Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26272 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIONE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.L., domiciliata per legge in Roma, alla piazza Cavour,

presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, unitamente

all’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 24

febbraio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal

Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 24 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da S.L. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per l’annullamento di una delibera della Giunta municipale con cui le erano stati negati i benefici economici connessi all’inquadramento in ruolo.

Premesso che il giudizio, iniziato con ricorso del 3 luglio 1997, era stato definito con sentenza del 5 aprile 2007, la Corte ne ha determinato in tre anni la durata ragionevole, avuto riguardo alla natura della controversia, e, tenuto conto della mancata adozione da parte della S. di iniziative volte a sollecitare la decisione, nonchè del carattere seriale del giudizio e dell’infondatezza della pretesa azionata, ha liquidato in Euro 4.100,00 il danno non patrimoniale subito dall’istante.

2. – Avverso il predetto decreto l’istante propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, illustrati anche con memoria.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi due motivi d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione dell’indennizzo, la Corte d’Appello si è discostata dai parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, conferendo rilievo all’inattività di essa ricorrente ed al carattere seriale del giudizio, senza considerare che l’istanza di prelievo non costituisce un atto dovuto e che la serialità della controversia non incide sul patema d’animo causato dalla pendenza del giudizio.

2. – Con il terzo ed il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ha conferito rilievo all’infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto, senza che fosse stata fornita la prova che ella ne era consapevole.

3. – Con il quinto, il sesto ed il settimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, sostenendo che, nella liquidazione dell’indennizzo, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards Europei, senza fornire un’adeguata motivazione e riducendo l’indennizzo in misura superiore a quella consentita dalla valutazione della modestia della posta in gioco e dell’inerzia della parte.

4. – Le censure, che vanno esaminate congiuntamente in quanto attinenti alla comune tematica della liquidazione dell’indennizzo, sono fondate.

Questa Corte ha affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che. ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri non appaiono puntualmente rispettati nel decreto impugnato, con cui la Corte d’Appello ha riconosciuto alla ricorrente, in relazione all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo complessivo di Euro 4.100,00, pari ad Euro 600,00 per anno, in tal modo operando una consistente riduzione rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU, che non trova adeguata giustificazione nelle ragioni addotte a fondamento della decisione. La portata del patema d’animo sofferto in conseguenza del protrarsi della vicenda processuale è stata infatti ridimensionata dalla Corte territoriale alla luce dell’infondatezza della pretesa azionata e dello scarso interesse dell’istante alla decisione della controversia, desunto dalla mancata adozione di iniziative volte a sollecitare la decisione e dal limitato impegno economico sostenuto per effetto della serialità del giudizio. Poste a confronto con la rilevanza del ritardo, tali circostanze non appaiono tuttavia sufficienti a rendere ragione dell’avvenuto riconoscimento di un indennizzo notevolmente inferiore rispetto agl’importi unitari ritenuti congrui dalla Corte di Strasburgo.

4.1. – E’ pur vero, infatti, che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’esito sfavorevole del giudizio presupposto, pur non impedendo di ravvisare una lesione del diritto alla definizione della controversia in un termine ragionevole, e non escludendo pertanto il riconoscimento dell’equa riparazione in favore della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata del processo, può incidere riduttivamente sulla misura dell’indennizzo, ove la domanda sia stata proposta in un contesto tale da far apparire la pretesa azionata, se non temeraria, quanto meno fortemente aleatoria (cfr, Cass., Sez. 1, 30 agosto 2010, n. 18875; 13 novembre 2009, n. 24107). Analogamente, si è ritenuto, in riferimento alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133. che non escluda il diritto all’indennizzo, ma possa assumere rilievo esclusivamente ai fini della sua liquidazione, l’inerzia della parte, che, astenendosi dall’adottare iniziative volte a sollecitare la definizione del giudizio, abbia manifestato con il proprio comportamento uno scarso interesse alla risoluzione della controversia (cfr. Cass., Sez. 1, 10 ottobre 2008, n. 24901; 16 novembre 2006, n. 24438). La considerazione di tali circostanze, pur consentendo al giudice di merito di discostarsi in senso peggiorativo dai parametri elaborati dalla Corte EDU, non legittima tuttavia il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001. di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2011, n. 12173).

Tanto meno la predetta riduzione può trovare giustificazione nella circostanza che il ricorso al giudice amministrativo sia stato avanzato da una pluralità di attori, in quanto la proposizione della domanda in forma collettiva e indifferenziata può comportare un ridimensionamento del danno patrimoniale, in ragione della più limitata incidenza delle spese processuali, ma non vale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (cfr. Cass., Sez. 1, 29 marzo 2011, n. 7148; 20 novembre 2008, n. 27610), 5. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, in relazione al motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento in favore della ricorrente di un indennizzo che, avuto riguardo all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto ed ai parametri elaborati dalla Corte EDU, può essere quantificato complessivamente in Euro 6.080,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

6. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di S.L. della somma di Euro 6.080,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.200,00, ivi compresi Euro 500,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti di avvocato ed Euro 100.00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 950,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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