223 cod. civ.) e l’omesso esame di

(li) la violazione dell’art. 2394 cod. civ., stante la carenza di
legittimazione attiva della curatela del fallimento rispetto all’azione
dei creditori sociali;
(iii)

l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’assenza di

attività gestionale produttiva di danno da parte della Giuliano;
l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla concreta

quantificazione dei danni arrecati e alla loro riconducibilità a colpa,
anziché ad attività legittima e a motivata discrezionalità gestionale.
3. Infine la curatela del fallimento, coi due motivi del proprio
ulteriore ricorso incidentale, denunzia:
(i) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 12 disp.
att. cod. civ., e l’omesso esame di fatto decisivo, stante che sulla
sentenza di primo grado si era formato un giudicato interno
relativamente al rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata dal
convenuto Salvatori; donde la corte d’appello non avrebbe dovuto
esaminare nel merito la detta eccezione;
(ii) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2393, 2394,
2395 e 1226 cod. civ., 112 cod. proc. civ., e l’omesso esame di fatto
decisivo per il giudizio, in ordine alla quantificazione del danno
risarcibile, essendo stata chiesta la condanna per l’impossibilità di
esazione di una porzione dei crediti rilevati dal bilancio 1999; in
particolare la curatela sostiene che il mancato rinvenimento di parte
della contabilità (libro inventari, libri paga dei lavoratori), la confusa e
non intelligibile tenuta del libro giornale e l’incompletezza del bilancio
avevano impedito la ricostruzione della contabilità sociale e, di
conseguenza, giustificato la liquidazione del danno secondo il valore
dello sbilancio fallimentare; in ogni caso avevano vanificato la
possibilità di verificare la giuridica esistenza ed esigibilità di crediti
verso terzi – ivi compreso un credito ammontante a lire 560.485.000,
specificamente dedotto finanche in appello e ivi non considerato per

(iv)

un’erronea interpretazione dell’atto – rendendo praticamente
impossibile la connessa attività di recupero.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di Luigi Salvatori è
infondato.
4.1. I primi due motivi sono basati sulla comune premessa che

operato sul presupposto dell’esistenza di un gruppo di società, tra la
fallita e quelle di cui il Salvatori era stato amministratore.
Tale premessa è errata e i primi due motivi, congiuntamente
esaminabili per connessione, ne restano minati in apicibus.
Il presupposto al quale la corte territoriale ha associato la
pronuncia è del tutto diverso da quello sostenuto dal ricorrente, ed è
che Salvatori aveva gestito la s.r.l. Anticorrosione & Bacini quale
amministratore di fatto.
Per quanto possa convenirsi sulla presenza, nell’impugnata
sentenza, di incisi argomentativi non esattamente perspicui a
proposito dell’essere la qualità di amministratore di alcune società di
un gruppo, svolgenti attività di direzione, in generale non
incompatibile (previo riferimento a Cass. n. 2952-15) “con
l’amministrazione di fatto di altre società dello stesso gruppo, svolta
nell’interesse delle controllanti”; e per quanto si faccia fatica a
comprendere la rilevanza di simile argomentazione a fronte della
dichiarata preliminare non condivisione della valutazione del tribunale
secondo la quale Salvatori aveva sempre agito in nome e per conto
della cantieri del Mediterrano s.p.a. o della Bacini Napoletani s.p.a., in
virtù del rapporto di immedesimazione organica intercorrente con
queste ulteriori società; per quanto ciò sia, resta il fatto che la ratio
decidendi dell’impugnata sentenza – nella parte che in effetti rileva è che in capo a Salvatori era da “riconoscere la qualità di
amministratore di fatto”, stante il comprovato suo inserimento nella
gestione della s.r.l. desumibile dalle direttive impartite e dal

la corte d’appello, nel condannare al risarcimento dei danni, abbia

condizionamento delle scelte operative, con diretta e autonoma
gestione dei rapporti di lavoro e di quelli con società terze.
Si tratta di un accertamento di fatto non efficacemente
censurato, come tra un momento si dirà, nel terzo motivo di ricorso.
Da tanto consegue l’inammissibilità del primo motivo, perché

sequenza, l’infondatezza del secondo motivo, visto che la domanda di
danni è stata accolta non sul profilo della responsabilità da abusivo o
illegittimo esercizio di attività di direzione unitaria, sebbene su quello,
fin dall’inizio pacificamente dedotto dalla curatela, della responsabilità
quale amministratore di fatto in concorso con gli altri.
4.2. Il terzo motivo è inammissibile perché diretto a sindacare
la valutazione della prova.
E’

