Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26260 del 06/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 06/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 06/12/2011), n.26260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 24563/2010 proposto da:

L.A. (OMISSIS) in proprio e nella qualità di

esercente la potestà genitoriale sul figlio minore L.P.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio

dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato

DILENGITE GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VICO EQUENSE (OMISSIS) in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA 88, presso lo

studio dell’avvocato VINTI STEFANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato DIACO CORRADO, giusta determina n. 174 del 21.10.2010 e

giusta mandato in calce al ricorso notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 260/2009 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNCIATA –

Sezione Distaccata di SORRENTO del 20.7.09, depositata il 10/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Corrado Diaco che si riporta

agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO

GIOVANNI RUSSO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.

“1.1 fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata. Con citazione notificata il 16 settembre 2003 L.A. convenne innanzi al Giudice di Pace di Sorrento il Comune di Vico Equense, chiedendo il risarcimento dei pregiudizi subiti da un ciclomotore di sua proprietà. Espose che il giorno 3 giugno 2002 suo figlio P., alla guida del predetto mezzo, era finito in un fosso presente sulla sede stradale, di talchè il veicolo era rimasto danneggiato.

Alla prima udienza il medesimo L.A. spiegò intervento nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore P., rimasto infortunato nell’incidente e, in tale veste, chiese la condanna del convenuto al risarcimento delle lesioni dallo stesso riportate. Resistette l’Ente convenuto.

2. Con sentenza n. 407 del 2004 il giudice adito accolse la domanda, per l’effetto condannando il Comune al pagamento di Euro 180,00 in favore di L.A. in proprio, e di Euro 2.582,28, in favore del medesimo, nella qualità.

Proposto dal soccombente gravame. Il Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Sorrento, in data 10 settembre 2009, lo ha accolto, conseguentemente annullando la sentenza del Giudice di Pace.

3. L.A. ha proposto ricorso per cassazione formulando due motivi. Il Comune di Vico Equense ha resistito con controricorso.

4. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per esservi accolto.

Queste le ragioni.

5 Nella parte dedicata allo svolgimento del processo, il Tribunale ha dato atto che non risultava trasmesso dalla cancelleria del Giudice di Pace di Sorrento il fascicolo d’ufficio di primo grado e che, dopo vari rinvii disposti in vista della sua acquisizione, ne era stata ordinata la ricostruzione.

Nel motivare il suo convincimento ha poi rilevato che, nella contumacia dell’appellato, il fascicolo era stato ricostruito mediante l’acquisizione della sola sentenza del Giudice di Pace. Di modo che, non risultando la prova certa e inequivoca della legittimazione passiva del Comune di Vico Rquense, della legittimazione attiva dell’attore, del fatto storico e del nesso di causalità, specificamente negato dall’appellante, la sentenza di prime cure andava annullata.

6 Il ricorrente lamenta, col primo motivo di ricorso nullità della sentenza per vizi motivazionali su un punto decisivo della controversia. Sostiene che il giudice d’appello, ordinata la ricostruzione del fascicolo d’ufficio, non poteva, a fronte dell’inerzia dell’appellante, unica parte costituita in giudizio, accogliere l’impugnazione, ma doveva rigettare il gravame, sanzionando siffatta condotta processuale, in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

Col secondo mezzo denuncia poi violazione dell’art. 2697 c.c.. Deduce che, rigettando la domanda, in accoglimento del gravame proposto dal Comune di Vico Equense, il Tribunale aveva fatto malgoverno della disciplina relativa alla ripartizione dell’onere della prova nel giudizio di appello.

7 I motivi, strettamente connessi, sono fondati.

Ponendo a carico dell’appellato, peraltro contumace, gli effetti della mancata ricostruzione del fascicolo d’ufficio e della indisponibilità della documentazione prodotta dall’attore in prime cure, il Tribunale ha violato il principio di diritto per cui è l’appellante che deve fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure proposte, atteso che l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa, ma una revisio fondata sulla denunzia di specifici vizi di ingiustizia o di nullità della sentenza impugnata. Conseguentemente, quale che sia stata la posizione assunta dall’impugnante nella precedente fase processuale, è onere dello stesso produrre.

o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado i documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi delle facoltà concessegli dall’art. 76 disp. att. c.p.c., al fine di farsi rilasciare per tempo dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, in modo che tali documenti possano poi essere sottoposti all’esame del giudice di appello. Ne deriva che l’appellante subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’appellato, rimasto contumace, quando questo contenga documenti a lui favorevoli – come, nella fattispecie, la pretesa autocertificazione prodotta da L. A. al fine di dimostrare di rapporto di genitorialità con L.P. – documenti che l’impugnante non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare (confr. Cass. civ. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28498; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18205; Cass. civ. 15 marzo 2011, n. 6018).

8 A ciò aggiungasi che, in mancanza di reperimento del fascicolo di ufficio del primo grado, il giudice d’appello deve si concedere un termine per la sua ricostruzione, e che l’omissione di un tale provvedimento può tradursi in un vizio della sentenza denunciabile in sede di legittimità per violazione del diritto di difesa e difetto di motivazione (confr. Cass. civ. 29 settembre 2005, n. 19142; Cass. civ. 6 agosto 1983, n. 5277), ma le conseguenze della mancata ricostruzione giammai possono essere poste a carico dell’appellato contumace, in mancanza, oltretutto di una norma che imponga la notifica di siffatto provvedimento.

In tale contesto il ricorso appare meritevole di accoglimento”.

Ritiene il collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, conforme a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte Regolatrice, relazione le cui conclusioni non sono in alcun modo infirmate dalle deduzioni svolte nella memoria del resistente Comune.

La sentenza impugnata deve conseguentemente essere cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, decidendo nel merito, ex art. 384 c.p.c., rigetta l’appello.

Segue la condanna del Comune resistente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, mentre non sono ripetibili quelle del grado di appello, atteso che il L. non si costituì in giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello. Condanna il resistente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.000 (di cui Euro 1.800 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2011

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