Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26279 del 25/11/2013


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Civile Ord. Sez. U Num. 26279 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: PETITTI STEFANO

ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso proposto da:
PARS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e IMMOBILIARE GARDA s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore,
entrambe rappresentate e difese, in forza di procura speciale in calce al
ricorso, dall’Avv. Cancaro Antonio ed elettivamente domiciliate presso il
suo studio, in Roma, viale Pantelleria, n. 14 (recap. Ing. V. Sgarlata);
– ricorrente contro
PROFITA BUKUMIROVICH Mimma Maria Luisa, rappresentata e difesa, in
virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Profita Armando ed elettivamente domiciliata, in Roma, v. Cosseria, n. 5, presso lo
studio dell’Avv. Laura Tricerri;
– controricorrente e
CONDOMINIO EDIFICIO DI V. MAZZINI, 57-59, DI PALERMO, in persona
dell’amministratore pro tempore;

MINE° Giuseppé; PROFITA Silvana;

SCIMENI Ignazia; PROFITA Francesco; FACCIOLÀ Liliana; AZZARONE Maria; GEKULDI Maria; MUGLIA Pietro; MIRTO Enrico; PETRONE Giovanna;
COMPARATO Calogero; PUNTURO Francesca Rosalia; ALICÒ Pietro; LA

Data pubblicazione: 25/11/2013

SCIA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore; AIELLO
Salvatore; D’ALBA Giusta e FERRERI Gaspare;

– intimati avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 622 del 2005,
depositata il 13 maggio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Raffaele Ceniccola, che ha concluso chiedendo che venga disposta la notifica dell’ordinanza di integrazione del contraddittorio alle parti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.p.a. PARS e la s.r.l. IMMOBILIARE GARDA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, proponevano – con riferimento
ad una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare condominiale (del 6 maggio 1988) del Condominio di v. Mazzini, n. 57, di Palermo – ricorso per cassazione (basato su cinque motivi)
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 622 del 2005
(depositata il 13 maggio 2005), con la quale venne ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, con conseguente ed automatica estinzione del
processo e passaggio in giudicato della sentenza impugnata, oltre alla
condanna degli appellanti al pagamento delle spese in favore della sola
appellata amministratrice del Condominio costituita in proprio.
All’udienza pubblica dell’Il maggio 2011 (fissata per la discussione
del ricorso), il collegio – nell’assenza dei difensori delle partì costituite
(ancorché ritualmente avvisati) – disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari Profita Francesco, Caiazzo
Aurelio, Bellanca Guido ed Aiello Salvatore, concedendo, in proposito, apposito termine di sessanta giorni (decorrente dalla stessa data
dell’udienza, essendo stata l’ordinanza adottata direttamente nel corso
della stessa) e rinviando la causa a nuovo ruolo, senza disporre alcuna
comunicazione alle parti costituite.
Non essendo stato adempiuto l’ordine di integrazione del contraddittorio, la causa veniva avviata alla trattazione in camera di consiglio, avendo la Procura Generale presso questa Corte richiesto la dichiarazione
di improcedibilità del ricorso.
– 2 –

febbraio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

Con memoria difensiva ritualmente depositata in prossimità della
trattazione del ricorso in camera di consiglio, il difensore delle parti ricorrenti deduceva che, non avendo ricevuto alcuna comunicazione (come sarebbe stato – a suo avviso – necessario) della suddetta ordinanza interlocutoria adottata all’udienza dell’Il maggio 2011, le sue assistite non avrebbero potuto essere penalizzate da una pronuncia di improcedibilità,
in cui non sarebbero incorse soltanto se presenti, mediante la rappresen-

difensore non fosse obbligato a presenziarvi, stante il carattere di officialità caratterizzante il giudizio di cassazione, il cui svolgimento non è condizionato alla partecipazione dei difensori all’udienza di discussione, giacché la prospettazione delle ragioni delle parti è interamente affidata agli
atti difensivi scritti.
Con ordinanza interlocutoria n. 7567 del 2012 la Seconda Sezione di
questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per la eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza sulla necessità o meno della
comunicazione alle parti assenti (e ritualmente avvisate), rappresentate
dai rispettivi difensori, delle ordinanze adottate direttamente all’udienza
pubblica e all’adunanza camerale nel giudizio di cassazione.
La trattazione del ricorso è stata quindi fissata per l’udienza del 26
febbraio 2013 dinnanzi a queste Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

