Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2625 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6885/17) proposto da:

X.D., (C.F.: (OMISSIS)), e P.M., (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dagli Avv.ti Fabio Bassan, e Silvia Venturini, ed

elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Roma, v. di

Porta Pinciana, n. 6;

– ricorrenti –

contro

BANCA D’ITALIA S.P.A., (PI.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Giuseppe

Napoletano, e Donato Messineo ed elettivamente domiciliata presso

gli stessi, in Roma, v. Nazionale, n. 91;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma n. cronol.

7219/2016, depositato il 7 settembre 2016;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19

novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli Avv.ti Silvia Venturini, per i ricorrenti, e Giuseppe

Giovanni Napoletano, per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel periodo tra il 15 aprile 2013 e 9 agosto dello stesso anno, la Banca Veneto s.c.p.a. veniva sottoposta ad accertamenti ispettivi da parte della Banca d’Italia al fine di verificare l’adeguatezza del sistema di governo, gestione e controllo del rischio di credito, nonchè la “governance” aziendale.

All’esito di detti accertamenti erano state rilevate varie irregolarità che, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993 (c.d. TUB), erano sanzionabili sul piano amministrativo. In particolare, venivano ravvisate le seguenti irregolarità:

– carenze nell’organizzazione e nei controlli interni da parte di componenti ed ex componenti del Consiglio di amministrazione;

– inosservanza delle disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione da parte di componenti ed ex componenti del Consiglio di amministrazione;

– carenze nel processo del credito da parte di componenti ed ex componenti del Consiglio di amministrazione;

– carenze nei controlli da parte di componenti ed ex componenti del Collegio sindacale;

– non corrette segnalazioni all’organo di vigilanza di posizioni anomale e perdite da parte di componenti ed ex componenti del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale.

Le due ultime riportate violazioni venivano contestate a X.D. e P.M. nella loro qualità di componenti del Collegio sindacale della Banca Veneto e, all’esito del procedimento amministrativo, la Banca d’Italia irrogava nei loro confronti la sanzione pecuniaria, per ciascuno, di Euro 104.000,00.

2. I due provvedimenti erano impugnati, con un unico ricorso, dinanzi alla Corte di appello di Roma che, nella costituzione della Banca d’Italia, lo respingeva con decreto depositato il 7 settembre 2016.

Con questo provvedimento la Corte laziale riteneva infondate tutte le censure formulate dagli opponenti relative alla dedotta decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio del termine di contestazione degli addebiti e di adozione della delibera finale, alla prospettata illegittimità di quest’ultima per sua asserita genericità e contraddittorietà con altri provvedimenti della stessa Banca d’Italia, alla denunciata violazione del principio del “giusto procedimento” e all’insufficienza del provvedimento irrogativo della sanzione, ravvisando, altresì, l’infondatezza di tutte le censure attinenti al merito delle violazioni loro ascritte.

3. Avverso il suddetto decreto hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, X.D. e P.M..

Ha resistito con controricorso l’intimata Banca d’Italia.

La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno censurato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il decreto impugnato per violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 13,14,18 e 19, dovendosi la sanzione amministrativa applicata dalla Banca d’Italia considerarsi come vincolata e tale da escludere ogni valutazione discrezionale, onde non può essere assimilata a quella di vigilanza, diversamente da quanto era avvenuto nella fattispecie, in cui l’accertamento era consistito nella mera ispezione.

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno denunciato – sempre avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 262 del 2005, art. 24, art. 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU, deducendo, in particolare, la violazione delle garanzie del giusto procedimento e del giusto processo, che, nel caso di specie, avrebbero dovuto imporre l’osservanza di un contraddittorio rinforzato e che, perciò, non poteva ritenersi garantito da una decisione in Camera di consiglio della Corte di appello.

3. Con la terza censura i ricorrenti hanno dedotto – ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11, poichè i criteri in tale norma indicati non erano stati presi in considerazione ai fini della valutazione delle sanzioni comminate dalla Banca d’Italia.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7 e dell’art. 132 c.p.c., avuto riguardo – nel provvedimento impugnato – alla mancata applicazione della graduazione delle sanzioni sulla base della L. n. 689 del 1981, citato art. 11 e del principio di proporzionalità.

5. Con il quinto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, sul presupposto che, nel valutare l’applicazione delle norme sui doveri di vigilanza del Collegio sindacale, l’impugnato decreto non aveva tenuto conto della diligenza professionale correttamente osservata dai Sindaci.

