Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26246 del 28/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 28/09/2021), n.26246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Vincenzo Maradei, avv.vincenzomaradei.pec.giuffre.it, elett. dom. in

Cosenza, presso lo studio legale Maradei & Partners, alla Piazza

Gullo n. 6, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

IMPRESA EDILE A. DEDIN S.R.L, in persona del l.r.p.t., rappr. e dif.

dall’avv. Riccardo Mazzon, elett. dom. presso lo studio, in San

Donà di Piave (Venezia), in Via Vanzan n. 15/4, come da procura in

calce all’atto;

-controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore fallimentare

p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Venezia 11.12.2018, n.

3418/2018, in R.G. 3100/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20 aprile 2021 dal Consigliere Relatore MASSIMO

FERRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. La società (OMISSIS) S.R.L. (SOCIETA’) impugna la sentenza App. Venezia 11.12.2018, n. 3418/2018, in R.G. 3100/2018, che ne ha respinto il reclamo proposto ex art. 18 L. Fall. avverso la sentenza Trib. Treviso 3.07.2018, n. 89/2018, già dichiarativa del suo fallimento e resa su istanza del creditore IMPRESA EDILE A. DEDIN S.R.L;

2. la corte ha ritenuto: a) sussistente la legittimazione dell’impresa edile a chiedere il fallimento, posto che ad una simile delibazione conduceva l’accertamento in sede monitoria del relativo credito, con provvisoria esecutività e per come emerso dall’esecuzione dell’appalto e dalla documentazione da esso discendente, rispetto al debito non pagato dall’appaltante debitrice, in coerenza con la contabilità di cantiere acquisita; b) lo stato d’insolvenza era provato dalle perdite pregresse del 2017 (circa 43 mila Euro), l’ulteriore risultato negativo del primo periodo successivo (circa 6,5 mila Euro a luglio 2018), l’incapienza dell’attivo, in difetto di risorse liquidabili, la negatività dei pignoramenti subiti; c) quanto ai requisiti soggettivi, parametrati al triennio 2014-2016, non appariva provato il mancato superamento delle soglie dell’art. 1 L. Fall., non risultando depositati bilanci ulteriori dopo quello del 2011, se non quello del 2015 ma solo nell’imminenza dell’udienza prefallimentare, né quello del 2017 (anno dell’istanza del creditore), derivandone un giudizio di inattendibilità di tale documentazione, anche avuto riguardo all’omessa contabilizzazione dei debiti tributari nel frattempo emersi, alla mancata illustrazione delle operazioni attuate e all’insufficienza delle sole denunce IVA 2014-2017;

3. la società ricorre in Cassazione su due motivi; resiste con controricorso il creditore istante.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e come errore di valutazione delle prove, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la corte riscontrato, “neppure incidentalmente”, la sussistenza del credito dell’istante, recato da un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ed oggetto di opposizione giudiziale, erroneamente attribuendo la legittimazione ex art. 6 L.f. e ritenendo provata l’insolvenza;

2. il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1 L. Fall., nonché il vizio di motivazione, per avere la corte esaminato i bilanci degli ultimi tre esercizi dichiarandone l’inattendibilità sulla base del loro tardivo deposito ed escludendo, dunque, la società tra i soggetti giuridici nei confronti dei quali non è utilizzabile l’esimente prevista dalla disciplina fallimentare, altrimenti provata;

3. il primo motivo è inammissibile, per plurime convergenti ragioni; esso, in primo luogo, appare redatto mediante cumulo indistinto di censure disomogenee, senza indicazione puntuale dei parametri normativi violati, in particolare non indicando quale diversa formula interpretativa sarebbe dovuta essere applicata dal giudice della decisione contestata e così assommando profili che confliggono con il principio di necessaria specificità della stessa censura; la doglianza, apoditticamente, stigmatizza un omesso esame di circostanze in realtà avvenuto e invoca l’applicazione di norme meramente citate, senza meglio postularne una declinazione alternativa riconoscibile; invero, si ripete, con Cass. 26874/2018, che “la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse”;

4. né dunque può dirsi omesso un giudizio sulla sussistenza del credito dell’istante, dovendo la rispettiva valutazione corrispondere, come in realtà avvenuto, al rispetto del principio per cui l’art. 6 L. Fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass. s.u. 1521/2013; Cass. 11421/2014, Cass. 576/2015, Cass. 30827/2018, Cass. 23494/2020);

