Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2625 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 30/01/2019), n.2625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRANCANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24299/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

T.G., con l’avv. Giovanni Botti con domicilio eletto

presso il suo studio in Modena, Corso Canalgrande, n. 16.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per

l’Emilia Romagna, – Sez. 04 n. 41/04/12 depositata in data

31/05/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre

2018 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

Fatto

RILEVATO

Il contribuente espone essere un agente assicurativo cessato che ha aderito per gli anni 2003 e 2004 al c.d. concordato preventivo: con quest’istituto il contribuente si impegna a garantire il conseguimento di un certo reddito, incrementato nel secondo anno in base a parametri prefissati, a fronte di aliquote agevolate ed esenzioni da adempimenti fiscali.

Nel 2004 il contribuente ha ricevuto Euro 482.543,00 a titolo di provvigioni maturate precedentemente e che gli è stata tassata ad aliquota normale, ma che egli vorrebbe far rientrare nei redditi da impresa maturati nel 2004, soggetti ad aliquota agevolata propria del concordato preventivo. Insorge quindi e ne richiede all’Erario la quota parte versata in esubero, proponendo poi ricorso alla CTP che peraltro nega un tanto possa entrare in concordato fiscale preventivo, poichè finirebbe per alterarne i presupposti dato il carattere eccentrico della provenienza della somma in rapporto all’attività attuale del contribuente.

Di diverso avviso è stata la CTR che ha riconosciuto il diritto al rimborso.

Spicca quindi ricorso l’Ufficio affidandosi ad un unico motivo, controdeduce il privato.

Diritto

CONSIDERATO

Con l’unico motivo si lamenta violazione delle leggi in materia di concordato fiscale preventivo, segnatamente dal D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 7 e dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 3, lett. a), in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La questione è stabilire se l’indennità di cessazione mandato di agenzia sia da qualificarsi reddito di impresa: se si, potrà beneficiare dell’agevolazione, altrimenti no. Tale qualifica è esclusa espressamente dall’art. 56 T.U.I.R. novellato a partire dal 1 gennaio 2004: tale essendo l’anno di percezione, l’indennità di cessazione mandato d’agenzia sconta la sua nuova qualifica e deve assolvere al maggior onere contributivo.

Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere definito con il rigetto del ricorso originario del contribuente. Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Condanna alla rifusione delle spese di lite a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro 2.300, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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