Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26259 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11682/2019 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato in Roma, Via Luigi

Boccherini n. 3, presso lo studio dell’avvocato Federico De Angelis,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Paolo Spacchetti, giusta

procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositato il 5/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto depositato in data 5 marzo 2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da A.O., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

il Tribunale, fra l’altro:

i) riteneva che le dichiarazioni del migrante, “anche laddove credibili”, restassero “confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori privi di elementi concreti di riscontro”;

ii) osservava che i fatti riferiti dal ricorrente, in assenza di atti persecutori diretti e personali che assumessero le precipue caratteristiche previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 non erano riconducibili alle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951;

iii) rilevava, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) che non emergevano “circostanze fondate tali da ritenere che il ricorrente” (il quale aveva deciso di espatriare dopo aver denunciato gli assalitori alla polizia e senza attendere gli esiti della sua iniziativa) “possa essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani e degradanti nel Paese di origine, nè che le tenute ripercussioni in caso di rientro integr(i)no i presupposti del cd. danno grave in relazione alle possibili conseguenze secondo l’ordinamento straniero tenuto anche conto che nello stato di provenienza sono presenti istituzioni che, in caso di effettivo e concreto pericolo, sarebbero comunque in grado di proteggerlo” (pag. 7);

iv) aggiungeva che la sola presenza di civili nell’area da cui proveniva il richiedente asilo non costituiva un pericolo per la vita, in ragione delle informazioni disponibili sul quel territorio;

v) constatava infine l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a – d, e di condizioni individuali di elevata vulnerabilità, anche causate dallo sradicamento dal contesto socio-economico nazionale, poichè nel paese di origine non erano segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani e il ricorrente non aveva dato prova di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia A.O. al fine di far valere quattro motivi di impugnazione;

resiste con controricorso l’intimato Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: il Tribunale, chiamato a un completo riesame della domanda presentata in sede amministrativa, avrebbe dovuto vagliare la sussistenza di atti persecutori tenendo conto che lo status di rifugiato doveva essere riconosciuto anche nel caso in cui il responsabile della persecuzione fosse un soggetto non statuale;

3.2 il motivo è inammissibile;

l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata;

il motivo in esame non fa alcun riferimento al contenuto della decisione impugnata e finisce così per affermare principi astratti che non si correlano con la statuizione del giudice di merito;

ne discende la sua inammissibilità, dato che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) (Cass. 20910/2017);

per di più la doglianza pare parametrarsi, dal tenore della sua rubrica, al vizio di motivazione che poteva essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 prima che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, limitasse questo canone di critica al solo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti;

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 in quanto il Tribunale avrebbe negato il riconoscimento della protezione sussidiaria ritenendo a tal fine irrilevanti le minacce ricevute dal migrante da parte di un gruppo criminale (che questi aveva denunciato a seguito di un grave atto di violenza subito da un compagno mentre alloggiava in un ostello) e il clima di grave instabilità esistente in (OMISSIS), senza però considerare che al fine dell’accoglimento della domanda era sufficiente il fondato timore che un ritorno nel paese di origine potesse comportare il rischio effettivo di subire un grave danno;

4.2 il motivo è inammissibile;

la critica infatti deduce formalmente una violazione di norme di legge, che però rappresenta in termini del tutto coincidenti con i canoni posti dal Tribunale a base della propria decisione (seppur applicati alla fattispecie in esame in maniera difforme da quanto voluto dal ricorrente);

la doglianza mira quindi, in realtà, più che a evidenziare una criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, alla rivalutazione dei fatti operata dal Tribunale, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito (Cass. 8758/2017);

5.1 il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in quanto il Tribunale di Ancona avrebbe trascurato di considerare che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria era sufficiente l’esistenza di una situazione di violenza nel paese di origine che esponesse il richiedente asilo, in caso di rimpatrio, a un rischio effettivo di subire minacce gravi e individuali alla vita; condizione, questa, che senz’altro sussisteva in (OMISSIS), il cui governo si era rivelato tutt’altro che capace di mantenere l’ordine pubblico e di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona, rendendosi responsabile in prima persona di azioni repressive e discriminatorie;

5.2 il motivo è inammissibile;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo dapprima in esame una pluralità di informazioni aggiornate (espressamente indicate alle pagine da 2 a 5 del decreto impugnato) sulla situazione in (OMISSIS) risalenti all’anno 2018 ed escludendo poi (a pag. 7) che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse un pericolo per la loro vita e incolumità;

la critica in esame in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca anch’essa di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

6.1 il quarto motivo di ricorso assume la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: il Tribunale avrebbe erroneamente escluso di poter riconoscere la protezione umanitaria, in quanto il contesto sociopolitico della (OMISSIS), dove la repressione politica decennale aveva lasciato strascichi pesanti con conseguenti atti di violenza, unitamente alla condizione personale di contrasto che il ricorrente avrebbe incontrato una volta rimpatriato costituiva ragione più che rilevante e fondata ai fini dell’accoglimento della richiesta, tenuto conto peraltro che il migrante si sarebbe trovato in una situazione di concreto pericolo per la propria incolumità fisica e privo di risorse economiche in un contesto sociale caratterizzato da instabilità e insicurezza;

6.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale ha accertato, in fatto, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi ancora una volta in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

7. in conclusione, in virtù delle ragioni sopra illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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