Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2625 del 02/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 02/02/2018, (ud. 25/10/2017, dep.02/02/2018),  n. 2625

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Padova ha respinto l’opposizione, proposta dalla società Sguotti srl in liquidazione (d’ora in avanti, semplicemente Sguotti), allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) srl (in prosieguo, (OMISSIS)) con riguardo alla sua domanda di ammissione di un credito maturato in conseguenza di un rapporto contrattuale di discussa qualificazione, ammesso dal GD (sulla base di fatture emesse nel periodo dal 31 marzo 2008 al 30 giugno 2009), in chirografo, in una minor misura rispetto a quella richiesta, a cui Sguotti ha: a) opposto la natura prededucibile, nonostante che il fallimento di (OMISSIS) fosse stato dichiarato in data 27 agosto 2009; e solo, in sede di note autorizzate, b) ridotto l’entità della pretesa al quantum già ammesso, in considerazione dell’operare di una compensazione, per l’esistenza di un controcredito del fallimento.

2. Secondo il Giudice circondariale, infatti, le doglianze proposte da Sguotti non avevano fondamento, perchè: 1) il credito afferiva a prestazioni eseguite anteriormente al fallimento e perciò i crediti sorti anteriormente ad esso non avevano la collocazione richiesta, subendo la comune falcidia concorsuale; li) con riferimento al contratto concluso da Sguotti con la società in bonis, avente – secondo la prospettazione dell’opponente – una causa mista (locativa contro il pagamento con forniture, da parte di Sguotti conduttrice), difettava la prova che il curatore avesse dichiarato di volervi subentrare (avendolo questi escluso con la propria costituzione in giudizio e non avendo l’opponente fornito alcuna prova della propria affermazione).

2.1. Il contratto concluso tra le parti non avrebbe stabilito, per Sguotti, un obbligo diverso da quello di “rendersi disponibile ad eseguire le prestazioni che (OMISSIS) le avesse chiesto”, senza alcun obbligo per (OMISSIS) di effettuare ordinativi in un determinato quantitativo; e, come emergeva dalle fatture, le prestazioni non erano state svolte in favore del fallimento, ma di (OMISSIS) in bonis; nè la creditrice avrebbe allegato di aver avuto richiesta da parte della curatela di svolgere alcuna attività da compensare in prededuzione.

2.2. Le spese legali erano da porre a carico della creditrice, in quanto la parte prevalente della discussione giudiziale era stata assorbita dalla collocazione del credito, per quanto in ordine a questo si fosse raggiunto l’accordo sul quantum.

3. Avverso tale decisione Sguotti ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di censura.

4. La curatela ha resistito con controricorso.

5. In occasione dell’udienza pubblica, il difensore della ricorrente ha fatto pervenire documentazione relativa alla cancellazione della propria assistita dal registro delle imprese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso (Violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 72 e 74) la ricorrente censura l’ordinanza impugnata perchè:

a) il Tribunale avrebbe mancato di qualificare il rapporto contrattuale de quo come pendente al momento della dichiarazione di fallimento in quanto avente natura di contratto a prestazione continuativa, con applicazione dei principi di cui alla L. Fall., artt. 72 e 74; b) l’obbligazione posta in capo alla Sguotti consisteva nell’eseguire prestazioni, in favore di (OMISSIS), in una misura non inferiore al 50% della propria attività, con la compensazione del corrispettivo con i canoni di affitto; c) anche il curatore fallimentare avrebbe osservato il rapporto contrattuale (solo nominalmente configurato come affitto di azienda ma in realtà vero e proprio contratto di locazione immobiliare “con parziale godimento dei beni” non aziendali) non rivendicando alcun canone con la compensazione delle prestazioni rese sicchè la natura di contratto di durata sarebbe stata confermata anche dalla volontà del curatore fallimentare.

1.1. Dagli atti processuali e dalle stesse difese della Curatela, al contrario di quanto affermato dal Tribunale, emergerebbe che il curatore si era avvalso della facoltà di subentrare nella titolarità del rapporto contrattuale (come da istanza al GD del 27 novembre 2011), senza che avrebbe rilievo la distinzione fatta dal Tribunale circa il subentro e la prosecuzione (L. Fall., ex art. 79) del rapporto, atteso che la previsione di cui alla L. Fall., art. 79 (secondo cui il contratto di affitto di azienda non si scioglie in ragione del fallimento) sarebbe norma speciale da coordinarsi con quella generale di cui all’art. 72 (ed anche con l’art. 74, la cui portata applicativa era stata espressamente estesa a tutti i contratti ad esecuzione continuata o periodica dal decreto correttivo n. 241 del 2007).