La questione di massima di particolare importanza devoluta

all’esame di queste Sezioni Unite è la seguente: se delle ordinanze adottate in udienza nel giudizio di cassazione in assenza dei difensori delle
parti, ai quali l’avviso di udienza sia stato ritualmente notificato, e segnatamente dell’ordinanza con la quale venga disposta la integrazione del
contraddittorio, debba o no essere dato avviso dalla cancelleria della Corte ai difensori delle parti non presenti.
2. Nell’ordinanza interlocutoria si è evidenziato come, secondo la
giurisprudenza essenzialmente consolidata di questa Corte (Cass. 1 febbraio 1999, n. 837; Cass. 10 marzo 2004, n. 4929; Cass. 9 maggio 2007,
n. 10539 e, da ultimo, Cass. 14 marzo 2011, n. 5966), nel giudizio di
merito la mancata partecipazione di una delle parti all’udienza di discus- 3 –

tanza dello stesso difensore, alla predetta udienza, malgrado il medesimo

sione si risolve nell’inosservanza di un onere processuale le cui conseguenze gravano sulla parte stessa, sicché nel caso in cui l’udienza predetta abbia comunque avuto luogo, e sia stato in tal sede disposto un rinvio
ad altra data, nessuna comunicazione di tale rinvio va data alla parte assente (in virtù del principio di conoscenza o conoscibilità delle ordinanze
pronunciate in udienza per le parti presenti o considerate tali), senza che,

artt. 82 e 115 disp. att. cod. proc. civ. (che prevedono l’obbligo di comunicazione del decreto di rinvio dell’udienza alle parti non presenti alla
pronuncia del provvedimento), applicabile alla sola, diversa ipotesi del
rinvio disposto prima (e fuori) dell’udienza dal giudice, su istanza di parte
o d’ufficio.
Ciò in quanto, nel giudizio di merito, si applica il principio generale
(oltretutto ritenuto estensibile anche nell’ambito del procedimento esecutivo: Cass. 13 novembre 2001, n. 14045; Cass. 8 aprile 2003, n. 5510)
in virtù del quale le ordinanze (anche istruttorie) pronunciate dal giudice
in udienza e inserite nel processo verbale, ai sensi dell’art. 134 cod. proc.
civ., si reputano conosciute (per l’effetto dell’art. 176, secondo comma,
cod. proc. civ.) sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto
esserlo e, pertanto, non devono essere comunicate a queste ultime dal
cancelliere.
La Seconda Sezione ha poi rilevato che, nell’ambito del codice di rito
civile, non è prevista (neanche nelle disposizioni di attuazione)
un’apposita disciplina che regoli espressamente, con riferimento al giudizio di cassazione, la suddetta evenienza processuale, ragion per cui è stata prospettata la questione della possibile estensione a tale giudizio della
regolamentazione inerente il giudizio di merito, pur non potendosi prescindere dalle peculiarità proprie che caratterizzano il giudizio di legittimità e dalla specifica collocazione dell’art. 176 cod. proc. civ. nell’ambito del
capo II del titolo I del libro II del codice, dedicato all’istruzione della causa del procedimento dinanzi al Tribunale.
In proposito, nell’ordinanza interlocutoria si riferisce che non emerge
l’adozione di un indirizzo univoco nelle prassi applicative seguite tra le varie Sezioni (e, non di rado, anche tra diversi collegi della stessa Sezione),
pur trattandosi di una problematica per la quale appare necessario rag- 4 –

in contrario, possa, legittimamente invocarsi la disciplina dettata dagli

giungere l’obiettivo dell’uniformità degli orientamenti, anche in virtù della
necessità del rispetto dei rilevanti principi riconducibili alla garanzia
dell’effettività del diritto di difesa e di tutela del contraddittorio e del giusto processo (ex art. 111, comma secondo, Cost.), che sembrano sottesi
alla questione di cui trattasi.
La Seconda Sezione ha quindi rilevato che nell’unico precedente

