Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2625 del 05/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2625 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 14693-2011 proposto da:
MARCIANO SALVATORE C.F. MRCST51T26F839Y, domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
3173

contro

COMUNE DI NAPOLI C.F. 80014890638, in persona del
A

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 50-A, presso lo

Data pubblicazione: 05/02/2014

studio dell’avvocato LAURENTI LUCIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato FERRARI FABIO MARIA, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

23/2011 della CORTE D’APPELLO

di NAPOLI, depositata il 05/02/2011 R.G.N.

7735/07fAvrit,e;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato MARRA ALFONSO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

Udienza 7.11.2013, causa n. 15

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Marciano Salvatore esponeva al Tribunale del lavoro di Napoli di essere addetto ai servizi di
manutenzione e pulitura di parchi e giardini come giardiniere per il Comune di Napoli e di
eseguire le operazioni indicate al ricorso; che nel corso di tali operazioni quotidianamente
sporcava gli abiti da lavoro che consistevano in due tute di stoffa che il Comune forniva ogni
due o tre anni, che le tute “usa e getta” fornite ogni circa 24 mesi non consentivano la
traspirazione; che la scarsità degli indumenti forniti e il lungo lasso di tempo intercorrente tra
una fornitura ed un’altra e i lavaggi frequenti determinavano un logorio tale degli abiti da
lavoro da indurre il ricorrente alla loro sostituzione con abiti propri, mentre incombeva sul
Comune di Napoli l’obbligo di fornire, lavare e disinfettare gli indumenti di lavoro. Pertanto il
ricorrente deduceva la violazione degli artt. 32 Cost. e 2087 c.c. e di altre norme come il d.lgs
n. 626/94 e sosteneva di avere diritto all’indennità per il lavaggio delle tute o al risarcimento
del danno per la condotta del Comune. Si costituiva il Comune chiedendo il rigetto della
domanda. Il Tribunale di Napoli con sentenza del 24.5.2006 rigettava la domanda. Avverso la
detta sentenza interponeva appello il lavoratore e la Corte di appello di Napoli con sentenza
del 23.9.2010 lo rigettava. La Corte territoriale osservava che l’appellante aveva in sostanza
lamentato la violazione della norma costituzionale in materia di salute, nonché dell’art. 2087
c.c. e dell’art. 40 d.lgs n. 626/94. Appariva per la Corte inapplicabile la normativa introdotta nel
1994 perché riferibile ai soli “DPI” ( dispositivi di protezione individuale), mentre le tute fornite
ai lavoratori erano capi comuni e assolvevano alla mera funzione di preservazione degli abiti
dei lavoratori così come le tute “monouso”; quindi non si trattava di indumenti predisposti per
tutelare la salute e sicurezza delle persone. L’eventualità di venire a contatto con sostanze
nocive era stata prospettata in modo del tutto generico, tenuto conto dell’attività svolta.
Elementi essenziali in ordine all’obbligo di fornitura di DPI erano la frequenza di esposizione e
le caratteristiche del posto di lavoro del singolo dipendente; in ogni caso le tute fornite dal
Comune non potevano in alcun caso proteggere dall’ipotetico rischio di contatto con sostanze
nocive e la controversia era limitata al solo preteso obbligo del Comune di Napoli di lavare le
tute fornite o di risarcire il danno da violazione di tale pretesa obbligo /per cui non rilevante
era la perizia depositata in atti circa la individuazione di DPI in ordine ai rischi specifici delle
lavorazioni svolte dall’appellante. La giurisprudenza di legittimità circa la fornitura di idonei
strumenti di protezione e circa l’obbligo per il datore di lavoro di tenerli puliti ed efficienti,
richiamata dall’appellante si riferiva a casi diversi in cui gli indumenti forniti erano
effettivamente DPI o strumenti di copertura ad essi assimilabili.

