Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26264 del 16/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 16/10/2019), n.26264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18355-2018 proposto da:

R.U., T.M., G.U., GRT SRLS, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio

dell’avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROMANO GENTILE;

– ricorrenti –

contro

GA.SA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLA

GRANDE MURAGLIA 261, presso lo studio dell’avvocato SIMONA

BENVENUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELE ARGIRO’,

CARLO PETITTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 692/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 17/4/2018, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da Ga.Sa. nei confronti della GRT s.r.l. e dei relativi soci ( G.U., T.M. e R.U.), ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione commerciale intercorso tra le parti, per inadempimento dei conduttori convenuti, oltre alla condanna degli stessi al risarcimento del danno;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse correttamente accertato l’inadempimento dei conduttori, consistito nel mutamento della destinazione d’uso dell’immobile agli stessi concesso in godimento (da attività di ristorazione, in locale notturno con intrattenimento musicale), nonchè nella mancata costituzione, da parte degli stessi conduttori, della promessa polizza fideiussoria a garanzia degli impegni assunti con il contratto di locazione;

che, avverso la sentenza d’appello, la GRT s.r.l.s., T.M., G.U. e R.U., propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che Ga.Sa. resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice d’appello erroneamente interpretato le fonti di prova acquisite nel corso del giudizio (come, ad esempio, in relazione all’ordinanza sindacale in tema di emissioni sonore), pervenendo alla rappresentazione di un quadro dei fatti del tutto infedele rispetto alla realtà, con la conseguente erronea applicazione delle norme in tema di risoluzione contrattuale;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di violazione di legge solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

che, peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

che, nella specie, i ricorrenti, sulla base di una scorretta lettura della giurisprudenza di legittimità richiamata, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si sono limitati a denunciare un (preteso) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;

che, infatti, varrà evidenziare come, attraverso le censure critiche articolate con il presente motivo d’impugnazione, i ricorrenti si siano inammissibilmente spinti a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione;

che deve qui ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);

che, nella specie, la Corte d’appello di Catanzaro ha espressamente evidenziato come dall’esame degli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio fosse emerso con inequivocità l’effettivo inadempimento dei conduttori agli obblighi assunti con il contratto di locazione dedotto in giudizio, enumerando le diverse fonti di prova (non limitate al mero esame dell’ordinanza sindacale dedotta in ricorso) nel loro complesso idonee ad attestare la circostanza dell’effettivo mutamento di destinazione d’uso dell’immobile locato, oltre alla circostanza della mancata prestazione della garanzia fideiussoria originariamente promessa in favore del locatore, in tal modo frustando significativamente la realizzazione degli interessi del locatore contrattualmente definiti, e dunque la causa negoziale delineata in sede di stipulazione;

che si tratta di considerazioni che il giudice d’appello ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1455 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente qualificato di non scarsa importanza gli inadempimenti contestati a carico dei conduttori, ai fini della pronuncia della risoluzione contrattuale, dettando sul punto una motivazione assolutamente apodittica e inidonea a fornire un’adeguata giustificazione del percorso logico-giuridico individuato a fondamento della decisione assunta;

che la censura è inammissibile;

che, sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza dei ricorrenti deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5, cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, conseguentemente, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso (ai cui contenuti la memoria successivamente depositata non ha fornito alcun apporto argomentativo di carattere decisivo), cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

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