opportuno rammentare che il vigente ordinamento

processuale è improntato al principio del libero convincimento, sicché
mancando norme di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova il
giudice può porre a fondamento della decisione anche prove atipiche,
non espressamente previste dal codice di rito, purché della relativa
valutazione egli fornisca adeguata motivazione in punto di idoneità di
quelle prove a offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal
raffronto critico con le altre risultanze del processo (v. tra le
moltissime Cass. n. 13229-15; Cass. n. 17392-15; Cass. n. 159317).
Nella simultanea doglianza di omesso esame di fatti decisivi,
per asserito contrasto delle dichiarazioni di Botto con quelle di alcuni
testimoni escussi in giudizio, non risulta dal ricorrente assolto l’onere
di specificità richiesto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., giacché,
come le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito, l’omesso esame
di elementi istruttori non può integrare, in sé, il vizio di cui alla norma
appena citata qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, e ancorché la sentenza

non calibrato sull’effettiva ratio della sentenza impugnata, e, in

non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass. Sez. U
n. 8053-14).
Tale principio ancor più rileva ove, come nel caso di specie, la
critica della motivazione sia intesa a sollecitare la revisione del
giudizio di maggiore o minore rilevanza dell’una o dell’altra risultanza

rese dai soggetti esaminati, motivatamente reso dal giudice del
merito. E’ infatti assolutamente pacifico che l’esame dei documenti
esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei
documenti e delle risultanze delle prove orali, il giudizio
sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri,
come pure la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle
ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono
apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito; il quale, nel
porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (v.
tra le moltissime Cass. n. 16056-16, Cass. n. 7623-16, Cass. n.
17097-10).
4.3. Inammissibile è anche il quarto motivo, perché, come
correttamente sostenuto nel primo motivo del ricorso incidentale della
curatela, sul rigetto dell’eccezione di prescrizione a suo tempo
sollevata da Salvatori risulta essersi formato un giudicato interno
preclusivo.
Il tribunale di Napoli – il testo della cui sentenza è stato
trascritto nel citato controricorso del curatore (v. pag. 59 e seg.) aveva infatti a sua volta disatteso l’eccezione detta, e il relativo capo
della sentenza non risulta esser stato impugnato da Salvatori.
E’ dunque sufficiente richiamare il principio dominante nella
giurisprudenza di questa Corte, da ultimo recepito dalle sezioni unite,

probatoria, o il giudizio sulla diversa attendibilità delle dichiarazioni

secondo il quale, ove un’eccezione di merito sia stata respinta in
primo grado, in modo espresso o anche attraverso un’enunciazione
indiretta che ne sottenda chiaramente e inequivocamente la
valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della
sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto

incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex
art. 345, secondo comma, cod. proc. civ., giustappunto per il
giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, secondo comma,
stesso codice. Né è sufficiente il meccanismo della mera
riproposizione, che resta utilizzabile nel solo diverso caso in cui quella
eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, né diretto né
indiretto, a opera del giudice di prime cure (v. Cass. Sez. U n. 1179917).
4.4. Il quinto motivo è inammissibile e comunque
manifestamente infondato.
Si sostiene che sarebbe mancata ogni evidenza e dimostrazione
nel nesso di causalità tra la condotta illecita ascritta al ricorrente
quale amministratore di fatto e le conseguenze dannose direttamente
procurate alle casse sociali e ai creditori; ciò in quanto la
corresponsione di importi in denaro ai dipendenti della società (poi)
fallita, quali incentivi all’esodo, avrebbe dovuto essere considerata
razionale nell’ottica dell’ interesse del gruppo, per il quale Salvatori
aveva agito.
Il motivo è inammissibile perché insiste, ancora una volta, nel
profilare una correlazione della responsabilità con la gestione del
gruppo societario, mentre la corte d’appello, sebbene menzionando
tale questione, ha poi reso la decisione prescindendone.
In verità il ragionamento seguito dalla corte territoriale è, nel
punto che rileva, molto semplice: Salvatori aveva fin dal marzo 2000
iniziato a gestire autonomamente la società fallita, operando, in base