R.G. n. 14693/2011

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Sorgente con 14 motivi; resiste il Comune
con controricorso. Parte ricorrente ha anche depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

dell’art. 2087 c.c. Esiste un generale obbligo del datore di lavoro di lavare le tute, come
affermato dalla giurisprudenza di legittimità. In caso di mancato lavaggio, come nel caso di
specie, il lavoratore ha diritto alla relativa indennità.
Con il secondo motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua
motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. La domanda non si
fondava sul solo fatto che le tute fornite ai lavoratori fossero assimilabili a DPI, per cui vi era
stata una motivazione incongrua ed una violazione dell’art. 112 c.p.c. , degli artt. 132 c.p.c.;
dell’art. 32 della Cost. e dell’art. 2087.
Con il terzo motivo si allega la violazione della L. n. 626 del 1994 e dell’ulteriore normativa in
materia di sicurezza del lavoro; degli artt. 32 e 2087 c.c. Il provvedimento impugnato è in
contrasto con la giurisprudenza della Corte di cassazione. Esiste un obbligo generale del datore
di lavoro di lavare le tute in quanto DPI. In caso di mancato lavaggio il lavoratore ha diritto alla
relativa indennità.
Con il quarto motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua
motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. Non si era esaminata
la perizia prodotta e non si erano esaminati i rischi in concreto sofferti dai lavoratori.
Con il quinto motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 c.c. e della L. n.
626/94. Il provvedimento impugnato era in contrasto con la giurisprudenza di legittimità:
l’onere di dimostrare che le tute non erano DPI incombeva sul datore di lavoro.
Con il sesto motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione
in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. Il comune di Napoli doveva
valutare il rischio e quindi dimostrare che le tute non potevano essere considerate DPI.
Con il settimo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 della Cost. e
dell’art. 2087 c.c. Sussisteva l’onere del datore di lavoro di dimostrare che non sussisteva un
rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori.
Con l’ottavo motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. Era onere del datore
di lavoro dimostrare che non sussisteva un rischio per i lavoratori.
Con il nono motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 della Cost.; degli
artt. 1218 e 2043 c.c. Il prowedimento impugnato era in contrasto con la giurisprudenza di

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Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 della Cost. e

legittimità. Nel caso di mancato lavaggio delle tute da lavoro il lavoratore ha diritto al
risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Con il decimo motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua
motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. In relazione al punto
oggetto del motivo precedente la motivazione non era congrua ed in contrasto con
l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

2697 c.c., nonché dell’art. 414 c.pc. Non erano state ammesse né in primo grado, né in appello
le prove richieste, certamente ammissibili e rilevanti e che comunque potevano e dovevano
essere ammesse d’ufficio.
Con il dodicesimo motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua
motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. Non era stata offerta
alcuna motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove richieste.
Con il tredicesimo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 Cost. ,
dell’art. 2087 cc. Non erano state fornite le tute di stoffa.
Con l’ultimo motivo si allega l’omessa o insufficiente o contraddittoria o incongrua
motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio. La motivazione del
prowedimento impugnato era del tutto carente in merito al punto evidenziato nel motivo che
precede.
I motivi prima sintetizzati vanno esaminati congiuntamente essendo tra loro strettamente
connessi ed avendo i medesimi presupposti giuridici e fattuali. La stessa parte ricorrente nella
memoria ex art. 378 c.p.c. così riassume le tesi sviluppate nei motivi: il lavoratore ha diritto ad
abiti di lavoro adeguati, il datore di lavoro deve fornire gli abiti da lavoro, il datore di lavoro
deve mantenere gli abiti da lavoro e sostituirli, il datore di lavoro deve tenere gli abiti da lavoro
in efficienza : tali obblighi risiedono negli artt. 2087 c.c. e 32 Cost. Si tratta di obblighi di ordine
generale: il datore di lavoro deve altresì verificare se i in relazione alle mansioni svolte, sia
necessario, in relazione alle dovute precauzioni per la tutela della salute e sicurezza, fornire
DPI idonei e tenerle sempre pulite ( cfr. pag. 1 e 2 della memoria ).
Le doglianze di parte ricorrente appaiono infondate. Corretto è stato il percorso argomentativo
seguito dalla Corte territoriale nel prowedimento impugnato in quanto si è partiti dal
necessario accertamento se le tute distribuite ai lavoratori, anche se a cadenze assolutamente
insufficienti, quelle monouso e quelle di stoffa, potessero essere considerate DPI ( dispositivi di
protezione individuale) ai sensi della normativa in vigore, ciò in quanto si evince dallo stesso
ricorso e dalla ricostruzione della vicenda processuale che l’assimilazione tra le tute in parola e
i veri e propri DPI sia stato sempre argomento centrale della tesi di parte ricorrente in quanto
la normativa sui DPI- proprio in relazione alle lavorazioni cui era addetto il lavoratore- vuole
dare concretezza e specificazione alle norme di ordine generale ed astratto come l’art. 32 della
Cost. e l’art. 2087 c.c. La Corte territoriale correttamente ( pag. 3 della sentenza impugnata)
rileva che se le tute fornite dal datore di lavoro Comune di Napoli si dovessero considerare DPI,
allora non vi sarebbe alcun dubbio del connesso obbligo per il Comune di tenere indenni i
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Con l’undicesimo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 Cost. e dell’art.

