Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26254 del 18/10/2018

Cassazione civile sez. un., 18/10/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 18/10/2018), n.26254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di Sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2470/2017 proposto da:

CLUB NAUTICO MARINA DI BRONDOLO S.R.L., MERIDIANA ORIENTALE S.R.L.,

in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

Z.M. nella qualità di titolare della ditta APPRODO TURISTICO BRENTA

MARE DI M.Z., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 288, presso o studio dell’avvocato MICHELA REGGIO D’ACI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELE

GREGGIO, GIOVANNI BATTISTA CONTE e VLADIMIRO PEGORARO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO PER LE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI, MINISTERO PER LE

INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona dei rispettivi Ministri

pro tempore, MAGISTRATO DELLE ACQUE – UFFICIO DI SALVAGUARDIA DI

VENEZIA, PROVVEDITORATO INTERREGIONALE PER LE OPERE PUBBLICHE PER IL

VENETO, IL TRENTINO ALTO ADIGE ED IL FRIULI VENEZIA GIULIA, in

persona del Provveditore pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

REGIONE DEL VENETO, in persona del Presidente pro tempore della

Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato BRUNA D’AMARIO PALLOTTINO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CECILIA LIGABUE,

CHIARA DRAGO ed EZIO ZANON;

– controricorrenti –

e contro

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO, CONSORZIO DI BONIFICA

BACCHIGLIONE, COMUNE DI CHIOGGIA, MINISTERO PER I BENI E LE

ATTIVITA’ CULTURALI, DIREZIONE REGIONALE PER I BENI E LE ATTIVITA’

CULTURALI DEL VENETO, PROVINCIA DI VENEZIA, AGENZIA REGIONALE PER LA

PREVENZIONE E PROTEZIONE AMBIENTALE DEL VENETO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 297/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 13/10/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Michele Greggio, Giovanni Battista Conte e Bruna

D’Amario Pallottino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Le società Club Nautico Marina di Brondolo s.r.l. e Meridiana Orientale s.r.l., nonchè il signor Z.M., titolare della ditta Approdo Turistico Brenta Mare di M.Z., hanno proposto ricorso, sulla scorta di cinque motivi, per la cassazione della sentenza con cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, pronunciandosi in unico grado ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 (T.U. Acque) ha rigettato la domanda da loro proposta per l’annullamento della Delib. Giunta Regionale Veneto 25 giugno 2012, n. 1189 (e di ogni altro atto alla stessa presupposto, connesso o consequenziale) che, sulla scorta del parere favorevole della Commissione Regionale VIA del 9 maggio 2012 (pur essa specificamente impugnata), esprimeva giudizio favorevole di compatibilità ambientale D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 19 e ss., in relazione ad un’opera di sbarramento antintrusione salina presso la foce del fiume Brenta, nel comune di Chioggia, approvava il progetto definitivo di detta opera e rilasciava l’autorizzazione paesaggistica D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 146.

Detta opera – il cui soggetto attuatore era il Magistrato delle Acque di Venezia (ora Ufficio Salvaguardia di Venezia), giusta il protocollo d’intesa dal medesimo sottoscritto il 18 giugno 2009 con la Regione Veneto, il Consorzio di bonifica Adige-Bacchiglione ed il Comune di Chioggia – consiste in un ponte sul fiume Brenta dotato di più luci con annesse paratoie, il cui complesso sistema è destinato ad intercettare l’acqua dolce di magra estiva e ad impedire la risalita, nell’alveo nel fiume stesso, del cuneo salino del Mare Adriatico; ciò al fine di evitare l’infiltrazione di acqua salata nelle falde di acqua dolce, con conseguente desertificazione dei terreni agricoli. L’opera si completa, poi, con la realizzazione di una conca di navigazione, volta a garantire comunque il movimento fluviale, e con l’adeguamento della relativa viabilità nel territorio comunale di Chioggia.

Gli odierni ricorrenti sono operatori del settore della nautica da diporto ed esercitano attività di rimessaggio e di ormeggio di imbarcazioni a vela e a motore in darsene da loro gestite, in base ad appositi titoli concessori, su aree demaniali lungo il fiume Brenta e sui relativi specchi acquei, a monte del luogo in cui è progettata la realizzazione dell’opera pubblica; essi lamentano il pregiudizio che la menzionata opera pubblica, a loro avviso inutile e inopportuna, reca alle loro attività commerciali a causa dello sbarramento creato sul fiume a valle delle darsene da loro gestite. I ricorrenti hanno quindi impugnato la Delib. Giunta Regionale Veneto n. 1189 del 2012, davanti al TAR Veneto, e, a seguito della declinatoria di giurisdizione da questo giudice pronunciata, hanno riassunto il giudizio davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, chiedendo al medesimo, per quanto qui ancora interessa, di vagliare anche nel merito l’opportunità dell’opera.