all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame

alle risultanze istruttorie, come amministratore di fatto di questa
società assieme a Botto e all’amministratore formale Giuliano; la
curatela aveva dedotto di aver subito un danno per oneri contributivi
e previdenziali irrazionalmente fatti maturare e lasciati impagati per il
periodo corrente tra il marzo e il novembre 2000, e per incentivi

l’irrazionalità della scelta gestoria, sebbene negata dal tribunale,
doveva essere riconosciuta tale, in quanto la società aveva già
interamente perduto il capitale e gli amministratori avevano omesso
di cessare l’attività provvedendo all’immediato licenziamento dei
lavoratori.
Conseguentemente il fatto generatore della responsabilità è
stato dalla corte d’appello riscontrato non nell’omesso pagamento dei
debiti contributivi e previdenziali in sé e per sé, ma nell’aver
consentito la maturazione di tali oneri per il periodo detto, atteso il
mantenimento in organico della forza lavoro “nonostante la società
versasse già in stato di decozione”.
Egualmente la scelta di pagare gli incentivi all’esodo è stata
ritenuta irrazionale in rapporto “alle vicende ed alle prospettive della
società fallita”, la quale, sempre secondo la ricostruzione della corte
d’appello, “avrebbe dovuto cessare la propria attività provvedendo
alla messa in mobilità dei dipendenti e al pagamento del corrispettivo
dovuto per il periodo di preavviso”.
Codeste lineari argomentazioni non sono incise dal rilievo – non
pertinente né decisivo – della asserita razionalità dell’operato del
Salvatori se considerato nell’ottica del gruppo al quale il medesimo
sovrintendeva quale amministratore di diritto.
Difatti egli è stato condannato in relazione alla carica
amministrativa assunta di fatto quanto alla società Anticorrosione &
Bacini, per avere continuato a gestire tale società in modo operativo

all’esodo irrazionalmente riconosciuti e corrisposti ai dipendenti;

nonostante la perdita del capitale, atteso che da ciò erano derivati i
danni sopra esposti.
5. Deve essere disatteso anche il ricorso incidentale della
Giuliano.
5.1. Col primo motivo di tale ricorso è riproposta la questione
della prescrizione del credito risarcitorio.

Il motivo è infondato e può essere esaminato unitariamente al
secondo, che in modo altrettanto infondato pone la questione della
legittimazione del curatore del fallimento all’esercizio dell’azione
spettante ai creditori sociali.
Contrariamente a quanto sostenuto in codesto secondo mezzo,
è principio oramai pacifico nella giurisprudenza della Corte che il
curatore fallimentare è legittimato all’esercizio di qualsiasi azione di
responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di società, a
qualunque titolo e tanto in sede civile quanto in sede penale (v. da
ultimo Cass. Sez. U n. 1641-17).
In ordine alla prescrizione, deve poi osservarsi che dalla
sentenza risulta che la Giuliano, per quanto cessata formalmente
dalla carica il 31-1-2001, aveva continuato a operare come
amministratore della società anche in epoca successiva, avendo
rilasciato nel febbraio 2001 procura notarile in favore di tale Michele
Dentice per la riscossione di somme dovute alla società medesima, e
avendo operato pagamenti agli ex dipendenti e inviato documenti
societari alla locale camera di commercio.
Consegue che non può sostenersi, in relazione all’accertamento
di fatto svolto dal giudice del merito, che la posizione personale della
predetta, a far data dal 31-1-2001, fosse quella di un ex
amministratore.
5.2. Ora, quanto all’azione sociale la corte d’appello ha
osservato che la prosecuzione dell’attività amministrativa da parte
della Giuliano rendeva non invocabile il formale recesso avvenuto il

(i

31-1-2001, e applicabile, invece, (come anche a Salvatori, la cui
posizione peraltro non interessa per le considerazioni svolte a
proposito del suo ricorso) la causa di sospensione di cui all’art. 2941,
n. 7, cod. civ. Per converso, quanto all’azione dei creditori sociali,
niente era stato eccepito in merito al fatto, evidenziato dal tribunale,

