Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26268 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIONE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.R.N., domiciliato per legge in Roma, alla piazza Cavour,

presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, unitamente

all’avv. MARRA Alfonso Luigi, dal quale è rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.t., domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 18

novembre 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

novembre 2011 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 18 novembre 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da D.R. N. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Acerra per il riconoscimento di differenze retributive.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1997, era ancora in corso alla data del 9 luglio 2009, e rilevato che l’indennizzo per il ritardo verificatosi fino al 4 agosto 2006 era stato già liquidato in un precedente procedimento, la Corte ha determinato l’ulteriore ritardo in due anni ed undici mesi, e, tenuto conto del comportamento dell’istante, che non aveva avanzato alcuna istanza sollecitatoria, nonostante la durata decennale del giudizio, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 1.166,00, pari ad Euro 400,00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto l’istante propone ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi quattro motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa l’errata applicazione dell’art. 2 della L. 24 marzo 2001, n. 89 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’insufficienza e l’incongruità della motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards Europei, omettendo di fornire un’adeguata motivazione e riducendo l’indennizzo in misura eccessiva in relazione all’inerzia di esso istante.

1.1. – Le censure sono infondate.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criterì applicati dalla Corte EDU. dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri nella specie possono ritenersi sostanzialmente rispettati, in quanto, sul presupposto dell’avvenuta riparazione del pregiudizio derivante dal ritardo verificatosi fino al 4 agosto 2006, la Corte d’Appello ha liquidato, in relazione all’ulteriore ritardo di due anni ed undici mesi nella definizione del giudizio presupposto, un importo complessivo di Euro 1.166,00, pari ad Euro 400,00 per ogni anno di ritardo; la consistente riduzione in tal modo operata rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU non risulta tuttavia ingiustificata, avendone la Corte spiegato le ragioni mediante la sottolineatura del comportamento tenuto dall’istante, il quale, nonostante la durata ultradecennale del giudizio, non aveva adottato alcuna iniziativa volta a sollecitare la decisione.

La motivazione in esame, esauriente pur nella sua stringatezza, appare perfettamente in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis) vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato all’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo la proponibilità della domanda di riparazione del danno derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata di un processo amministrativo. E’ stato infatti chiarito che la mancata proposizione della predetta istanza, pur non comportando il trasferimento a carico del ricorrente della responsabilità per il superamento del termine in questione, può incidere sulla valutazione del pregiudizio lamentato, ove il comportamento della parte appaia sintomatico di uno scarso interesse alla sollecita definizione del giudizio (cfr. Cass., Sez. 1, 16 novembre 2006, n. 24438; Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005. n. 28507).

Il ricorrente non contesta tali principi, ma lamenta l’insufficienza e l’incongruità della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno, nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 2. – Sono invece fondati il quinto ed il sesto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè l’omessa o insufficiente circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha dichiarato interamente compensate tra le parti le spese processuali senza addurre giustificati motivi, ma limitandosi a fare riferimento alla grave sproporzione tra l’importo richiesto e quello accordato ed al comportamento di esso ricorrente.

2.1. – Premesso che, nel provvedere al regolamento delle spese, la Corte territoriale non ha fatto alcun cenno all’accoglimento soltanto parziale della domanda, ma si è limitata a menzionare il comportamento processuale dell’istante, astenendosi da ulteriori precisazioni, si osserva che tale richiamo risulta inidoneo, nella sua genericità, a consentire l’individuazione delle ragioni giustificatrici della compensazione, anche se messo in relazione con le motivazioni poste a fondamento della decisione di merito.

E’ pur vero, infatti, che nel giudizio in esame, instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, si applica l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, nel richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3, 30 marzo 2010, n. 7766; Cass., Sez. lav., 31 luglio 2009, n. 17868).

Nella specie, tuttavia, tale operazione ricostruttiva non consente di pervenire ad alcun risultato apprezzabile, non potendosi evincere dalla motivazione del decreto impugnato quale sia lo specifico comportamento del ricorrente al quale la Corte d’Appello ha inteso fare riferimento per giustificare la propria scelta di discostarsi dall’ordinario criterio della soccombenza.

3. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, nei limiti segnati dai motivi accolti, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del Ministero al pagamento delle spese del giudizio di merito, che si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

4. – L’accoglimento soltanto parziale dell’impugnazione giustifica poi la dichiarazione di parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico del Ministero, principale soccombente, e si liquidano per l’intero come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa il decreto impugnato, in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 830,00, ivi compresi Euro 450,00 per onorario, Euro 280,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario; dichiara compensato tra le parti un terzo delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in complessivi Euro 500,00, ivi compresi Euro 450,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento del residuo, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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