Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26267 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. II, 18/10/2018, (ud. 10/04/2018, dep. 18/10/2018), n.26267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11590-2014 proposto da:

F.R., FE.PA., F.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G TUCCIMEI 1, presso lo studio

dell’avvocato CARMEN TRIMARCHI, rappresentati e difesi dagli

avvocati Felici D’Amico e Alfredo Galasso;

– ricorrenti –

contro

G.M., R.S., RA.SI., R.R.,

R.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE MAZZINI 6,

presso lo studio dell’avvocato PIERPAOLO MAGI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GUIDO BARBARO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 661/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 04/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2018 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. Troncone

Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto di tutti

i motivi di ricorso;

udito l’Avvocato Alfredo Galasso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.M., R.S., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sulle figlie L. e Ra.Si., nonchè R.V. e R.A. convenivano in giudizio davanti al Tribunale civile di Messina, Fe.Pa. e F.G.. Gli attori deducevano di essere proprietari di uno stabile a più piani sito in (OMISSIS), e lamentavano che i convenuti avevano realizzato una sopraelevazione con delle vedute, anche con sporto, che sovrastavano un terrazzo a livello di proprietà dell’attrice G. riducendone la luce e l’aria. Inoltre, lamentavano che i convenuti avevano creato, a danno dello stabile degli attori, un’altra abusiva servitù diretta e obliqua che esercitavano attraverso una veduta dal lato del cortile interno e che avevano appoggiato la nuova costruzione alla parete degli attori. Ciò premesso concludevano chiedendo la riduzione in pristino delle opere relative alle due servitù di veduta e il pagamento del corrispettivo per l’appoggio e l’utilizzazione del muro, oltre ai danni causati da un’infiltrazione di umidità.

2. I coniugi Fe.Pa. e F.G. si costituivano in giudizio e in via riconvenzionale chiedevano l’eliminazione di alcune vedute illegittime sia dirette che oblique prospicienti l’immobile di loro proprietà.

3. Il Tribunale di Messina, con sentenza del 24 giugno 2005, accoglieva in parte la domanda degli attori, dichiarava l’illegittimità del balcone – largo mt. 1,25 e lungo mt. 5,60 – posto a distanza di metri 1,35 dal fronte sud del fabbricato degli attori e condannava i convenuti a chiudere la porta e le due finestre e all’astenersi dall’aprire luci. Inoltre, condannava i convenuti a pagare la somma di euro 16.811 quale quota di loro spettanza per la comunione del muro sul quale avevano appoggiato la nuova costruzione oltre a Euro 6.197 per i danni derivanti da infiltrazioni di umidità.

Tutte le restanti domande, comprese quelle proposte in via riconvenzionale, venivano rigettate.

4. Avverso la suddetta sentenza proponevano appello F.G. e Fe.Pa..

Gli appellanti deducevano che il balcone non poteva costituire un aggravio rispetto alla precedente servitù di veduta già esercitata sul cortile chiuso, che costituiva uno spazio di isolamento tra le palazzine dell’Unione edilizia in conformità all’originario titolo.

Il cortile sul quale prospettava il balcone era di proprietà comune e, in ogni caso, a prescindere dalla proprietà del cortile doveva considerarsi legittimo l’aggetto ai sensi dell’art. 117 c.c.

Inoltre gli appellanti lamentavano il rigetto della loro domanda riconvenzionale, avente ad oggetto l’illegittimità della veduta realizzata sulla (OMISSIS) e, quanto all’indennità di sopralzo, deducevano l’errata applicazione dell’art. 844 c.c. in quanto si trattava di un muro perimetrale e, quindi, comune.

5. Si costituivano gli appellati proponendo a loro volta appello incidentale con il quale reclamavano il maggiore importo a titolo di indennità di sopralzo di Euro 19.232.

6. La Corte di Appello di Messina accoglieva parzialmente entrambi gli appelli. Quanto all’appello principale confermava la condanna alla demolizione del balcone prospiciente il cortile interno di esclusiva proprietà degli appellati, ma affermava la facoltà degli stessi appellanti principali di mantenere le aperture esistenti sul relativo prospetto. Quanto all’appello incidentale, condannava gli appellati incidentali all’eliminazione della veduta obliqua esercitata dal lato corto del balcone posto sul fronte est, prospiciente la locale (OMISSIS) e condannava gli appellati principali all’eliminazione della veduta laterale esercitata dalla finestra sul medesimo prospetto est. Confermava per il resto la sentenza impugnata ma con il riconoscimento in favore degli appellanti incidentali degli interessi sull’importo fissato a titolo di indennità di sopralzo.