fica questione (e riferita proprio all’ipotesi in cui – come nella specie – il
collegio aveva ordinato direttamente in udienza l’integrazione del contraddittorio senza che venisse data comunicazione dell’ordinanza alle parti che non vi avevano presenziato), è stato affermato il principio secondo
il quale al verbale di udienza, sia essa pubblica che camerale, deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal
cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che
egli attesta essere avvenuti in sua presenza, per cui, in difetto della prescritta querela e di una sentenza che accerti la non veridicità del verbale,
trova applicazione il principio generale di cui all’art. 176, comma secondo, cod. proc. civ., per il quale le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che avrebbero dovuto
comparirvi (mentre è pacifico che quelle emesse fuori udienza debbano anche nel giudizio di legittimità – essere comunicate alle parti costituite
(Cass., S.U., 8 aprile 2011, n. 8036, ord. interloc.).
In quest’ultimo richiamato precedente, al di là dell’indiscutibilità dei
principi afferenti l’efficacia probatoria privilegiata del verbale di udienza,
si pone riferimento alla piana applicabilità del disposto di cui al citato art.
176, secondo comma, cod. proc. civ. (ritenuto di carattere generale, ancorché in esso si ponga un inequivoco riferimento ad un obbligo di comparizione delle parti), senza, però, soffermarsi sulle caratteristiche particolari del giudizio di cassazione, il quale (non obliterandosi, altresì, il dato
della collocazione logistica della norma appena citata, che è riferita al
giudizio dinanzi al Tribunale) – come è risaputo – si connota (oltre che per
la ovvia assenza di una fase di istruzione) per il suo impulso di ufficio, si
esaurisce (di norma) in un’unica udienza e prescinde (diversamente che
nel giudizio di merito), per il suo svolgimento, dalla presenza dei difensori
delle parti (i quali, perciò, non sono obbligati a presenziare all’udienza
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massimato (Cass., sez. 2, 12 gennaio 2009, n. 440) riguardante la speci-

pubblica o all’adunanza camerale), le cui difese sono garantite dagli atti
tipici del ricorso, del controricorso (eventuale) e delle memorie, ove ci si
intenda avvalere di questa ulteriore attività difensiva (v., ad es., Cass. 11
gennaio 2002, n. 308; Cass. 28 maggio 2004, n. 10273, e Cass. 28 luglio
2006, n. 17202);
Alla stregua di queste ultime precisazioni e della connotazione peculiare del giudizio di cassazione, ispirato ad un impulso d’ufficio, la Secon-

l’applicabilità allo stesso del disposto dell’art. 176, secondo comma, cod.
proc. civ., dovendosi tener conto, oltre che della tutela dei principi precedentemente ricordati (con particolare riguardo anche a quello del giusto
processo), anche della valorizzazione del principio di leale collaborazione
tra le parti e il giudice, del grave pregiudizio che verrebbe arrecato alle
parti stesse, pur non essendo i relativi difensori obbligati a comparire
all’udienza, per il caso di mancata comunicazione delle ordinanze adottate in udienza (come nell’ipotesi, rilevante nel caso di specie, in cui intervenga proprio l’ordine di integrazione del contraddittorio, dalla cui mancata esecuzione deriva l’effetto dell’inammissibilità del ricorso ovvero della sua improcedibilità ove sia stato omesso il deposito dell’atto di integrazione previsto dall’art. 371-bis cod. proc. civ.), e della piena compatibilita
del citato art. 176, secondo comma, cod. proc. civ. con il solo giudizio di
merito, improntato ad un diverso modello processuale caratterizzato da
differenti sequenze procedimentali e da altri oneri ed obblighi incombenti
sulle parti che non sono adattabili al giudizio di legittimità.
3. Il Collegio ritiene che l’ordinanza con la quale in udienza viene disposto un adempimento (rinnovazione della notificazione del ricorso ovvero integrazione del contraddittorio) a carico di una parte, ove questa
non abbia partecipato alla udienza pur se ritualmente avvisata, debba essere comunicata alla parte stessa a cura della cancelleria e che, conseguentemente, ove detta comunicazione non sia stata disposta, non possano verificarsi le conseguenze di cui agli artt. 291, terzo comma, e 331,
secondo comma, cod. proc. civ.
3.1. La possibilità di ritenere che l’ordinanza emessa in udienza possa ritenersi conosciuta dal difensore della parte che ha ricevuto l’avviso di
fissazione dell’udienza pubblica (o dell’adunanza camerale) presuppone
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da Sezione ha ritenuto che non potesse valutarsi come sicura

che possa essere configurato a carico del difensore l’onere di essere presente alla pubblica udienza ovvero all’adunanza camerale, così come l’art.
176, secondo comma, del codice di rito prevede per i difensori nel giudizio di primo grado, con disposizione applicabile anche al giudizio di appello, ai sensi dell’art. 359 cod. proc. civ. Invero, solo ove si ritenga sussistente un simile onere di partecipazione potrebbe predicarsi la insussi-

