Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26268 del 16/10/2019
Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26268
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17311-2018 proposto da:
C.A.F., rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO
BARBAGIANNI, RICCARDO MINELLI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il
13/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
Fatto
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello di Perugia, con decreto n. 445/2018 del 13 febbraio 2018, in accoglimento dell’opposizione proposta da C.A.F. contro il decreto n. 680/2017 reso dal consigliere delegato della medesima Corte d’Appello, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 2.640,00, a titolo di indennizzo per l’equa riparazione docuta alla irragionevole durata, determinata in sei anni, di un giudizio civile svoltosi davanti al Tribunale di Perugia, avendo il decreto opposto erroneamente liquidato il minor importo di Euro 1.200,00. La Corte d’Appello ha peraltro compensato le spese processuali tra le parti “dal momento che il Ministero non ha fatto alcuna contestazione rimettendosi alle determinazioni dell’Autorità giudiziaria”.
C.A.F. ha proposto ricorso in tre motivi: 1) nullità del decreto per omessa pronuncia sulla domande inerente alle spese della fase monitoria; 2) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c., degli artt. 3 e 24 Cost., della L. n. 89 del 2001, art. 2, e del CEDU, art. 6, quanto alle pronunce inerenti alla soccombenza nel giudizio “di primo grado”; 3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, art. 92 c.p.c., comma 2,
degli artt. 3 e 24 Cost., della L. n. 89 del 2001, art. 2, e del CEDU, art. 6, quanto alla pronuncia di compensazione delle spese processuali.
Ha depositato semplice atto di costituzione, senza svolgere attività difensive, il Ministero della Giustizia.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato nel suo terzo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
E’ fondato il terzo motivo di ricorso, rimanendo assorbiti i restanti motivi.
La Corte di Perugia ha basato la pronuncia di compensazione integrale delle spese processuali sulla considerazione del comportamento difensivo del Ministero della Giustizia, che si è limitato a rimettersi alle determinazioni dell’Autorità giudiziaria. A norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2, formulazione qui operante ratione temporis, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, se vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ed ancora, a seguito della sentenza 19 aprile 2018, n. 77 della Corte costituzionale, “qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.
Il descritto comportamento processuale del Ministero della Giustizia non appare sintomo di “gravi ed eccezionali ragioni”, riguardanti specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, tali da giustificare altrimenti la compensazione delle spese. Deve piuttosto ribadirsi che la condanna della parte soccombente alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., non ha natura sanzionatoria. Essa non avviene, cioè, a titolo di risarcimento dei danni (atteso che il comportamento del soccombente non è assolutamente illecito, in quanto è esercizio di un diritto), ma è conseguenza obiettiva della soccombenza. Ai relativi fini non rilevano, perciò, i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioè quelli che non implicano l’esclusione del dissenso nè importano l’adesione all’avversa richiesta, quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda dell’attore. Sta di fatto, in definitiva, che è ritenuto soccombente, ai fini della condanna al rimborso delle spese processuali, il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, sì da rendere superfluo il ricorso all’autorità giudiziaria (così Cass. Sez. 3, 28/03/2001, n. 4485; Cass. Sez. 1, 10/12/1988, n. 6722).
L’accoglimento del terzo motivo di ricorso comporta l’assorbimento delle prime due censure, relative a quelle che il ricorrente definisce “spese del primo grado”: invero, l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo; sennonchè, ove detta opposizione sia proposta dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, abbia carattere pretensivo, le spese di giudizio, in caso di suo accoglimento, come avvenuto nella specie, devono essere liquidate in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 22/12/2016, n. 26851).
Il ricorso deve essere perciò accolto, limitatamente al terzo motivo, e il decreto impugnato cassato, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, la quale, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della domanda, uniformandosi al richiamato principio e regolando altresì le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i primi due motivi, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019