Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26270 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIONE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., domiciliato per legge in Roma, alla piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA Alfonso Luigi, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.l., domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 5

gennaio 2010. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 7 novembre 2011 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 5 gennaio 2010, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da C.G. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dall’istante nei confronti del Direttore generale dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli (OMISSIS), in qualità di commissario liquidatore dell’Unità Sanitaria Locale n. 42 della Regione Campania, al fine di ottenere l’annullamento di una delibera con cui era stato disposto il recupero di somme precedentemente erogate a titolo di trattamento economico.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1997, era ancora pendente, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo all’ordinaria complessità della controversia, non coinvolgente questioni di rilievo tale da imporre uno sforzo straordinario di efficienza dell’apparato giudiziario, ed ha pertanto escluso l’intervenuta prescrizione del diritto all’indennizzo, osservando che la relativa domanda, proposta con ricorso depositato il 30 gennaio 2009, aveva interrotto la prescrizione per l’intera durata irragionevole del processo; rilevato inoltre che nel giudizio presupposto l’istante non aveva insistito nell’istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento impugnato, mentre l’Amministrazione, oltre a non essersi costituita, non aveva provveduto a darvi esecuzione, con la conseguente prescrizione della pretesa restitutoria contestata, la Corte ha ritenuto che l’interesse del C. alla definizione della controversia fosse venuto meno a partire dalla data di maturazione della prescrizione (30 giugno 2007), e, tenuto anche conto della minima entità delle somme in contestazione e della condotta tenuta dall’Amministrazione, ha liquidato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 3.500,00, pari ad Euro 500,00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto l’istante propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, artt. 2 e 4 e degli artt. 6, par. 1, e 35 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, sostenendo che al procedimento per equa riparazione non è applicabile l’istituto della prescrizione, ma solo quello della decadenza, espressamente previsto dall’art. 4 cit., ai sensi del quale la domanda dev’essere proposta entro sei mesi dal momento in cui la decisione è divenuta definitiva.

1.1. – Il motivo è inammissibile, per difetto d’interesse, non essendo configurabile una soccombenza del ricorrente in ordine at capo del decreto impugnato nel quale è stata esaminata l’eccezione di prescrizione del diritto all’indennizzo.

Tale eccezione è stata infatti espressamente disattesa dalla Corte d’Appello, la quale ha ritenuto applicabile l’ordinario termine decennale di prescrizione, ricollegandone la decorrenza alla data in cui si era prodotta la lesione del diritto del ricorrente alla ragionevole durata del processo, per effetto della scadenza del relativo termine, con il conseguente riconoscimento della tempestività della domanda di equa riparazione, proposta entro il decennio dall’insorgenza del diritto all’indennizzo. La prescrizione accertata nel decreto impugnato si riferisce invece alla pretesa restitutoria che ha costituito oggetto del giudizio presupposto, la cui estinzione, non contestata in questa sede, è stata presa in considerazione dalla Corte d’Appello quale sintomo dell’avvenuta cessazione dell’interesse del ricorrente alla definizione della controversia, ai fini del ridimensionamento del patema d’animo conseguente al protrarsi della vicenda processuale, e quindi della liquidazione del danno non patrimoniale.

2. – Sono poi infondati il secondo, il terzo ed il quarto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della CEDU, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che la Corte d’Appello si è discostata dagli standards Europei, riconoscendo l’indennizzo per il solo periodo di tempo eccedente la durata ragionevole del processo, senza fornire un’adeguata motivazione.

2.1. – Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass., Sez. 1, 23 novembre 2010, n. 23654; 14 febbraio 2008, n. 3716).

3. – E’ invece fondato il quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, e dell’art. 6, par. 1, della CEDU, osservando che la Corte d’Appello ha liquidato il danno non patrimoniale in misura notevolmente inferiore agli standards Europei, in virtù della mera esiguità del valore della controversia e dell’inerzia di esso ricorrente, omettendo di tener conto delle sue condizioni economiche e dell’avvenuta presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione.

3.1. – Questa Corte ha affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri non appaiono puntualmente rispettati nel decreto impugnato, con cui la Corte d’Appello ha riconosciuto al ricorrente, in relazione all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo complessivo di Euro 3.500,00, pari ad Euro 500,00 per anno, in tal modo operando una consistente riduzione rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU, che non trova adeguata giustificazione nell’affermata modestia del patema d’animo subito dal ricorrente. La portata di tale sofferenza è stata infatti ridimensionata dalla Corte territoriale alla luce del limitato interesse dell’istante alla decisione della controversia, desunto (non già dalla mancata adozione di iniziative volte a sollecitare la definizione del giudizio, come sostiene il ricorrente, bensì) dalla minima entità delle somme in contestazione e dalla mancata insistenza nell’istanza di sospensione dell’esecutorietà del provvedimento impugnato, nonchè dall’intervenuta prescrizione della pretesa restitutoria, alla quale l’Amministrazione non ha mai dato esecuzione. Poste a confronto con la rilevanza del ritardo, tali circostanze non appaiono tuttavia sufficienti a rendere ragione dell’avvenuto riconoscimento di un indennizzo inferiore di oltre un terzo rispetto agl’importi unitari ritenuti congrui dalla Corte di Strasburgo.

E’ vero, infatti, che nella liquidazione del danno non patrimoniale causato dalla lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole occorre tener conto anche della natura e dell’entità pretesa patrimoniale fatta valere nel giudizio presupposto (cd. “posta in gioco”), la cui comparazione con la situazione socioeconomica dell’istante consente di valutare l’interesse di quest’ultimo alla decisione, ai fini dell’accertamento dell’impatto del ritardo sulla sua psiche (cfr. Cass., Sez. 1, 24 luglio 2009, n. 17404; 2 novembre 2007, n. 23048): così come occorre convenire che tale impatto può risultare alquanto attenuato dall’esito prevedibilmente favorevole della vicenda processuale, ancorchè ricollegabile allo stesso protrarsi del giudizio, purchè esso non dipenda da comportamenti dilatori dell’interessato o da sue strategie processuali sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa (cfr. Cass., Sez. 1, 18 novembre 2010, n. 23339; 2 agosto 2006, n. 17552). La considerazione di tali circostanze, pur consentendo al giudice di merito di discostarsi dai parametri elaborati dalla Corte EDU, in senso sia migliorativo che peggiorativo, non legittima tuttavia il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2011, n. 12173).

4. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, in relazione al motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento in favore del ricorrente di un indennizzo che, avuto riguardo all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto ed ai parametri elaborati dalla Corte EDU, può essere quantificato complessivamente in Euro 6.250,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

5. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e. decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di C.G. della somma di Euro 6.250,00, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.200,00, ivi compresi Euro 500,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 950,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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