Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26256 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10214/2019 proposto da:

A.W., elettivamente domiciliato in Roma, Via Luigi Boccherini

n. 3, presso lo studio dell’avvocato Federico De Angelis,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Paolo Spacchetti giusta procura

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositata il 15/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto depositato in data 15 febbraio 2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da A.W., cittadino del (OMISSIS) proveniente da un villaggio del (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

il Tribunale, fra l’altro:

i) riteneva che le dichiarazioni del migrante (il quale aveva narrato di aver avuto una relazione sentimentale ostacolata dai fratelli della donna) fosse inattuale (riferendosi a dieci prima e a una persona che aveva poi trovato un altro compagno) e inattendibile (non essendo credibile che i fratelli di lei ritenessero ancora che il richiedente asilo fosse scappato con la loro sorella, tenuto conto della discrasia di anni esistente fra l’allontanamento del migrante e quello della ex fidanzata con il nuovo compagno);

ii) osservava che i fatti riferiti dal ricorrente, in assenza di atti persecutori diretti e personali che assumessero le precipue caratteristiche previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 non erano riconducibili alle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951;

iii) rilevava, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) che non emergevano “elementi da cui desumere la sussistenza di una grave e individuale minaccia nei confronti del richiedente perchè quest’ultimo riferisce di episodi privi di idoneità lesiva specifica e attuale, tenuto conto che la donna ha trovato un altro uomo” (pag. 6);

iv) aggiungeva che la sola presenza di civili nell’area da cui proveniva il richiedente asilo non costituiva un pericolo per la vita, in ragione delle informazioni disponibili sul quel territorio;

v) constatava infine l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a – d, e di condizioni individuali di elevata vulnerabilità, anche causate dallo sradicamento dal contesto socio-economico nazionale, poichè nel paese di origine non erano segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani e il ricorrente non aveva dato prova di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia A.W. al fine di far valere quattro motivi di impugnazione;

resiste con controricorso l’intimato Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: il Tribunale, chiamato a un completo riesame della domanda presentata in sede amministrativa, avrebbe dovuto vagliare la sussistenza di atti persecutori nonchè i motivi della citata persecuzione;

3.2 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in quanto il Tribunale avrebbe basato la propria decisione sulla circolare della commissione nazionale per il diritto di asilo n. 346 del 2014 senza prendere in considerazione lo stato di conflitto in (OMISSIS);

3.3 entrambi i motivi sono inammissibili;

l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata;

le doglianze in esame non fanno alcun riferimento al contenuto della decisione impugnata, se non per alludere (con il secondo motivo di ricorso) a paesi ((OMISSIS)) e provvedimenti amministrativi del tutto estranei alla stessa, e finiscono così per affermare principi astratti che non si correlano con la statuizione del giudice di merito;

ne discende la loro inammissibilità, dato che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), (Cass. 20910/2017);

per di più la prima doglianza pare parametrarsi, dal tenore della sua rubrica, al vizio di motivazione che poteva essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 prima che D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, limitasse questo canone di critica al solo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti;

4.1 il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in quanto il Tribunale di Ancona avrebbe trascurato di considerare che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria era sufficiente l’esistenza di una situazione di violenza nel paese di origine che esponesse il richiedente asilo, in caso di rimpatrio, a un rischio effettivo di subire minacce gravi e individuali alla vita; condizione, questa, che senz’altro sussisteva nel caso di specie, in ragione sia del clima di forte instabilità esistente in (OMISSIS), con ripresa dei combattimenti di matrice religiosa e terroristica, sia delle minacce di morte rivolte al migrante che lo avevano costretto alla fuga;

4.2 il motivo è inammissibile;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo dapprima in esame una pluralità di informazioni aggiornate (espressamente indicate alle pagg. 3 e 4 del decreto impugnato) sulla situazione in (OMISSIS) risalenti all’anno 2017 ed escludendo poi (a pag. 7) che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisca un pericolo per la loro vita e incolumità;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

i rilievi che involgono la vicenda personale del migrante mirano anch’essi, in realtà, più che a evidenziare una criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, alla rivalutazione dei fatti operata dal Tribunale (secondo cui doveva escludersi la sussistenza di una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente asilo, che aveva riferito episodi privi di idoneità lesiva specifica e attuale), così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito (Cass. 8758/2017);

5. il quarto motivo di ricorso assume la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: il Tribunale avrebbe erroneamente escluso di poter riconoscere la protezione umanitaria, in quanto il contesto sociopolitico del (OMISSIS), dove si erano riaccesi i conflitti con i gruppi terroristici di matrice islamica con conseguenti atti di violenza, unitamente alla condizione personale di contrasto che il ricorrente avrebbe incontrato una volta rimpatriato costituiva ragione più che rilevante e fondata ai fini dell’accoglimento della richiesta, tenuto peraltro conto che il migrante si sarebbe trovato privo di risorse economiche, con una scarsa istruzione e senza una famiglia su cui poter contare e non avrebbe avuto prospettive in un contesto sociale caratterizzato da instabilità e insicurezza;

5.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale ha accertato, in fatto, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione;

a fronte di tali accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi ancora una volta in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

6. in conclusione, in virtù delle ragioni sopra illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

 

 

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