7. Fe.Pa. e A. e F.R.A. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di 4 motivi.

8. G.M., R., V.A. e Ra.Si. hanno resistito con controricorso.

9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado art. 360 c.p.c., n. 5”.

I ricorrenti lamentano la mancanza di legittimazione di G.M. a proporre l’azione per la riduzione in pristino del balcone, in quanto non proprietaria del terrazzo a livello sul quale sporge il balcone realizzato dai signori F. Fe..

Secondo i ricorrenti, non esiste nessun cortile di proprietà esclusiva come affermato dalla sentenza impugnata i ma solo uno spazio di isolamento che nel tempo si è ridotto ad un banale corridoio tra edifici frontistanti, attraverso la chiusura delle rientranze preesistenti. Dunque, non vi sarebbe alcun terrazzo a livello di proprietà della signora Ra. e la sentenza andrebbe cassata sul punto.

1.2 Il motivo è inammissibile.

La modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), nè è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma attribuendo rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – non permette che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva neanche come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. 13928/2015).

Nella specie la Corte d’Appello con congrua e condivisibile motivazione, richiamando anche le risultanze della consulenza tecnica, ha ritenuto che l’affaccio delle due servitù avveniva su bene di proprietà esclusiva di G.M., in quanto dal suo titolo di provenienza del 1972 la stessa risultava proprietaria della terrazza al livello prospettante a ponente sulla traversa di isolamento e, nel contempo, l’originario atto del 1919 individuava, come bene in comune, unicamente lo spazio di isolamento dal quale si accede alle diverse scale dell’isolato.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “Violazione o falsa applicazione della norma di legge regolatrice della materia in tema di indennità di sopraelevazione (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Secondo i ricorrenti, nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione il testo unico di cui al R.D. n. 1165 del 1938in quanto l’isolato (OMISSIS) era stato realizzato tra il 1918 e il 1919 nel Comune di Messina dopo i tragici eventi del terremoto che aveva raso al suolo il capoluogo nel 1908. Il fabbricato era stato costruito dall’Unione edilizia nazionale secondo il modello dell’edilizia economica e Popolare. Dunque, doveva farsi applicazione del testo unico sopra citato in tema di indennità di sopraelevazione. In tal senso, il ricorrente, richiamata la sentenza di questa Corte n. 2267 del 1980, afferma che i giudici del merito sarebbero stati tratti in errore dall’attestazione secondo la quale lo IACP non era gestore delle abitazioni nell’isolato (OMISSIS), mentre successivamente, su richiesta della Difesa, il medesimo IACP aveva precisato che l’isolato non era mai stato di proprietà e neppure in gestione allo IACP.

Inoltre, dall’atto di proprietà della dante causa della resistente G.M. emergeva che già dal 1919 il predetto appartamento non era più di proprietà dell’Unione Edilizia Nazionale.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado – Violazione o falsa applicazione di norma di legge ultra petita ex art. 112 c.p.c.”.

Il motivo si riferisce alla ritenuta acquiescenza da parte dei ricorrenti alla richiesta di indennità di sopraelevazione, essendosi limitati a contestare con l’appello unicamente il quantum.

I ricorrenti riportano le conclusioni dell’atto di appello nelle quali si faceva riferimento alla richiesta di ridurre a misura di legge e di giustizia l’indennità di sopraelevazione dando atto della prontezza degli appellanti di corrispondere l’importo ad oggi di Euro 10.000.

Secondo i ricorrenti la richiesta di riduzione a misura di legge o di giustizia dell’indennità comprendeva anche la richiesta di declaratoria che essa non competeva affatto e su questo punto la Corte d’Appello di Messina non si era pronunciata, non rispettando i termini di cui all’art. 112 c.p.c.