lavoratori dai costi e dai disagi del loro frequente lavaggio. Ora la Corte di appello rileva che ai
sensi dell’art. 40 L. Igs. n. 626/66 è DPI “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e
tenuta dal lavoratore allo scopo di rio contro uno o più rischi suscettibili di
minacciarne la sicurezza o la salute dur nte il avoro, nonché ogni complemento o accessorio
destinato a tale scopo” e non sono invece DPI “gli indumenti e( ti i

** di lavoro ordinari e le

uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute dee lavoratole; l’
art. 42 precisa che i DPI devono essere adeguati ai rischi da prevenire, alle condizioni esistenti
sul luogo di lavoro e tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore e
precisano gli obblighi di corretta fornitura dei DPI anche in ordine al loro mantenimento in
stato di efficienza ed igiene. La Corte di appello ha poi ricordato che la circolare n. 34 del 29.4.
1999 ( allegato 17) precisa che gli indumenti di lavoro possono avere tre funzioni: a) di divisa
cioè di identificazione aziendale; b) di mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura
connessa all’espletamento dell’attività lavorativa; c) di protezione da rischi per la salute e
sicurezza e che solo in quest’ultimo caso gli indumenti rientrano tra i DPI (a titolo
esemplificativo gli indumenti per evitare il contagio on sostanze nocive, tossiche, corrosive o
con agenti biologici). Date queste premesse normative la Corte territoriale ha logicamente
concluso che le tute fornite ai lavoratori dal Comune di Napoli non potevano essere ritenute
DPI per le loro caratteristiche di capi comuni di abbigliamento ( tute di stoffa) e la loro funzione
di vestizione in quanto strumentali al solo scopo di mera preservazione degli abiti civili
dell’attuale ricorrente dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa.
Discorso da farsi anche per le tute di lavoro monouso in tjvek. La Corte territoriale ha rilevato
che proprio il lavoratore aveva allegato e ribadito che le tute monouso erano non traspiranti e
permeabili ai liquidi e quindi inidonee e che quelle di stoffa si sporcavano facilmente sicché
entrambe i generi di indumenti di lavoro non realizzavano alcuna significativa tutela rispetto ai
rischi specifici cui il lavoratore era- a suo dire- esposto. Le caratteristiche e la tipologie di tali
indumenti esclude che gli stessi possano essere considerati DPI alla luce della normativa in
vigore non possedendo la funzionalità tipica dei DPI e cioè un adeguata protezione dai rischi di
contatto con sostanze nocive (per lavorazioni come quelle cui era addetto il ricorrente)
essendo stati forniti solo per preservare gli abiti civili dall’usura connessa all’espletamento
dell’attività lavorativa ( pag. 5 della sentenza impugnata). Si tratta di un accertamento di
natura squisitamente fattuale motivato congruamente ed ancorato ad elementi desunti dalla
stesse prospettazioni di parte ricorrente e quindi insindacabile come tale in questa sede, che
porta ad escludere in radice non solo la dedotta assimilazione tra le tute fornite al dipendente
del Comune di Napoli e i DPI, ma anche ogni nesso tra la tutela della salute e dell’igiene del
dipendente ex art. 32 Cost. ed ex art. 2087 c.c. e la domanda formulata in questa sede
processuale. La Corte territoriale ha correttamente rilevato che oggetto della domanda era
l’obbligo per il Comune di fornire le tute prima indicate e comunque di tenerle pulite e, in linea
subordinata, di risarcire il dipendente dalle spese sostenute di lavaggio delle tute, questione
completamente estranea al tema della tutela della salute e dell’igiene nel luogo di lavoro ex
art. 32 della Cost. ed ex art. 2087 c.c., posto che le prima ricordate tute non erano fornite a
tale scopo, ma solo per preservare gli abiti civili dall’usura dovuta all’attività lavorativa svolta.
La domanda non concerneva quindi la fornitura di DPI ove necessario al fine di salvaguardare i
beni costituzionalmente protetti prima ricordati, ma riguardava direttamente il tipo di tute
distribuite (saltuariamente, a stare alla prospettazione di parte ricorrente) dal Comune di
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devono poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità, mentre all’art. 43 si