vedimenti adottati dal Collegio che pongano a carico della parte non rappresentata adempimenti, dalla mancata osservanza dei quali possono discendere conseguenze processuali negative e irreparabili a carico della
parte stessa.
Un simile onere, tuttavia, non può ritenersi sussistente per il giudizio
di cassazione.
L’art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., a tenore del quale «le
ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che avrebbero dovuto parteciparvi», è disposizione che
presuppone un onere di partecipazione a carico delle parti, nel senso che
la mancata comparizione dei difensori determina l’applicabilità della disciplina prevista dagli artt. 171, 181 e 309 cod. proc. civ. e l’adozione dei
provvedimenti ivi indicati. L’esistenza di un siffatto onere è affermata da
Cass. n. 837 del 1999, secondo cui «la mancata partecipazione di una
delle parti all’udienza di discussione si risolve nell’inosservanza di un onere processuale le cui conseguenze gravano sulla parte stessa, sicché nel
caso in cui l’udienza predetta abbia comunque avuto luogo, e sia stato in
tal sede disposto un rinvio ad altra data, nessuna comunicazione di tale
rinvio va data alla parte assente (in virtù del principio di conoscenza o
conoscibilità delle ordinanze pronunciate in udienza per le parti presenti o
considerate tali), senza che, in contrario, possa, legittimamente invocarsi
la disciplina dettata dagli artt. 82, 115 disp. att. cod. proc. civ. (che prevedono l’obbligo di comunicazione del decreto di rinvio dell’udienza alle
parti non presenti alla pronuncia del provvedimento), applicabile alla sola, diversa ipotesi del rinvio disposto prima (e fuori) dell’udienza dal giudice, su istanza di parte o d’ufficio» (in senso conforme, con specifico riferimento al processo del lavoro, Cass. n. 7866 del 2004, secondo cui
«nel rito del lavoro nessuna norma impone al giudice di rinviare la deci-

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stenza di un dovere di comunicazione, a cura della cancelleria, dei prov-

sione della causa in assenza del difensore di una delle parti, ove tale difensore risulti aver avuto legale conoscenza della data dell’udienza e non
abbia addotto alcun legittimo impedimento, essendo, anzi, ai sensi
dell’art. 420 cod. proc. civ., vietate le udienze di mero rinvio, onde è da
ritenersi che la mancata partecipazione all’udienza di discussione si risolva nell’inosservanza di un onere processuale le cui conseguenze gravano
sulla parte stessa»).

rettamente definita “onere”, perché dalla mancata presenza non deriva la
necessità di applicare una sanzione, ma solo la perdita di facoltà o comunque il verificarsi di conseguenze sfavorevoli non afflittive.
3.2. Tale dovere, invece, non è configurabile per il giudizio di cassazione, il quale, come si è soliti affermare, è dominato dall’impulso
d’ufficio (Cass. n. 8685 del 2012; Cass. n. 21153 del 2010; Cass. n.
12581 del 2004; Cass., S.U., n. 17295 del 2003; Cass. n. 4767 del
2003); il che comporta la non applicabilità in via analogica (Cass. n.
11200 del 2003) di disposizioni, quali ad esempio quelle in materia di interrurzione, che, essendo previste per il giudizio di merito, postulano
l’applicazione del principio dispositivo e non operano in un giudizio che,
una volta iniziato con il deposito del ricorso, è destinato comunque a concludersi con una pronuncia della Corte, a prescindere dallo svolgimento di
ulteriori attività da parte del ricorrente.
Costituisce riprova del carattere officiddel giudizio di cassazione inteso quale insorgenza del dovere della Corte di pronunciarsi sul ricorso
per il fatto stesso che il ricorso è stato depositato ed a prescindere da
comportamenti ulteriori delle parti – la previsione, contenuta nell’art. 26
della legge n. 183 del 2011 (rilevante ai fini che qui interessano, ancorché abrogata dall’art. 14 del decreto-legge n. 212 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2012), che nei procedimenti civili
pendenti davanti alla Corte di cassazione, aventi ad oggetto ricorsi avverso le pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge
18 giugno 2009, n. 69, la cancelleria avvisasse le parti costituite
dell’onere di presentare istanza di trattazione del procedimento, con
l’avvertimento delle conseguenze di cui al comma 2; conseguenze consistenti in ciò che le impugnazioni si intendevano rinunciate se nessuna

