Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26277 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIONE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.C., C.G., C.E., C.

R., C.M., in qualità di eredi di C.

N., domiciliati per legge in Roma, alla piazza Cavour, presso la

Cancelleria centrale della Corte di cassazione, unitamente all’avv.

ALFONSO LUIGI MARRA, dal quale sono rappresentati e difesi in virtù

di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.l., domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 22

marzo 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

novembre 2011 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 22 marzo 2010, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da A.C., C.G., C.E., C.R. e C.M., in qualità di eredi di C.N., nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dal dante causa degl’istanti nei confronti del Comune di S. Giorgio a Cremano per il risarcimento del danno derivante dal mancato godimento del riposo compensativo dovuto per il servizio di reperibilità prestato nei giorni di riposo settimanali o nei giorni festivi infrasettimanali.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato con ricorso depositato il 23 settembre 2000, era ancora pendente alla data del decesso del C., verificatosi il 5 luglio 2006, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo alla non particolare complessità della controversia, e, sulla base dei parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale subito dal ricorrente in complessivi Euro 1.750,00, pari ad Euro 600,00 per ogni anno di ritardo, in considerazione del carattere collettivo del ricorso e della mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

2. – Avverso il predetto decreto gl’istanti propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i tre motivi d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards Europei, senza fornire un’adeguata motivazione, ed ha ridotto l’indennizzo in misura superiore a quella consentita dalla valutazione della modestia della posta in gioco e dell’inerzia della parte.

2. – Le censure, che vanno esaminate congiuntamente in quanto attinenti alla comune tematica della liquidazione dell’indennizzo, sono fondate.

Questa Corte ha affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in rela-zione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri non appaiono puntualmente rispettati nel decreto impugnato, con cui la Corte d’Appello ha riconosciuto ai ricorrenti, in relazione all’accertato ritardo di due anni e dieci mesi nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo complessivo di Euro 1.750,00, pari ad Euro 600,00 per anno; la riduzione in tal modo operata rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU non trova peraltro adeguata giustificazione nel rilevato carattere collettivo del ricorso, nè nell’accertata inerzia dell’istante, astenutosi da iniziative volte a sollecitare la definizione del giudizio.

2.1. – E’ pur vero, infatti, che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo amministrativo, e con riferimento alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato la proponibilità della relativa domanda all’avvenuta proposizione dell’istanza di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, la giurisprudenza di legittimità, pur escludendo che la decorrenza del predetto termine possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancata presentazione dell’istanza di prelievo, dal momento che nessuna disposizione ne prevedeva l’obbligo, ha ritenuto che l’inerzia della parte possa incidere sulla liquidazione dell’indennizzo, nella misura in cui appaia sintomatica di uno scarso interesse alla decisione della controversia, tale da giustificare un ridimensionamento del patema d’animo connesso alla perdurante incertezza in ordine all’esito del giudizio (cfr. Cass., Sez. 1, 20 gennaio 2011, n. 1359; 18 giugno 2010, n. 14753; 16 novembre 2006. n. 24438). La valutazione di tale comportamento, pur consentendo al giudice di merito di discostarsi in senso peggiorativo dai parametri elaborati dalla Corte EDU, non legittima tuttavia il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2011, n. 12173).

Tanto meno la predetta riduzione può trovare giustificazione nella circostanza che il ricorso al giudice amministrativo sia stato avanzato da una pluralità di attori, in quanto la proposizione della domanda in forma collettiva e indifferenziata può comportare un ridimensionamento del danno patrimoniale, in ragione della più limitata incidenza delle spese processuali, ma non vale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (cfr. Cass., Sez. 1, 29 marzo 2011, n. 7148; 20 novembre 2008, n. 27610).

3. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, in relazione al motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento in favore dei ricorrenti di un indennizzo che, avuto riguardo all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto ed ai parametri elaborati dalla Corte EDU, può essere quantificato complessivamente in Euro 2.125,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

4. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di A.C., C. G., C.E., C.R. e C.M., in qualità di eredi di C.N., della somma di Euro 2.125,00, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 861.00, ivi compresi Euro 450,00 per onorario, Euro 311,00 per diritti di avvocato ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 545,00, ivi compresi Euro 495.00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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