Gli argomenti spesi dalla Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche a fondamento del rigetto dell’impugnazione si risolvono, per un verso, nella ritenuta “natura strategica, anche per preservare la qualità del corpo idrico del Brenta e della laguna di Venezia” dell’opera pubblica in questione (pag. 7 della sentenza) e, per altro verso, nella considerazione che “l’opera di sbarramento garantisce comunque il movimento fluviale” (pag. 8 della sentenza), in ragione della esistenza e utilizzabilità di altro ingresso da e verso il mare (la chiusa di Brondolo) che, ancorchè meno comodo, “s’appalesa pur sempre la soluzione più acconcia mediante cui, a fronte della necessità d’una siffatta opera strategica per l’equilibrio idrico della zona e nei tempi in cui ne occorra il funzionamento, ne sono ripartiti tra tutti i consociati costi e benefici complessivi” (pagg. 8/9 della sentenza).

Hanno depositato autonomi controricorsi la Regione Veneto e l’Avvocatura dello Stato, quest’ultima in rappresentanza del Magistrato delle Acque – Ufficio di Salvaguardia di Venezia, del Ministero per le Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Veneto, il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia e del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali.

Gli altri intimati, indicati in epigrafe, non hanno spiegato attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza dell’11.9.18, per la quale soltanto i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I primi quattro motivi di ricorso attingono la seguente affermazione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche: “restano così assorbite, per evidente loro infondatezza, le questioni di cui al secondo mezzo di gravame, in particolare quelle sull’impossibilità delle imbarcazioni di passare sotto i ponti esistenti, nonchè di garantirne l’agevole transito, trattandosi di argomenti o generici (rispetto a quanto al riguardo prescritto del parere della Commissione regionale VIA, nonchè all’uso, peraltro da concordare con i titolari delle attività nautiche, dello sbarramento nei soli periodi di magra del Brenta), o inerenti a profili di merito o, comunque, tali da non evidenziare l’irragionevolezza o la manifesta arbitrarietà dell’opera” (pag. 9 della sentenza gravata).

Col primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 1, si deduce la violazione dell’art. 143 T.U. Acque, comma 1, lett. b), in cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sarebbe incorso omettendo di esercitare i propri poteri di giurisdizione di merito sull’opportunità dell’opera pubblica approvata con l’impugnata delibera. In particolare, i ricorrenti censurano due affermazioni della sentenza gravata e, precisamente, quella per cui le doglianze svolte nel secondo mezzo del ricorso in riassunzione risulterebbero assorbite perchè tratterebbero argomenti “inerenti a profili di merito” (pag. 9 della sentenza) e quella per cui “nè più pregnante, al di là dell’essere una censura sul merito tecnico della scelta, è la doglianza sul perchè lo sbarramento non sia stato realizzato all’altezza della strada dei campeggi in località (OMISSIS) ed in prossimità della spiaggia” (pag. 11 della sentenza).

Il motivo non può trovare accoglimento, perchè l’argomentazione ivi svolta dal ricorrente si appunta contro affermazioni del Tribunale prive di effettiva portata decisoria.

L’affermazione secondo cui gli argomenti spesi dai ricorrenti nel secondo motivo del loro ricorso in riassunzione sarebbero “inerenti a profili di merito”, risulta infatti meramente esornativa, in quanto, nonostante tale affermazione, il Tribunale ha in concreto esercitato la potestà giurisdizionale di merito, giudicando che, a fronte della necessità dell’opera pubblica in questione “per l’equilibrio idrico della zona e nei tempi in cui ne occorra funzionamento” (pag. 8 della sentenza), la soluzione del passaggio da e verso il mare attraverso la chiusa di (OMISSIS) era la soluzione “più acconcia” al fine di ripartire “tra tutti i consociati i costi ed i benefici complessivi” (pagg. 8/9 della sentenza). Quanto, poi, all’affermazione secondo cui la doglianza sull’ubicazione dello sbarramento concernerebbe il “merito tecnico della scelta”, il Collegio osserva che anch’essa risulta meramente ridondante e priva di concreta incidenza sulla decisione, posto che, ad onta di tale affermazione, il Tribunale ha comunque affermato – con una valutazione specificamente di merito – che: “nel merito, non si può dire sbagliata o irrazionale la scelta, tra tutte quelle vagliate dalla p.a., che ponga l’opera in un sito idoneo, per conformazione di esso e per la natura dello sbarramento, a fermare la risalita del cuneo salino rispetto non solo al fiume Brenta, ma pure a tutti i corsi d’acqua che confluiscono in quest’ultimo” (pag. 12, righi 3 e ss., della sentenza).

In definitiva, quindi, il Tribunale ha concretamente esercitato il potere di giurisdizione di merito a lui conferito dall’art. 143 T.U. Acque; donde l’infondatezza del motivo.

Col secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sarebbe incorso omettendo di pronunciarsi sulla domanda concernente l’opportunità nel merito della realizzazione dell’opera pubblica secondo il progetto approvato con la delibera impugnata.

