Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26260 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12439/2019 proposto da:

M.Z., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Cristina Perozzi, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositato in data 19

marzo 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto depositato in data 19 marzo 2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da M.Z., cittadino del (OMISSIS) proveniente dal (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

il Tribunale, fra l’altro:

i) riteneva che le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di essere espatriato dopo essere stato ingiustamente accusato dell’incendio dell’officina meccanica in cui lavorava e della distruzione di una vettura custodita al suo interno) non fossero credibili;

ii) osservava che i fatti riferiti dal ricorrente, in assenza di atti persecutori diretti e personali che assumessero le precipue caratteristiche previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 non erano riconducibili alle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951;

iii) rilevava, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) che non emergevano “elementi da cui desumere la sussistenza di una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente perchè quest’ultimo riferisce di episodi privi di credibilità” (pag. 6);

iv) aggiungeva che la sola presenza di civili nell’area da cui proveniva il richiedente asilo non costituiva un pericolo per la vita, in ragione delle informazioni disponibili sul quel territorio;

v) constatava infine l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a – d, e di condizioni individuali di elevata vulnerabilità, anche causate dallo sradicamento dal contesto socio-economico nazionale, poichè nel paese di origine non erano segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani e il ricorrente non aveva dato prova di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia M.Z. al fine di far valere tre motivi di impugnazione;

il Ministero dell’Interno si è costituito senza il rispetto dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 nonchè il difetto di motivazione, a motivo della mancata traduzione, pur in presenza di un obbligo di legge, della decisione della commissione territoriale e del decreto del Tribunale, che erano così risultati incomprensibili al richiedente asilo; nel contempo la doglianza assume la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e del principio convenzionale internazionale del non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto a un processo giusto ed effettivo;

3.2 il motivo è inammissibile, rispetto a ciascuno dei profili di critica dedotti;

3.2.1 il decreto impugnato non fa cenno alcuno alla questione relativa alla mancata traduzione della decisione assunta dalla commissione territoriale;

il silenzio serbato su questa questione imponeva al ricorrente di allegare la deduzione della stessa avanti al giudice di merito e di indicare, in ossequio al principio di specificità del motivo, dove tale deduzione fosse avvenuta; ciò in applicazione del costante orientamento di questa Corte secondo cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella decisione impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella precedente fase nè rilevabili di ufficio (Cass. 2038/2019, Cass. 15430/2018, Cass. 27568/2017);

il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito;

3.2.2 in presenza di una rituale impugnazione il ricorrente non indica quale pregiudizio abbia subito dalla mancata traduzione del decreto del Tribunale (traduzione, peraltro, non prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, che non stabilisce alcun obbligo in tal senso al fine di rendere comprensibile il decreto del Tribunale al richiedente asilo);

3.2.3 il decreto impugnato ha espressamente escluso la sussistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dall’art. 19 T.U.I. ed ostative all’espulsione;

la critica in ordine a questa constatazione è del tutto generica, dato che non individua alcuna circostanza che legittimasse invece una diversa statuizione, e mira nella sostanza a una rivisitazione del giudizio espresso dal giudice di merito;

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, nonchè il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; in particolare il ricorrente ha inteso denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancanza o l’insufficienza della motivazione, in ragione della natura meramente apparente o tautologica degli argomenti offerti nel provvedimento impugnato;

in tesi di parte ricorrente il Tribunale non avrebbe preso minimamente in considerazione la vicenda personale del migrante, offrendo così una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero e facendo un’erronea applicazione delle norme in materia;

nel contempo il giudice di merito non avrebbe tenuto conto delle condizioni esistenti nella regione del (OMISSIS), dove, stando alle fonti internazionali, pur essendo diminuita la violenza armata le condizioni di sicurezza risultavano comunque assolutamente precarie;

siffatta situazione imponeva quindi il riconoscimento della protezione sussidiaria, come già avevano riconosciuto vari giudici di merito;

4.2 il motivo è inammissibile;

esso infatti, pur in presenza di una motivazione che argomenta compiutamente le ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria, prospetta l’assenza di una reale motivazione o assume che la stessa abbia carattere meramente apparente, intendendo così nella sostanza sollecitare una valutazione di opposto segno del narrato del migrante e della situazione esistente nel (OMISSIS) nel senso più favorevole già indicato da alcuni giudici di merito;

in questo modo tuttavia la censura non si correla con il contenuto del decreto impugnato, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di credibilità della narrazione del richiedente asilo e sull’analisi della condizione del (OMISSIS) sulla base delle fonti internazionali reperite, e manca del carattere di riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere nel contempo il mezzo, in presenza di un accertamento rientrante nel giudizio di fatto istituzionalmente demandato al giudice di merito, si riduce a deduzioni meramente astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda, malgrado la stessa non sia rinnovabile in questa sede;

5.1 il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 353 e 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per la concessione del permesso umanitario, a dispetto dello stato di emergenza esistente nella zona di provenienza del migrante e del positivo percorso integrativo da questi compiuto;

5.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale ha accertato, in fatto, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi ancora una volta in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

6. in conclusione, in virtù delle ragioni sopra illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile;

la costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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