6. Rileva il collegio che primo motivo è destituito di fondamento e deve, perciò essere rigettato.

Invero, al di là della incongruenza delle norme dedotte come violate, la Corte di appello, nell’impugnato decreto, ha legittimamente escluso che tutta l’attività di accertamento potesse essere ritenuta di natura discrezionale poichè, in effetti, le risultanze conseguenti agli esperiti accertamenti si erano risolte nell’acquisizione di dati oggettivi (e, quindi, in un’attività di carattere tecnico vincolata) e che, solo all’esito della loro complessiva valutazione, l’organo sanzionatorio aveva legittimamente proceduto all’attività di riconduzione delle accertate condotte nell’ambito delle prescrizioni normative ritenute violate, con la conseguente irrogazione delle correlate sanzioni mediante il provvedimento poi opposto dinanzi alla Corte di appello di Roma.

In concreto, inoltre, detta Corte ha – con motivazione certamente sufficiente valorizzato e spiegato la distinzione tra le due singole ed autonome attività ispettive, di cui la prima avente natura settoriale (siccome non riguardante l’intero comparto del credito, bensì soltanto la verifica dell’adeguatezza delle rettifiche sul valore dei crediti deteriorati) e la seconda più ampia (concernente la “governance” della Banca e, in particolare, la valutazione dei relativi controlli spettanti agli organi competenti), senza che si fosse venuta a configurare alcuna sovrapposizione tra le stesse (pur essendo tra loro inevitabilmente connesse), con la conclusione, quindi, dell’intera attività di accertamento nell’agosto 2013 in funzione del legittimo espletamento della completa ed effettiva contestazione.

7. Anche il secondo motivo non coglie nel segno e va disatteso, essendosi la Corte laziale correttamente conformata alla giurisprudenza di questa Corte in materia.

Infatti, quanto alla supposta violazione del principio del contraddittorio, la Corte di merito ha legittimamente statuito, sulla scorta per l’appunto della consolidata giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass. Sez. U. n. 20935/2009; v., in senso conforme, Cass. n. 18683/2014 e Cass. n. 8210/2016), che il contraddittorio tra la l’Amministrazione procedente e l’interessato è assicurato, nell’ambito della fase istruttoria, dalla preventiva contestazione degli addebiti (pacificamente avvenuta in modo adeguato nella fattispecie), dall’esplicazione del diritto degli incolpati di dedurre le loro difese e di esercitare il diritto di accesso agli atti della procedura sanzionatoria. Peraltro, è stato anche chiarito che – diversamente da quanto prospettato dalla difesa del ricorrente – nel procedimento amministrativo sanzionatorio in questione, l’omessa previsione della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative, e la conseguente impossibilità di interloquire, non si pone in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quando – come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, “Grande Stevens c. Italia” -, pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato – come, appunto, quello di cui trattasi – ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo, e tale lo è anche quello celebrato con le forme della Camera di consiglio.

Deve, perciò, trovare in questa sede conferma il principio secondo cui, in tema di sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, la mancata comunicazione all’incolpato degli esiti istruttori non comporta violazione del diritto di difesa e dei principi sanciti dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, atteso che il procedimento amministrativo deve ritenersi “ab origine” conforme alle prescrizioni di tale ultima disposizione, essendo il provvedimento sanzionatorio impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e presso il quale è garantito il pieno dispiegamento del contraddittorio tra le parti (cfr., da ultimo, Cass. n. 9371/2020).

8. Osserva il collegio che, a questo punto, sul piano della preliminarità logico-giuridica, vada esaminato il quinto motivo, che attiene propriamente alla contestazione del merito delle violazioni ascritte ai ricorrenti, mentre il terzo e quarto motivo investono il profilo (conseguente) della determinazione della sanzione irrogata.

La quinta censura è anch’essa priva di fondamento e va respinta.

Con la stessa, i ricorrenti tendono, in effetti, a sollecitare la rivalutazione delle risultanze di merito nella presente sede di legittimità e, quindi, ad addurre piuttosto un vizio di insufficienza della motivazione (come tale oggi inammissibile per effetto della novellazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif. nella L. n. 134 del 2012), anzichè di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (che avrebbe, questo sì, legittimato il riferimento al nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., ove ne fossero stati effettivamente sussistenti i presupposti).

Il percorso logico-giuridico adottata dalla Corte di appello è più che adeguato sia con riferimento alla individuazione delle irregolarità specificamente rimaste accertate a carico dei ricorrenti sia in relazione all’inquadramento degli obblighi prescritti incombenti sui componenti della Collegio sindacale ed in concreto non ottemperati dai medesimi ricorrenti, siccome erano risultate idoneamente riscontrate le carenze nei controlli sui medesimi gravanti e le non corrette segnalazioni all’organo di vigilanza di posizioni anomale e perdite della Banca Veneto (per come puntualmente esposte nella motivazione dell’impugnato decreto: v. pagg. 7-9).