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In effetti, la situazione giuridica soggettiva della parte sembra cor-

delle parti avesse dichiarato la persistenza dell’interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla ricezione dell’avviso di
cui al comma 1.
Tale disciplina, che ha costituito un tentativo di porre rimedio
all’arretrato dei procedimenti civili pendenti dinnanzi alla Corte di cassazione e alle Corti d’appello, presupponeva, infatti, l’esistenza di un obbli-

se stato depositato, a prescindere dai comportamenti successivi delle
parti, a meno che tale comportamento non consistesse nella mancata
presentazione nel termine previsto della istanza di interesse.
3.3. Nel giudizio di cassazione, dunque, la partecipazione del difensore delle parti all’udienza di discussione, della cui fissazione gli stessi
siano stati ritualmente e tempestivamente avvisati, non comporta
l’insorgenza di un onere in capo al difensore di essere presente alla detta
udienza, rientrando la partecipazione effettiva del difensore nell’ambito
della esplicazione delle attività connesse all’esercizio del diritto di difesa.
Ne consegue che, trattandosi di esercizio di facoltà, non può essere ipotizzato alcun effetto negativo per la parte che non se ne avvalga, e segnatamente quello di considerare comunque presente il difensore
all’udienza della quale ha avuto l’avviso di fissazione, con la conseguenza
della perdita del diritto alla comunicazione dei provvedimenti eventualmente adottati dal Collegio direttamente in udienza. Né dal mancato esercizio della facoltà di partecipare all’udienza di discussione può ritenersi
discenda un onere di diligenza, a carico del difensore, di attivarsi presso
la cancelleria della Corte al fine di acquisire informazioni in ordine all’esito
della udienza stessa.
Ciò, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la rilevanza della
funzione del difensore anche nel giudizio di cassazione, nel senso che la
riconduzione della partecipazione all’udienza di discussione nell’ambito
delle facoltà delle quali il difensore può scegliere di avvalersi, non comporta affatto la connotazione della detta attività in termini di non significatività o di mera complementarietà rispetto agli scritti difensivi già depositati (ricorso, controricorso ed eventuale memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.). Invero, la scelta del difensore di partecipare o no all’udienza
di discussione può dipendere da molteplici fattori, peraltro tutti accomu- 9 –

go, per la Corte di cassazione, di pronunciarsi una volta che il ricorso fos-

nati dalla valutazione dello stesso difensore in ordine alla necessità di una
integrazione, nei limiti consentiti, delle difese già svolte ovvero della replica alle difese avversarie.
Quel che rileva, dunque, è solo che il difensore sia stato avvisato ritualmente e tempestivamente dello svolgimento dell’udienza di discussione e che sia, quindi, stato posto in condizione di parteciparvi e di effet-

tà di esercizio del diritto di difesa nella fase considerata. Dalla sua mancata comparizione all’udienza di discussione non potrà, allora, farsi discendere alcuna conseguenza processuale negativa per la posizione della
parte rappresentata. E non vi è dubbio che la mancata comunicazione, da
parte della cancelleria, dell’ordinanza che ponga a carico della parte non
comparsa l’obbligo di effettuare taluni adempimenti, il cui mancato assolvimento può comportare la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, si
configuri esattamente come una conseguenza negativa, che risulterebbe
priva di giustificazione non essendo predicabile l’onere del difensore di
partecipare all’udienza di discussione; e ciò tanto più nel caso in cui il difensore abbia già svolto adempimenti difensivi in vista dell’udienza, quali
il deposito dei documenti di cui all’art. 372 cod. proc. civ. o della memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
4. La soluzione qui non condivisa non potrebbe neanche fondarsi
sulla qualificazione della disposizione di cui all’art. 176, secondo comma,
come un principio generale dell’ordinamento processuale.
Una tale qualificazione, invero, non appare praticabile sulla base del
semplice rilievo che l’applicazione della detta disposizione al procedimento esecutivo è veicolata dal disposto dell’art. 487, secondo comma, cod.
proc. civ., a norma del quale, appunto, «per le ordinanza del giudice
dell’esecuzione si osservano le disposizioni degli articoli 176 e seguenti in
quanto applicabili e quella dell’articolo 186».
In effetti, desta perplessità attribuire carattere di principio generale
ad una norma che, in realtà, è espressamente richiamata, e su tale assunto ritenerla applicabile ad un giudizio, quello di legittimità, regolato da
una disciplina particolare, in ragione della peculiarità della sua struttura,
al quale, oltretutto, non possono applicarsi analogicamente le norme
processuali previste esclusivamente per i giudizi di merito. In ogni caso,

tuare tutte le valutazioni di sua competenza in ordine alle migliori modali-

pur rinvenendosi pronunce di questa Corte che definiscono la disposizione
di cui all’art. 176, secondo comma, cod. proc., civ., principio di carattere
generale (v., da ultimo, Cass. n. 18184 del 2010), non può non rilevarsi
come la detta affermazione non valga ad escludere la rilevanza
dell’esplicito rinvio contenuto nell’art. 487, secondo comma, cod. proc.
civ.

