Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26251 del 19/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 19/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.19/12/2016),  n. 26251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15187/2013 proposto da:

R.T., (OMISSIS), C.L. (OMISSIS), S.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NAZARIO SAURO 16,

presso lo studio dell’avvocato STEFANIA REHO, rappresentati e difesi

dall’avvocato MASSIMO PISTILLI, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS), in persona del

Ministro in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9592/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

21/11/2012, depositata il 10/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo il Ministero in epigrafe indicato proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo stesso Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore dei suoi dipendenti, in epigrafe somme a titolo di compenso aggiuntivo per festività di cui alla L. n. 260 del 1949 – come modificata dalla L. n. 90 del 1954, coincidenti con la domenica.

2. Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo.

3. A seguito di impugnazione da parte dei dipendenti, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado. Riteneva la Corte territoriale che la fonte primaria fosse divenuta nella materia in questione la disciplina contrattualistica, ed in specie quella desumibile dal c.c.n.l. del Comparto Ministeri 1998/2001, che nulla disponeva con riguardo al compenso preteso dai lavoratori e che la L. n. 260 del 1949, art. 5, dovesse considerarsi inapplicabile prevedendo un incremento retributivo non contemplato dal contratto collettivo. Valorizzava la Corte territoriale lo jus superveniens, costituito dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, che, all’art. 1, comma 224, ha stabilito, che: Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso la L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 5, comma 3, come sostituito dalla L. 31 marzo 1954, n. 90, art. 1, in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge” ed escludeva la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento.

4. avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione i dipendenti, con un articolato motivo di impugnazione.

5. Il Ministero resiste con controricorso.

6. Con l’articolato motivo di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, posta questione di costituzionalità di tale norma e formulata richiesta di quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex art. 234 del Trattato CE.

7. I profili di doglianza, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca connessione, sono manifestamente infondati, come già ritenuto da questa Corte, sezione lavoro, da ultimo, con sentenza n. 7029 del 2016 e numerosi precedenti conformi, e dalla sezione sesta-L, con ordinanze un. 11, 328, 12036 del 2016.

8. La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus superveniens costituito dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, norma che, laddove dispone che la L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, come successivamente modificato, è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997 ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, ha escluso, con portata retroattiva (e dunque non con effetti solo per il futuro), il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festività della domenica.

9. In tali termini questa Corte si è già più volte pronunciata.

10. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, n. 7740, Cass. 25 febbraio 2011, n. 4661, Cass. 27 ottobre 2009, n. 22653, Cass. 17 giugno 2009, n. 14048, Cass. 22 febbraio 2008, n. 4667 con le quali si è evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull’ambito dell’inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore.

11. E’ stato anche rimarcato, con l’espresso richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale n. 146 del 16 maggio 2008 (così Cass. n. 7740/2011, Cass. n. 4661/2001, Cass. n. 14048/2009 citate), come i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, sono privi di fondamento.

12. Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 1040 del 20 gennaio 2014, resa in un giudizio nel quale, come nel presente, si sosteneva che l’efficacia retroattiva della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, non appariva giustificata, sul piano costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della disposizione stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata (il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 1, secondo periodo) non già uno dei significati possibili bensì un significato del tutto nuovo e si poneva, altresì, il problema che la detta retroattività avrebbe violato il divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art. 117 Cost., comma 1 e 6 CEDU), ledendo l’autonomia e indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) tornata la Corte costituzionale.

13. Nella recente decisione n. 150 del 14 luglio 2015, il Giudice delle leggi ha definitivamente fugato ogni dubbio di costituzionalità e di contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della parità delle armi e della certezza del diritto (art. 6 CEDU) affermando che: l’intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (sentenza n. 209 del 2010), escluse da questa Corte già nella sentenza n. 146 del 2008 in considerazione della peculiarità del regime del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni delineato dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dai contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure determina una lesione dell’affidamento. Il testo originario rendeva, sin dall’inizio, plausibile, come si è già rilevato, una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare (sentenza n. 170 del 2008), coerente con i principi ai quali è informato il rapporto) di lavoro pubblico).

14. Nè si ravvisa una lesione delle attribuzioni del potere giudiziario.

15. La norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010).

16. Inoltre, non risultano offerti argomenti ulteriori rispetto a quelli già vagliati dalla stessa Corte costituzione nella sopra citata sentenza n. 150 del 14 luglio 2015 nella parte in cui è stato escluso ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della “parità delle armi” e della certezza del diritto (art. 6 CEDU).

17. In tale decisione si è, infatti, precisato: – che “al legislatore non è… precluso di emanare… norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte CEDU (sentenza n. 264 del 2012)” (sentenza n. 156 del 2014; così anche, ex plurimis, sentenze n. 78 del 2012, n. 15 del 2012); – che ciò accade allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito) giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza n. 311 del 2009; così anche Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito), nonchè di riaffermare l’intento originale del Parlamento (Corte Emropea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri contro Francia) a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini; – che la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell’intero D.Lgs. n. 165 del 2001 (inapplicabilità “delle norme generali e speciali del pubblico impiego”, a seguito appunto della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997); – che, inoltre, la norma in questione ha chiarito – risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante (Cass. 28 marzo 1981, n. 1803; Cass. 10 gennaio 2011, n. 258; Cass. 5 luglio 2006, n. 15331); – che la L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, ha carattere imperativo; – che l’intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure determina una lesione dell’affidamento (rendendo il testo originario della norma, sin dall’inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i destinatati della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare).

18. Il recente intervento della Corte costituzionale sulla questione oggetto di causa consente di compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

19. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

20. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) da rigettarsi integralmente, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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