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Napoli, non altre vestizioni o altro tipo di protezioartiò rende del tutto superfluo stabilire se

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esista un obbligo per il datore di lavoro in via generale di proteggere attraverso tute ed abiti di
lavoro adeguati ( DPI o altre protezioni) i dipendenti soggetti a rischio di contaminazione con
sostanze nocive, perché non era questa la questione da dirimere, posto che le tute sulla cui

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fornitura e pulizia è incentrata la domanda non hanno questa funzione, né la potrebbero avere
date le loro caratteristiche funzionali. Correttamente quindi non è stato esaminato il
contenuto della perizia richiamata in ricorso né è stata ammessa la prova che tendeva ad
acclarare la tesi dell’esposizione a rischi per la salute e l’igiene del lavoratore in quanto si
che, per le lavorazioni cui era addetto il ricorrente, fosse necessario predisporre DPI specifici
di riduzione del rischio di contaminazione o altre cautele, ma non è questo il

thema

decidendum, perché tale eventuale obbligo ex art. 32 Cost. o ex art. 2087 c.c. non ha alcun
nesso con l’obbligo di lavare con sistematicità tute che servono solo ad evitare l’usura di abiti
civili. L’orientamento giurisprudenziale di legittimità, come già osservato nella sentenza
impugnata, è stato quindi ben ricostruito in quanto obblighi di fornitura di indumenti di lavoro
e di lavaggio degli stessi è stato riconosciuto quanto tali obblighi erano strumentali alla tutela
della salute e sicurezza dei dipendenti, il che non si ravvisa nel caso di specie relativamente alle
tute fornite dal Comune di Napoli al ricorrente. Del tutto inconferente è poi il richiamo operato
nella memoria prodotta ex art. 378 c.p.c. alla sentenza di questa Corte n. 19759/2013 in
quanto l’obbligo di lavaggio delle divise di lavoro di cui si discuteva in quella controversia
derivava da un contratto di appalto tra la Sodexo Italia spa, ditta di ristorazione, e la Rai come
società appaltante e che tale obbligo emergeva anche da una norma del contratto collettivo
applicabile e quindi l’obbligo in parola derivava da specifiche fonti contrattuali. E’ vero che la
decisione ricordata richiama altre decisioni di legittimità in ordine all’obbligo per il datore di
lavoro di tenere le divise pulite e di sopportarne comunque il relativo costo, ma la Corte
precisa che le fattispecie erano relative a personale addetto alla nettezza urbana e quindi si
ricade nella corretta ricostruzione già operata dalla Corte di appello di Napoli
dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, per cui l’obbligo sussiste ove sia
finalizzato alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore (la Corte di appello già ha
esaminato una delle due decisioni richiamate nella sentenza 19759/2013 e cioè la n.
22929/2005).
Pertanto si deve rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al dispositivoseguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per spese, nonché in euro
3.000,0 Itrétec2roVi‘címe per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7.11.2013

trattava di un’indagine non pertinente per la domanda introdotta. Non si può quindi escludere

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