Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2626 del 01/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/02/2017, (ud. 09/11/2016, dep.01/02/2017),  n. 2626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13903-2014 proposto da:

A.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA POMPEO MAGNO 7, presso lo studio dell’avvocato CARLA CORDESCHI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA PETTINI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’Avvocato CLAVELLI ROSSANA DELL’AREA LEGALE TERRITORIALE

CENTRO DI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa dagli avvocati

DAVIDE ESPOSITO, CLAVELLI ROSSANA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1516/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 03/12/2013 R.G.N. 692/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2016 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito l’Avvocato CORDESCHI CARLA per delega Avvocato PETTINI ANDREA;

udito l’Avvocato DI ISSO PASQUALE per delega verbale Avvocato

CLAVELLI ROSSANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza di primo grado con cui era stata accolta la domanda proposta da A.A. nei confronti della società Poste Italiane intesa a conseguire declaratoria di illegittimità del disposto trasferimento dall’area PO/Organizzazione della Sede Toscana al CUAS, ed il risarcimento del danno risentito per effetto dell’avvenuto demansionamento.

Detta pronuncia veniva riformata da questa Corte che, con sentenza 3/4/2009 n. 8169, richiamava il principio di diritto in base al quale la contrattazione collettiva, muovendosi nell’ambito, e nel rispetto, della prescrizione posta dell’art. 2103 c.c., comma 1, è autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra le mansioni per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal citato art. 2103 c.c., comma 2.

La Corte osservava che il giudice dell’impugnazione, esaminando la questione del demansionamento, non aveva tenuto conto della riconducibilità delle mansioni precedenti e successive ascritte alla contro ricorrente, a quelle dell’area di inquadramento (Area operativa) e non aveva accertato se la soppressione del posto cui in precedenza era stata adibita, fosse stata o meno sintomatica di una oggettiva esigenza organizzativa aziendale, così violando il principio enunziato.

Con sentenza resa pubblica il 3/12/2013 la Corte d’Appello di Bologna quale giudice del rinvio, rigettava le domande attrici sul rilievo che le mansioni ascritte alla lavoratrice all’esito del trasferimento, afferivano alla stessa area operativa di appartenenza e rientravano nella stessa professionalità di impiegata amministrativa addetta ad attività tecniche ed amministrative dalla stessa posseduta.

La cassazione di tale decisione è domandata dalla lavoratrice sulla base di quattro motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la società Poste Italiane.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve darsi atto che il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016.

1.1 Con il primo motivo si deduce violazione del C.C.N.L. Poste del 26 novembre 1994, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si critica la sentenza impugnata per non aver svolto gli accertamenti di fatto secondo le prescrizioni dettate dalla Corte di legittimità, e non aver disposto applicazione della normativa pattizia espressamente indicata onde verificare l’esistenza o meno delle necessità organizzative sottese al trasferimento, elaborando valutazioni precluse in quanto esulanti dall’oggetto del rinvio.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. ed art. 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si lamenta che gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito in relazione alla natura delle mansioni espletate dalla ricorrente non fossero fondati sugli effettivi elementi probatori acquisiti con riferimento alle mansioni in origine assegnate ed a quelle successiva mente conferite.

3. Con il terzo mezzo viene denunciata violazione del CCNL Poste del 26 novembre 1994, art. 46, nonchè dell’art. 2697 c.c., art. 2103 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che con la sentenza rescindente, la Corte distrettuale abbia omesso di verificare se nella fattispecie sussistessero i presupposti per l’applicazione della clausola di fungibilità di cui all’art. 46 c.c.n.l..

4. Con il quarto motivo è dedotta violazione del C.C.N.L. Poste del 26 novembre 1994, artt. 42 e 43, degli artt. 2697 e 2103 c.c. e art. 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto riconducibile all’area operativa anche le mansioni successivamente assunte, benchè fossero connotate da contenuti molto più semplici rispetto a quelle svolte in precedenza che ne comportava l’ascrivibilità ad un inquadramento inferiore rispetto a quello di appartenenza (area base).

5. I motivi primo, terzo e quarto, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, si palesano improcedibili.

Si impone infatti l’evidenza dell’inadempimento da parte ricorrente, dell’onere su di essa gravante ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di depositare, a pena di improcedibilità, copia dei contratti o degli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Detto onere può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali – nel rispetto del principio di cui all’art. 111 Cost., letto in coerenza con l’art. 6 della CEDU, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli – anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purchè il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla S.C. tutti gli elementi per verificare l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito (vedi Cass. 7/7/2014 n. 15437, Cass. S.U. 7/11/2013 n. 25038).

Si tratta, dunque, di prescrizione rispondente ai principi generali dell’ordinamento ed ai criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006 intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr. Cass. 4/3/2015, n. 4350).

Nello specifico va rimarcato che non solo il testo della disposizione non risulta riportato in ricorso, ridondando la carenza in termini di difetto di specificità della censura, ma neanche risulta prodotto il testo integrale del contratto collettivo in violazione dei summenzionati principi.

6. Del pari, il secondo motivo è privo di pregio.

Non può, infatti, tralasciarsi di considerare che esso tende a conseguire – per il tramite della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione – una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, che si palesa inammissibile in questa sede di legittimità anche alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014, n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5), concerne, quindi, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

7. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione della controversia ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.

Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

8. Va al riguardo rimarcato che lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione non risponde ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.

La fattispecie concreta è stata, infatti, oggetto di disamina da parte della Corte territoriale che – come riferito nello storico di lite – facendo leva sui dati istruttori acquisiti in atti, ha argomentato, “quanto all’ufficio a quo ed alla gestione del cd. carico riservato”, che le testimonianze rese deponevano nel senso dello svolgimento di attività sostanziale di aggiornamento elenchi; con riferimento alla gestione degli approvvigionamenti, ha dedotto che l’attività della ricorrente era limitata al controllo ed alla sottoposizione alla firma del direttore dell’ufficio.

“Quanto all’ufficio ad quem”, ha rilevato la Corte di merito, che era stato escluso lo svolgimento di attività ascrivibile all’area base, concludendo nel senso che le rinnovate mansioni attribuite alla lavoratrice rientravano nella professionalità posseduta di impiegata amministrativa addetta ad attività tecniche ed esecutive con conoscenze specifiche responsabilità personali e di gruppo con contenuti di parziale o media specializzazione.

9. Al di là delle rilevate carenze del ricorso, deve quindi, da ultimo, rilevarsi, come in ogni caso la lavoratrice non abbia opposto valide ragioni capaci di invalidare i motivi posti a fondamento del decisum della Corte territoriale, che, sia pur con succinta motivazione, ha bene posto in rilievo sia la sussistenza delle esigenze oggettive poste a base dello jus variandi, sia la equivalenza delle mansioni in precedenza svolte rispetto a quelle successivamente assegnate, così rimanendo nell’alveo del dictum recato dalla pronuncia rescindente.

10. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è rigettato.

Il governo delle spese del presente giudizio segue, infine, il principio della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Occorre, infine, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2017

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