Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26261 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 18/10/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 18/10/2018), n.26261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21610/2017 proposto da:

VITTORIA SOCIETA’ IMMOBILIARE SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresenta e difesa

dall’avvocato DAVID MARIA ALEMANNO;

– ricorrente –

contro

V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VINCENZO LICCI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 3/7/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 4/7/2018 dal Consigliere Dott. ALDO CARRATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ordinanza depositata il 3 luglio 2017 il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, decidendo sul ricorso, ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., depositato il 21 giugno 2016 dall’Avv. V.M. nei confronti della Vittoria Società Immobiliare s.r.l., con il quale veniva chiesta la determinazione del compenso dovuto dall’anzidetta società in favore di esso ricorrente per l’attività professionale espletata in suo favore nell’ambito di un procedimento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (conclusosi con sentenza n. 2047 del 2015, dichiarativa dell’intervenuta cessazione della materia del contendere per effetto dell’annullamento dell’impugnata cartella in sede di autotutela), condannava la resistente, per il titolo dedotto in giudizio, a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 2.555,00, oltre accessori ed interessi legali dalla domanda al saldo, nonchè alla rifusione delle spese giudiziali.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, riferito ad un unico motivo, la Vittoria Società Immobiliare s.r.l., al quale ha resistito con controricorso l’intimato V.M..

Con il formulato motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione dell’art. 1176 c.c., comma 1, artt. 1218,1460 e 2236 c.c., anche in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1, avuto riguardo alla dedotta illegittimità del riconoscimento del compenso liquidato in favore dell’Avv. V.M. sul presupposto che il Tribunale di Lecce non aveva tenuto conto della tardività dell’impugnazione dell’avviso di accertamento che avrebbe comportato l’esito negativo della controversia se non fosse intervenuto l’annullamento della cartella in sede di autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate, al fine della delibazione del fatto impeditivo all’accoglimento della domanda di riconoscimento dei compensi professionali richiesti dal suddetto avvocato.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo proposto con il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile (o, in subordine, manifestamente infondato), con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) o 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Rileva il collegio che l’unico motivo dedotto con il ricorso -convertibile, sussistendone le condizioni di legge, in ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 (che costituisce l’unico rimedio impugnatorio ammissibile avverso l’ordinanza emessa ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, in virtù della sua prevista inimpugnabilià con l’appello, ai sensi dell’ultimo comma della stessa norma) – deve essere respinto, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

In primo luogo deve rilevarsi l’infondatezza della censura riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non risultando omesso l’esame del fatto decisivo per il giudizio prospettato dalla ricorrente con riferimento alla supposta tardività del ricorso proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, avendo quest’ultima, invece, attestato che il ricorso era stato tempestivamente presentato, come riportato nell’ordinanza qui impugnata dal Tribunale di Lecce (v. pag. 2, alla fine, e pag. 3, all’inizio).

Per il resto la doglianza prospettata dalla ricorrente afferisce ad insindacabili valutazioni di merito del Tribunale leccese in ordine all’accertamento della natura, entità e qualità della prestazione professionale (suddivisa compiutamente per fasi) comunque espletata dal controricorrente (ed adeguatamente riscontrata in dipendenza della documentazione prodotta) nel procedimento tributario sfociato, oltretutto, in una definizione immediata con sentenza dichiarativa dell’intervenuta cessazione della materia del contendere, epilogo questo che non avrebbe potuto certamente determinare il venir meno del presupposto per il riconoscimento del compenso dovuto in favore del legale per effetto dell’attività professionale comunque svolta.

Occorre, inoltre, aggiungere (cfr. Cass. n. 27000/2016, ord., e Cass. n. 23940/2017) che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento dei compensi della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Non sussistono i presupposti per far luogo alla pronuncia risarcitoria sollecitata genericamente dal controricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. Ricorrono, invece, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte di Cassazione, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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