non costituisce un precedente significativo in senso contrario l’ordinanza
n. 440 del 2009, secondo cui «al verbale di udienza, sia essa pubblica o
camerale, deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti,
sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza, per cui, in
difetto della descritta querela e di una sentenza che accerti la non veridicità del verbale, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 176,
secondo comma, cod. proc. civ., per il quale le ordinanze pronunciate in
udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi»; in detta fattispecie, infatti, il difensore della parte onerata dell’adempimento era presente, secondo le risultanze del verbale
d’udienza, sicché non potrebbe predicarsi altro che la conoscenza effettiva del contenuto dell’ordinanza risultante dal verbale.
5. Da ultimo, non può non considerarsi la sproporzione esistente tra
l’ipotetico mancato assolvimento di un onere in capo al difensore (ma, si
è detto, la partecipazione all’udienza di discussione nel giudizio di legittimità costituisce, per il difensore, esercizio di una facoltà difensiva) e le
conseguenze che da quella inottemperanza possono discendere a carico
della parte.
La conseguenza del mancato adempimento all’ordine impartito
all’udienza di discussione alla quale il difensore della parte onerata non
sia comparso pur se ritualmente e tempestivamente avvisato, di rinnovazione della notificazione del ricorso o di integrazione del contraddittorio conseguenza assai probabile, se non certa, in caso di mancata conoscenza della ordinanza che ha impartito quell’ordine – invero, consiste nella
inammissibilità del ricorso (Cass., S.U., n. 10463 del 2003; Cass. n.
10863 del 2010); consiste, cioè, in una sanzione irrimediabile e irreversibile applicata in mancanza di una disposizione che positivamente impon-

Certamente, e con più specifico riferimento al giudizio di legittimità,

ga l’onere di partecipazione del difensore alle udienze della Corte di cassazione e sul presupposto di una asserita conoscibilità della stessa affermata facendo applicazione al giudizio di legittimità di una disposizione relativa al giudizio di merito e, per via del richiamo contenuto nel citato art.
487, secondo comma, cod. proc. civ., al processo di esecuzione.
Costituisce, del resto, principio condiviso dal Collegio, quello per cui

le deve essere preferita quella maggiormente aderente al dettato costituzionale; e il principio del giusto processo, come introdotto dal novellato
art. 111, primo comma, Cost., impone di discostarsi da interpretazioni
suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte ovvero ispirate ad un
formalismo funzionale non già alla tutela dell’interesse della controparte
ma piuttosto a frustrare lo scopo stesso del processo, che è quello di consentire che si pervenga ad una decisione di merito (Cass. n. 3362 del
2009).
6. In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto:
«l’ordinanza con la quale la Corte di cassazione disponga, in udienza
pubblica o in sede di adunanza camerale, la rinnovazione della notificazione del ricorso o l’integrazione del contraddittorio, quando sia emessa
in assenza delle parti costituite, rappresentate dai rispettivi difensori, deve essere comunicata a cura della cancelleria».
7. Per effetto dell’ora affermato principio, poiché, nel caso di specie,
la integrazione del contraddittorio è stata disposta dal Collegio con ordinanza adottata in udienza in assenza delle parti costituite, del mancato
adempimento al detto onere non può tenersi conto; ne consegue che,
ferma la necessità della integrazione del contraddittorio già disposta dal
Collegio della Seconda Sezione con ordinanza emessa all’udienza pubblica
dell’Il maggio 2011, deve assegnarsi alle parti un nuovo termine di sessanta giorni per effettuare la integrazione del contraddittorio, decorrente
dalla comunicazione della presente ordinanza, disponendosi altresì la prosecuzione del giudizio dinnanzi alla Seconda Sezione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, assegna per l’integrazione
del contraddittorio disposta con ordinanza emessa all’udienza in data 11

dinnanzi a due possibili interpretazioni alternative della norma processua-

maggio 2011, il termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza; rinvia la causa a nuovo ruolo dinnanzi alla II Sezione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Ci-

vili della Corte suprema di cassazione, il 26 febbraio 2013.

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