Il secondo motivo deve essere rigettato perchè il Tribunale non ha omesso di pronunciarsi sulla domanda avente ad oggetto il vaglio di opportunità dell’opera pubblica in questione, ma si è pronunciato su tale domanda statuendo, come già si è evidenziato nell’esame del primo mezzo di impugnazione, che, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti, la soluzione del passaggio da e verso il mare attraverso la chiusa di (OMISSIS) era quella “più acconcia” (pag. 8, terzultimo rigo, della sentenza).

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si deduce il vizio di totale contraddittorietà e incomprensibilità della motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, in cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sarebbe incorso giudicando assorbite e, al contempo, infondate le questioni proposte dai ricorrenti nel loro secondo mezzo di ricorso in riassunzione. Tali questioni riguardavano, secondo quanto riportato nel ricorso per cassazione, la sommersione delle darsene gestite dai ricorrenti, la diminuzione del tirante d’aria sotto i ponti esistenti a monte dello sbarramento, la conseguente impossibilità per i natanti di raggiungere sia la conca di navigazione in progetto sia l’esistente conca di (OMISSIS), il rischio di tenuta degli argini di smottamenti. Al riguardo i ricorrenti deducono che una medesima questione, se ritenuta assorbita, non potrebbe essere, al contempo, giudicata infondata; donde la lamentata incomprensibilità della motivazione dell’impugnata sentenza.

Anche il terzo motivo va disatteso perchè, al pari dei primi due, attinge una statuizione meramente esornativa della sentenza impugnata. Infatti, nonostante l’improprio riferimento all'”assorbimento”, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha, in sostanza, giudicato infondate le doglianze sollevate dai ricorrenti con il secondo mezzo del ricorso in riassunzione.

Con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti deducono la contraddittorietà e perplessità della motivazione della sentenza gravata, lamentando come dalla stessa non sarebbe possibile individuare, tra i diversi argomenti spesi nel secondo mezzo di ricorso in riassunzione, quali sarebbero quelli generici, quali sarebbero quelli inerenti a profili di merito e quali sarebbero quelli tali da non evidenziare comunque l’irragionevolezza o la manifesta arbitrarietà dell’opera.

Anche il quarto motivo va disatteso, perchè si risolve in una denuncia di contraddittorietà della motivazione e, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Cass. 23940/17). Va peraltro escluso che la motivazione della sentenza qui impugnata possa giudicarsi così radicalmente inidonea a dare conto delle ragioni della decisione da doversi qualificare come motivazione apparente.

Con il quinto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e censurano la sentenza gravata per la mancanza di motivazione in ordine ai rilievi da loro svolti in sede di merito sull’inutilità dell’opera pubblica e sul fatto che la stessa implicherebbe un costo a carico dell’erario del tutto spropositato rispetto dei minimi vantaggi arrecati.

Il motivo di ricorso si articola in tre distinti, ma convergenti, profili di censura. Il primo profilo concerne l’omessa motivazione sulle argomentazioni svolte dai ricorrenti in merito alle carenze istruttorie del procedimento amministrativo; il secondo profilo concerne l’omessa valutazione delle risultanze della perizia di parte depositata dai ricorrenti; il terzo profilo concerne l’omessa valutazione delle due istanze istruttorie proposte dei ricorrenti e, in particolare, della richiesta di consulenza tecnica di ufficio dei medesimi avanzata.

Anche il quinto motivo di ricorso va disatteso, perchè esso si risolve in una richiesta di riesame dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che esula dalle funzioni istituzionali del giudizio di legittimità e non è riconducibile al paradigma del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5.

In proposito va qui ricordato che queste Sezioni Unite hanno già chiarito, nella sentenza n. 67 del 2016, che la sentenza del tribunale superiore delle acque pubbliche soggetta ratione temporis al D.Lgs. n. 40 del 2006 e quindi ricorribile in cassazione a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è impugnabile per vizio di motivazione solo qualora l’anomalia denunciata rilevi ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ove tale ultimo disposto sia anch’esso applicabile ratione temporis.

Può peraltro aggiungersi che, già prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, recata dal D.L. n. 83 del 2012, la giurisprudenza di legittimità aveva più volte sottolineato – enunciando principi la cui validità permane intatta, ed anzi si rafforza, dopo la novella recata dal D.L. n. 83 del 2012 e che, pertanto, queste Sezioni Unite intendono riaffermare – per un verso, che il ricorso per cassazione non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento di tale ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (si vedano, tra le altre, Cass., Sez. 1^, n. 7972/07; Cass., Sez. 3^, n. 13954/07); per altro verso, che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass., Sez. Lav., n. 16499/09, Cass., Sez. 1^, n. 11511/14, resa su ricorso disciplinato, ratione temporis, dal previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per la Regione Veneto, in Euro 8.000, oltre Euro 200 per esborsi, e per le Amministrazioni rappresentate dall’Avvocatura dello Stato, in Euro 8.000, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2018

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