1.2. L’art. 74, in particolare, nel nuovo testo (ov’è stata eliminato ogni riferimento all’art. 72) si riferirebbe non solo ai contratti di somministrazione o di vendita e consegne ripartite ma a tutti i contratti di durata, tra i quali anche quello oggetto di causa.

1.3. Ove il curatore avesse voluto la cessazione degli effetti contrattuali, di quello che era un vero e proprio contratto di durata (ad esecuzione continuata o periodica), avrebbe dovuto esercitare il diritto di risoluzione, di cui all’art. 79, in mancanza del quale sarebbe tenuto al pagamento prededucibile anche delle prestazioni già eseguite (art. 74).

1.4. In caso fosse ritenuta come mancante la dimostrazione del subentro della curatela, tuttavia, il tribunale avrebbe errato a non ammettere le prove richieste e, perciò, l’interrogatorio del curatore, che al riguardo avrebbe serbato il silenzio.

2. Con il secondo mezzo (insufficiente ed illogica motivazione in relazione al fatto controverso e decisivo per il giudizio) la ricorrente censura l’ordinanza impugnata perchè, con violazione degli obblighi motivazionali, non avrebbe: a) dedicato alcuna attenzione alla natura ed alla causa del contratto in esame; b) sulla questione del subentro del curatore nel contratto in questione, che ha escluso senza dare motivazione; c) in ordine all’applicabilità della L. Fall., art. 74.

3. Con il terzo (ingiustizia della sentenza in ordine alla liquidazione delle spese) la ricorrente censura l’ordinanza impugnata perchè l’ha condannata al pagamento delle spese processuali senza aver considerato che l’eccezione di compensazione non era stata comunicata anteriormente alla proposizione della domanda.

4. Preliminarmente deve essere esaminata la questione della avvenuta cancellazione della ricorrente dal registro delle imprese, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione.

4.1. L’allegazione (e la prova) dell’evento è irrilevante, secondo quanto la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2583 del 1976 e, in relazione alla cancellazione della società, Sez. L, Sentenza n. 3323 del 2014), onde al pari dell’evento morte registratosi successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, può affermarsi il principio di diritto secondo cui:

“L’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo in sede di legittimità”.

5. Venendo al merito del giudizio, i primi due motivi devono essere congiuntamente trattati in quanto attinenti alla stessa questione sostanziale.

5.1. Secondo la ricostruzione effettuata dal Tribunale, il contratto concluso tra le parti anteriormente al fallimento non consentiva l’ammissione della ricorrente al passivo in prededuzione in quanto: 1) il credito afferiva a prestazioni eseguite anteriormente al fallimento e perciò i crediti sorti anteriormente ad esso non avevano la collocazione richiesta, subendo la comune falcidia concorsuale; 2) con riferimento al contratto concluso da Sguotti con la società in bonis, avente – secondo la prospettazione dell’opponente – una causa mista (locativa, da parte della (OMISSIS), contro la fornitura da parte di Sguotti), difettava la prova che il curatore avesse dichiarato di volervi subentrare (avendolo questi escluso con la propria costituzione in giudizio e non avendo l’opponente fornito alcuna prova della propria affermazione).

5.2. La prima delle due rationes decidendi è sostanzialmente dipendente dalla seconda, in quanto – se è pacifico che il credito di cui si è chiesta l’ammissione allo stato passivo atteneva a prestazioni eseguite prima della dichiarazione di fallimento della società beneficiaria – la richiesta di ammissione di quel credito in prededuzione (e non al concorso) è proprio la conseguenza della qualificazione del contratto inter partes e della posizione che in ordine ad esso ha avuto il curatore.

5.3. Ma con riferimento a quest’ultimo, pur assumendosi contrariamente a quanto costituisce oggetto dell’accertamento di cui alla seconda ratio – che vi era stata la prosecuzione del rapporto e che il curatore sarebbe subentrato in esso, nessuna adeguata e decisiva critica alla negazione della prova di tale affermazione è contenuta nei due mezzi, che si limitano ad affermarlo senza un congruo ed conseguente richiamo del “come, quando e dove”, tali incisive critiche siano state allegate e dimostrate nella fase di merito.

6. Una volta dichiarate inammissibili le censure di merito, si comprende anche l’infondatezza di quella (terzo motivo) relativa al governo delle spese processuali.

7. In conclusione, il ricorso – del tutto infondato – deve essere respinto, con le conseguenze di legge: le spese, poste a carico della parte soccombente e liquidate come da dispositivo, e l’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, il 25 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018

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