Peraltro, con il motivo in esame, i ricorrenti hanno cercato, piuttosto, di “ridimensionare” il ruolo e gli obblighi spettanti ai componenti del collegio sindacale, tentando di giustificare – ma dei tutto genericamente – la loro insufficiente condotta di controllo per effetto della situazione in cui una parte della struttura della Banca era intenta a sottrarre dal controllo (anche) del collegio sindacale una serie di situazioni e operazioni critiche (senza nemmeno specificare quali).

L’apparato normativo di riferimento del TUB stabilisce, invece, che il collegio sindacale deve informare senza indugio la Banca d’Italia di tutti gli atti o i fatti di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una irregolarità nella gestione delle banche e una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria. Va, altresì, aggiunto che la responsabilità individuale dei singoli componenti del collegio sindacale per la violazione di tale dovere di informazione a carico dell’organo collegiale, lungi dal porsi in contrasto con la “ratio”, con i principi regolatori e con le norme vigenti in materia di sanzioni amministrative di cui alla L. n. 689 del 1981, discende dall’applicazione dei principi in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo, in forza dei quali, quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, restando in tal modo la sanzione pecuniaria applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato.

In altri termini, dallo specifico quadro normativo e regolamentare emerge che anche i suddetti componenti devono esercitare un controllo sia di legittimità che sul merito delle delibere del C.d.A. onde garantire il buon funzionamento della struttura amministrativa. Il ruolo dei menzionati componenti implica l’assolvimento di un obbligo di sorveglianza attiva, tale da garantire un’attività di controllo, continua, specifica e ad ampio raggio (cfr., ad es., Cass. n. 21797/2006, n. 6037/2016 e n. 5357/2018).

Del resto costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. n. 2406/2016) che, in tema di sanzioni amministrative, la L. n. 689 del 1981, art. 3, pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa, sicchè, in caso di provvedimento sanzionatorio emesso dalla Banca d’Italia nei confronti dei componenti del Consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e della direzione di una banca, per inosservanza delle istruzioni relative all’organizzazione amministrativa e contabile ed omesso invio delle prescritte segnalazioni all’istituto d’emissione, spetta ai destinatari della sanzione dimostrare di aver adempiuto diligentemente agli obblighi imposti dalla normativa di settore, rimanendo, comunque, irrilevante, ai fini dell’esclusione della colpa, che la situazione in cui versava la banca fosse preesistente al loro insediamento.

9. Passando ora all’esame del terzo e quarto motivo, che può avvenire congiuntamente perchè investono la stessa questione della determinazione della sanzione, il collegio ritiene che essi siano inammissibili.

Essi, infatti, riguardano la contestazione delle concrete modalità di esercizio di un sindacato tipicamente di merito qual è il giudizio della Corte di appello sul controllo della sanzione come determinata nel provvedimento oggetto di opposizione (v., ad es., Cass. n. 21952/2014).

E al riguardo la Corte laziale ha espresso una sufficiente motivazione sull’adeguatezza della contestata misura delle sanzioni irrogate nei confronti dei ricorrenti, rilevandone – avuto riguardo all’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11 (cfr., da ultimo, Cass. n. 5526/2020) – la proporzionalità in relazione agli addebiti rimasti riscontrati e alla gravità degli stessi (oltre che alla durata della consumazione dell’illecito), pure con richiamo alla specificazione dei medesimi criteri contenuta nel provvedimento impugnato (che, quindi, sono risultati pienamente recepiti e, perciò, ritenuti conformi ai parametri generali applicabili in materia).

Del resto, proprio alla stregua dell’esplicitata sufficiente – ancorchè in forma sintetica – motivazione la Corte di appello ha inteso, sulla base delle argomentazioni svolte con riferimento alle accertate violazioni e ai concreti riscontri addotti a supporto del provvedimento sanzionatorio impugnato, implicitamente ritenere che i ricorrenti non avevano offerto prova circa la realizzazione di una loro condotta attenuatrice delle conseguenze delle infrazioni, ha escluso che il provvedimento sanzionatorio abbia trattato in modo uniforme situazioni diverse (avuto riguardo alla posizione degli amministratori e dei sindaci), posto che delle irregolarità degli amministratori rispondono anche i sindaci a causa del mancato assolvimento del loro obbligo di controllo e di segnalazione, non potendo, peraltro, sortire una significativa rilevanza il fatto che i ricorrenti non avessero commesso in precedenza altri illeciti (il che, se fosse effettivamente risultato, avrebbe costituito una circostanza aggravante tale da legittimare anche un aumento della sanzione in relazione alla valutazione complessiva dei criteri trasparenti della L. n. 689 del 1981, citato art. 11).

10. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidando nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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