Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26252 del 18/11/2020

Cassazione civile sez. I, 18/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 18/11/2020), n.26252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6788/2019 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Cristina Perozzi, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositato il 25/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto depositato in data 25 gennaio 2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da M.F., cittadino della (OMISSIS) proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego del riconoscimento del suo status di rifugiato nonchè del suo diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o a quella umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

il Tribunale, fra l’altro:

i) riteneva che le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di essere espatriato dopo che il padre lo aveva minacciato, picchiato ed allontanato da casa per motivi religiosi) non fossero credibili; le stesse peraltro, “anche laddove credibili”, restavano “confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati in ricorso integrano personali timori privi di elementi concreti di riscontro”;

ii) osservava che i fatti riferiti dal ricorrente, in assenza di atti persecutori diretti e personali che assumessero le precipue caratteristiche previste del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 non erano riconducibili alle previsioni della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951;

iii) rilevava, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) che non emergevano circostanze fondate tali da consentire di ritenere che il migrante, in caso di rimpatrio, avrebbe corso il rischio effettivo di subire un grave danno;

iv) aggiungeva che la sola presenza di civili nell’area da cui proveniva il richiedente asilo non costituiva un pericolo per la vita, in ragione delle informazioni disponibili sul quel territorio;

v) constatava infine l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a – d, e di condizioni individuali di elevata vulnerabilità, anche causate dallo sradicamento dal contesto socio-economico nazionale, poichè nel paese di origine non erano segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani e il ricorrente non aveva dato prova di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia M.F. al fine di far valere tre motivi di impugnazione;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè il difetto di motivazione, a motivo della mancata traduzione, pur in presenza di un obbligo di legge, della decisione della commissione territoriale e del provvedimento impugnato, che erano così risultati incomprensibili al richiedente asilo; nel contempo la doglianza assume la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e del principio convenzionale internazionale del non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto a un processo giusto ed effettivo;

3.2 il motivo è inammissibile, rispetto a ciascuno dei profili di critica dedotti;

3.2.1 il decreto impugnato non fa cenno alcuno alla questione relativa alla mancata traduzione della decisione assunta dalla commissione territoriale;

il silenzio serbato su questa questione imponeva al ricorrente di allegare la deduzione della stessa avanti al giudice di merito e di indicare, in ossequio al principio di specificità del motivo, dove tale deduzione fosse avvenuta; ciò in applicazione del costante orientamento di questa Corte secondo cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella decisione impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella precedente fase nè rilevabili di ufficio (Cass. 2038/2019, Cass. 15430/2018, Cass. 27568/2017);

il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito;

3.2.2 in presenza di una rituale impugnazione il ricorrente non indica quale pregiudizio abbia subito dalla mancata traduzione del decreto del Tribunale (traduzione, peraltro, non prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, che non stabilisce alcun obbligo in tal senso al fine di rendere comprensibile il decreto del Tribunale al richiedente asilo);

3.2.3 il decreto impugnato ha espressamente escluso la sussistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dall’art. 19 T.U.I. ed ostative all’espulsione;

la critica in ordine a questa constatazione è del tutto generica, dato che non individua alcuna circostanza che legittimasse invece una diversa statuizione, e mira nella sostanza a una rivisitazione del giudizio espresso dal giudice di merito;

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, nonchè il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; in particolare il ricorrente ha inteso denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancanza o l’insufficienza della motivazione, in ragione della natura meramente apparente o tautologica degli argomenti offerti nel provvedimento impugnato;

in tesi di parte ricorrente il Tribunale, facendo un’erronea applicazione delle norme in materia, avrebbe offerto una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero e non avrebbe tenuto conto delle condizioni esistenti nella zona meridionale della (OMISSIS), contraddistinta da un elevatissimo livello di criminalità e teatro di gravi atti di terrorismo, violenze generalizzate e sommosse, che imponevano il riconoscimento della protezione sussidiaria, come già era stato statuito da vari giudici di merito;

4.2 il motivo è inammissibile;

esso infatti, pur in presenza di una motivazione che argomenta compiutamente le ragioni per le quali il Tribunale ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria, prospetta l’assenza di una reale motivazione o assume che la stessa abbia carattere meramente apparente, intendendo così nella sostanza sollecitare una valutazione di opposto segno della situazione esistente nel sud della (OMISSIS) e a (OMISSIS) nel senso più favorevole già indicato da alcuni giudici di merito;

in questo modo tuttavia la censura non si correla con il contenuto del decreto impugnato – che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di credibilità della narrazione del richiedente asilo -, e manca del carattere di riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere;

nel contempo il mezzo, a fronte di un accertamento rientrante nel giudizio di fatto istituzionalmente demandato al giudice di merito, si riduce a deduzioni meramente astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda, malgrado la stessa non sia rinnovabile in questa sede;

5.1 il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 353 e 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per la concessione del permesso umanitario, a dispetto del positivo percorso integrativo compiuto dal ricorrente e della stabile occupazione con contratto a tempo indeterminato conseguita dal migrante;

5.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale ha accertato, in fatto, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi ancora una volta in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

infine, quanto all’erroneo inquadramento del contratto di lavoro a tempo indeterminato quale mera promessa di impiego, la doglianza, oltre a non trovare corrispondenza all’interno del provvedimento impugnato, non è nè autosufficiente (dato che non trascrive il contenuto del documento asseritamente mal interpretato nè fa un sintetico ma completo resoconto del suo contenuto, così come non spiega dove tale documento ora si rinvenirebbe, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6; cfr. Cass. 16900/2015, Cass. 4980/2014, Cass. 5478/2018, Cass. 14784/2015 e Cass. 8569/2013), nè decisiva, poichè il livello di integrazione raggiunto dal migrante in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato, non ha rilievo ai fini della concessione della forma di protezione in discorso (Cass., Sez. U., 29459/2019);

6. in conclusione, in virtù delle ragioni sopra illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2020

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