3.1 Per motivi di priorità logica deve esaminarsi preliminarmente il terzo motivo che è manifestamente infondato.

In primo luogo la parte del motivo relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c. è infondata in quanto non vi è stata alcuna omessa pronuncia.

Nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata.

La Corte d’Appello ha motivato le ragioni per le quali ha ritenuto passata in giudicato la questione sulla spettanza dell’indennità di sopraelevazione, evidenziando che gli allora appellanti si erano limitati a contestare esclusivamente il criterio di determinazione della stessa. Dunque, poichè l’interpretazione dell’atto di appello spetta al giudice del merito, ove questi abbia espressamente ritenuto che un certo motivo non era stato avanzato e, pertanto, sul punto si sia formato il giudicato, tale statuizione non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi o meno ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato l’erroneità di quella medesima motivazione (Sez. L, Sentenza n. 2630 del 05/02/2014).

Inoltre in base alle conclusioni riportate dallo stesso ricorrente appare del tutto corretta l’interpretazione dell’atto processuale operata dalla Corte d’Appello. A questo proposito giova richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui: “In tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., la cui portata è generale indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione”.

3.2 Il secondo motivo è assorbito dal rigetto del terzo.

In ogni caso lo stesso è inammissibile oltre che infondato.

I ricorrenti non indicano la norma violata, limitandosi ad un generico richiamo al R.D. n. 1665 del 1938 che consta di più di 300 articoli e non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello sul punto controverso.

La Corte d’Appello, infatti, nella sentenza impugnata ha precisato che la sopraelevazione era stata realizzata tra il 1976 e il 1977 e non corrispondeva al vero che gli appartamenti fossero popolari in quanto si trattava di abitazioni di tipo civile A/2 che ai sensi del R.D. n. 1165 del 1938, art. 252, lett. b) e art. 271 dovevano qualificarsi come case per impiegati costruite dall’Unione edilizia Messinese, peraltro in zona centrale e non semiperiferica.

Pertanto il giudice del gravame, al contrario di quanto dedotto con il motivo di ricorso, ha fatto applicazione del R.D. n. 1165 del 1938, evidenziando che ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 252, lett. b) e art. 271, gli alloggi in oggetto erano costituiti da case di civile abitazione per gli impiegati espressamente esclusi dalla disciplina relativa agli alloggi di edilizia economica e popolare.

Rispetto a tale decisione i ricorrenti non offrono alcun motivo di doglianza.

3.3 Inoltre deve ribadirsi che, come specificato nella sentenza, la sopraelevazione era stata realizzata nel 1977 e secondo la giurisprudenza di questa Corte “agli edifici costruiti con il contributo dello stato nelle zone colpite da terremoto, l’applicabilità della speciale disciplina del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, artt. 216 e 217 concernente l’esclusione di indennizzo ai proprietari dei piani sottostanti per il caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell’ultimo piano su terrazza di copertura, in virtù dell’espressa previsione dell’art. 201 citato R.D., è sottoposta a limiti temporali e cessa di essere operante allorchè tutti gli alloggi di un determinato edificio siano stati riscattati o ammortizzati, con la conseguenza che, successivamente, detta sopraelevazione resta regolata dalla disciplina del codice civile (art. 1127), che prevede un’indennità quale corrispettivo non solo dell’occupazione della colonna d’aria ma anche del maggiore uso del suolo e degli altri elementi comuni. (V 1227/82, mass n 419100; (V 2267/80, mass n 405938; (V 3062/69, mass n 342984; (V 1994/64, mass n 302864).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza di secondo grado con riferimento all’appoggio della sopraelevazione al muro esterno della proprietà di G.M..

A parere dei ricorrenti in relazione al nuovo corpo di fabbrica sul muro non doveva applicarsi l’art. 884 c.c. quanto, invece, l’art. 1117 c.c., relativo alla comunione tra le parti e i restanti condomini, sicchè nulla era dovuto per l’appoggio della nuova fabbrica. Sul punto la motivazione del giudice d’appello sarebbe del tutto carente.

4.1 Anche questo motivo è inammissibile per le medesime ragioni esposte con riferimento al primo motivo.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie, non ricorre alcuna delle suddette ipotesi residuali di vizio della motivazione e, dunque, il motivo è inammissibile.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3000 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 10 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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