Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26277 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 20/12/2016, (ud. 16/06/2016, dep.20/12/2016),  n. 26277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ATEMPO s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Scipioni n. 267, presso

l’avv. Luca Savini Zangrandi, che la rappresenta e difende

unitamente all’avv. Eugenio Durando, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 22/30/10, depositata il 22 aprile 2010.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

giugno 2016 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;

uditi l’avv. Luca Savini Zangrandi per la ricorrente e l’avvocato

dello Stato Massimo Bachetti per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Atempo s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata confermata la legittimità del diniego del diritto al rimborso dell’IRPEG e dell’IRAP versate per l’anno 2003.

Il giudice d’appello ha ritenuto, in sintesi, che il rimborso non fosse dovuto in quanto richiesto dopo l’avvenuto perfezionamento di un procedimento di accertamento con adesione con il versamento delle somme dovute; ha aggiunto che il fatto che ciò era stato dedotto dall’Ufficio soltanto in appello non costituiva violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (anche in applicazione del principio di collaborazione e buona fede di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, che sarebbe stato violato dalla contribuente nell’aver taciuto la detta circostanza nell’istanza di rimborso).

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, insistendo nella tesi secondo cui l’Ufficio non avrebbe potuto, per la prima volta in secondo grado, proporre un’eccezione nuova, basata su un fatto non dedotto nel giudizio di primo grado (cioè l’avvenuta definizione dell’accertamento con adesione), nel quale aveva eccepito solo la tardività dell’istanza di rimborso.

Il motivo è infondato.

In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono non eccezioni in senso stretto, bensì mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno (da ult., Cass. n. 15026 del 2014).

Nella fattispecie, l’Agenzia delle entrate, nel far valere l’avvenuto perfezionamento della procedura di accertamento con adesione ha contestato, in radice, l’esistenza del fatto costitutivo del diritto al rimborso, cioè l’insorgenza stessa del credito: avverso l’accertamento definito per adesione è, infatti, preclusa ogni forma d’impugnazione (D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 3 e art. 3, comma 4) e devono conseguentemente ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso, le quali costituirebbero una surrettizia forma d’impugnazione dell’accertamento in questione, che, invece, in conformità alla ratio dell’istituto, deve ritenersi intangibile (Cass. nn. 18962 del 2005, 20732 del 2010, 29587 del 2011).

2. Il rigetto del primo motivo rende superfluo l’esame del secondo, attinente alla rilevanza del principio di collaborazione e buona fede, richiamato dal giudice.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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