presentazione del ricorso per dichiarazione di fallimento, atto “non
ostensibile”, non fosse nota ai terzi.
Tale complesso di ragioni giustifica la conclusione assunta dalla
corte territoriale, secondo la quale il dies a quo della prescrizione
doveva decorrere dal momento della dichiarazione di fallimento, se
non addirittura – ha opinato la detta corte – da quello successivo della
definizione della stato passivo.
La prima affermazione, in particolare, sorregge da sé la
decisione di rigetto dell’eccezione di prescrizione, volta che niente
smentisce l’inferenza che vede cessata l’attività amministrativa della
Giuliano in coincidenza col fallimento della società (15-3-2001) e che
la causa era stata introdotta con citazione notificata appunto il 7-32006.
Va qui sottolineato che, seppure la questione risulti
notoriamente discussa, in dottrina, quanto al nuovo testo dell’art.
2394, quarto comma, cod. civ., conseguente alla riforma di diritto
societario, non è minimamente dubitabile, per i fatti come quello in
esame, soggetti al regime anteriore alla riforma del 2003, che
l’azione sociale di responsabilità, esercitata dal curatore del
fallimento, si prescriva nel termine di cinque anni, con decorrenza dal
momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile
all’esterno manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; e il
decorso di tale termine rimane sospeso, a norma dell’art. 2941, n. 7,
cod. civ., fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica (v.
Cass. n. 24715-15).

che il bilancio non fosse stato iscritto al registro delle imprese e che la

5.3. Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte
infondato.
La corte d’appello, sebbene sottolineando che la posizione della
Giuliano, dopo l’assunzione della carica amministrativa di fatto da
parte di Salvatori, fosse stata relegata in funzione marginale (alla

stessa Giuliano aveva continuato a firmare gli atti che le venivano
predisposti.
Nel citato motivo di ricorso si obietta che non vi sarebbe stata
una reale attività gestionale da parte di questa ricorrente, e che la
veste amministrativa non sarebbe stata di per sé sufficiente a porre
in capo al singolo amministratore il danno.
La tesi si infrange ben vero contro l’accertamento di fatto
inerente la mai dismessa carica amministrativa, ed è infondata
giuridicamente dal momento che, ai sensi dell’art. 2392, primo
comma, secondo periodo, cod. civ., gli amministratori sono
solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti
dall’inosservanza dei doveri a essi imposti dalla legge e dall’atto
costitutivo. Lo stesso dicasi (art. 2394 cod. civ.) quanto ai danni
cagionati ai creditori per l’inosservanza degli obblighi di
conservazione del patrimonio sociale. Sicché rimane del tutto
irrilevante, in base alla anzidetta regola di solidarietà (v. Cass. n.
16050-09), l’entità del contributo causale effettivamente fornito da
ciascuno, e in quali termini sia possibile eventualmente graduare le
rispettive colpe, salva la questione (in questa causa non dedotta)
dell’azione di regresso (v. per utili riferimenti Cass. n. 9384-11, Cass.
n. 20476-08).
5.4. Il quarto motivo è invece del tutto inammissibile.
In relazione alla concreta quantificazione dei danni e al nesso di
causalità ritenuto dalla corte d’appello, la ricorrente assume che la
sentenza sia viziata da omissioni quanto alla necessità o meno delle

stregua – si dice – di presenza “di facciata”), ha aggiunto che la

operazioni compiute e alla riferibilità concreta dei pagamenti a fatto
proprio.
Tuttavia nessun fatto storico decisivo viene dedotto come
omesso nel contesto dell’operata diversa ricostruzione dei fatti di
causa ritenuta dal giudice del merito. Donde per tale via la censura si

6. Resta da esaminare il secondo motivo del ricorso incidentale
proposto dalla curatela del fallimento, visto che il primo motivo di tale
ricorso è assorbito dalle considerazioni sopra svolte a proposito del
quarto motivo del ricorso principale.
Il citato secondo motivo è in parte fondato.
6.1. La curatela censura la sentenza sotto un duplice punto di
vista.
Innanzi tutto per non aver dato corso al principio che consente
la liquidazione del danno secondo il valore dello sbilancio fallimentare
in presenza di contabilità incompleta o inattendibile.
Per questa parte il motivo è infondato, se non inammissibile,
perché non tiene conto della situazione come accertata dal giudice del
merito.
Le sezioni unite della Corte hanno chiarito la portata del criterio
dello sbilancio patrimoniale nelle cause di responsabilità di cui all’art.
146, secondo comma, legge fall., mettendo in evidenza che la
mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se
addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno
risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla
differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede
fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale
parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le
condizioni e sempreché il ricorso a esso sia, in ragione delle
circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e l’attore abbia
allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente

risolve in un tentativo malcelato di sovvertimento del giudizio di fatto.

idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni
che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi
concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore
medesimo (Cass. Sez. U n. 9100-15).
Questa sezione ha portato ai più compiuti sviluppi il concetto,

in cui – ovviamente – tale criterio resta utilizzabile: nel senso che
pure questo rimane vincolato ai presupposti della liquidazione
equitativa, e dunque parimenti suppone un utilizzo congruente con le
circostanze del caso concreto (v. Cass. n. 9983-17).
L’accertamento delle circostanze di fatto legittimanti l’utilizzo
dei criteri equitativi è sempre riservato al giudice del merito, e nella
specie la corte d’appello ha sottolineato – esplicitamente – che la pur
disordinata tenuta della contabilità non aveva precluso al curatore di
ricostruire le vicende sociali, né aveva impedito di contestare
specifiche inadempienze e relative voci di danno.
Codesto profilo della motivazione dell’impugnata sentenza non
appare adeguatamente censurato, atteso che il vizio di motivazione nei limiti attualmente consentiti di omesso esame di fatti storici
controversi – non ha attinto l’affermazione suddetta ma l’altra, di cui
tra un momento si dirà, concernente la sorte della specifica posta
creditoria di lire 560.485.000. Il che, ragionando per inferenza in
base all’esposizione analitica dei singoli inadempimenti fatta valere
dalla curatela ricorrente, induce a ritenere che la valutazione della
corte territoriale, oltre che motivata, sia stata anche – in fin dei conti
– esatta.
6.2. La seconda censura, che la curatela ha articolato col citato
motivo di ricorso, attiene all’anzidetta posta risarcitoria determinata
in lire 560.485.000.
Si assume che erroneamente essa sia stata esclusa dal
perimetro dell’azione di risarcimento.

estendendolo anche al distinto criterio dei netti patrimoniali, nei casi

Invero la corte territoriale ha aggiunto alla già considerata
inammissibilità del criterio equitativo dello sbilancio fallimentare che
in appello non era stato più chiesto il risarcimento di tale voce di
danno.
La ricorrente obietta che, così decidendo, la corte non abbia

domanda era stata reiterata in esatta consonanza con quanto chiesto
in primo grado.
Per questa parte la doglianza, intesa a denunziare un’omissione
di pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.), è fondata.
Va dato seguito al più recente indirizzo interpretativo secondo il
quale, quando, col ricorso per cassazione, venga dedotto un error in
procedendo,

il sindacato del giudice di legittimità investe

direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso agli atti sui
quali il ricorso è basato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità
della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi,
la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. Cass. n. 1616415; Cass. n. 8069-16).
Ora l’esame degli atti – il contenuto dei quali d’altronde è
testualmente riportato nel corpo del ricorso per cassazione (pag. 82 e
seg.) – testimonia che in effetti la curatela aveva appellato la
decisione di primo grado esplicitamente chiedendone la riforma (tra
l’altro) in ordine al danno “derivante dall’impossibilità di esazione dei
crediti esistenti nel bilancio dell’esercizio 1999”, dei quali non erano
stati “rinvenuti i documenti giustificativi”.
Ne discende che la domanda, nella parte attinente al
risarcimento della suddetta posta, era stata devoluta al gravame,
diversamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello; e la ritenuta
mancanza dei presupposti della liquidazione equitativa – secondo il
succitato criterio dello sbilancio fallimentare – non ne consentiva la

correttamente interpretato l’atto di appello, nel quale invece la

pretermissione, dovendo in ogni caso quella domanda essere
esaminata nel merito, sul piano della specifica sorte.
L’impugnata sentenza va dunque cassata per omissione di
pronuncia in ordine al menzionato motivo d’appello.
7. Alla cassazione consegue il rinvio alla stessa corte d’appello

La corte d’appello provvederà inoltre sulle spese del giudizio
svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale
della Giuliano; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo
motivo del ricorso incidentale della curatela del fallimento, assorbito il
primo motivo di tale ricorso; cassa l’impugnata sentenza in relazione
al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, alla corte d’appello di Napoli.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da •
parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale Giuliano,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per i rispettivi ricorsi.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione
civile, addì 25 ottobre 2017.
Il Presidente
Il Co sigliere estElnsoret

u11′ .W)-C- 1
li Funzionario
Dott.ssa Fa brizia

iziario
RONE

di Napoli, affinché, in diversa composizione, provveda sul punto.

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