5. orbene, l’ampia motivazione resa dalla corte sul punto rende ragione dell’ottemperanza sia al precetto del minimo costituzionale dell’obbligo di motivazione (Cass. s.u. 8053/2014), sia alla doverosità del predetto accertamento, ben evincibile, come nella specie, dal riconoscimento, per quanto sommario, della qualità di creditore già attribuita in altra sede processuale e benché attraverso un provvedimento non definitivo, ma dotato di provvisoria esecutività; in tal caso, “la dichiarazione di fallimento impone e presuppone comunque un’autonoma delibazione incidentale del giudice fallimentare (..) che potrà farsi eventualmente carico di condividere, motivatamente, gli argomenti già addotti dal giudicante nella diversa sede processuale ma non potrà limitarsi a registrare la provvisoria esecutorietà concessa in pendenza dell’esecuzione ai sensi dell’art. 648 c.p.c.” (Cass. 23494/2020); ed è quanto avvenuto nella vicenda, poiché risulta che la corte non si è limitata ad affermare che “il credito è stato sottoposto a sommario accertamento da parte del giudice del procedimento monitorio” (pag. 5), ma ha altresì constatato: la sussistenza, documentata e incontroversa, della stipulazione tra le parti di un contratto di appalto per un corrispettivo certo, l’esecuzione delle opere da parte dell’appaltatrice, l’inesistenza di un riscontro concreto in ordine alla sussistenza dei vizi delle opere lamentati dalla committente ed, infine, l’esposizione nella situazione patrimoniale al luglio 2018 della società, predisposta da quest’ultima e tra le proprie passività anche della somma di Euro 38.213,94 riferita proprio all’impresa edile;

6. sul punto, le tre circostanze invocate a pagg. 9-10 in ricorso s’infrangono a loro volta sul principio per cui, si ripete, ove una determinata questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. n. 30044 del 2019, in motivazione; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017); il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della doglianza proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni recate avanti al giudice di merito ed afferenti a pretesi limiti del contatto d’appalto e della sua esecuzione;

7. quanto alla ritenuta sussistenza dello stato d’insolvenza, è sufficiente rilevare che, contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, si tratta di accertamento avvenuto sulla scorta di una previa, motivata, indicazione delle ragioni d’inattendibilità dei bilanci, insufficienza dei documenti fiscali unilaterali prodotti e delle tardive scritture depositate, nonché confronto di larga insufficienza patrimoniale e di liquidità condotto sia su elementi dell’attivo e del passivo della società, sia su dinamiche solutorie, emerse come gravemente critiche (come il pignoramento negativo e la mancanza di beni); va invero espressa continuità all’indirizzo per cui “costituiscono indizi esteriori dell’insolvenza, gli elementi sintomatici che esprimono lo stato di impotenza funzionale e non transitoria dell’impresa a soddisfare le proprie obbligazioni, secondo una tipicità – desumibile dai dati dell’esperienza economica – rivelatrice dell’incapacità di produrre beni o servizi con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze dell’impresa medesima (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché dell’impossibilità di essa di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose compromissioni del patrimonio” (Cass. 6978/2019);

8. il secondo motivo è parimenti affetto da inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1; va invero data continuità al consolidato indirizzo per cui “ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 L. Fall., comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15 L. Fall., comma 4, sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ex art. 2435 c.c., sicché, ove difettino tali requisiti o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (Cass. 13746/2017; e conf. già 24548/2016; Cass. 33091/2018); nella vicenda la Corte, con ratio non adeguatamente censurata, ha in primo luogo riscontrato una generale e assorbente situazione di inattendibilità della documentazione contabile prodotta dalla società in sede difensiva, sia per la incompletezza dei depositi storici di alcuni bilanci del triennio afferente (2014-2016), sia per la tardiva e parziale ottemperanza solo al cospetto dell’istruttoria prefallimentare, sia per la incoerenza rappresentativa di voci alfine rilevanti, come il debito fiscale; inoltre, anche la documentazione, a carattere evidentemente suppletivo e per come formata unilateralmente in vista della difesa contro la domanda di fallimento, è stata ritenuta non completa, né coerente, facendovi difetto elementi essenziali come le operazioni connesse allo sviluppo del contratto d’appalto, dalla cui criticità era sorta la denuncia d’insolvenza;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; da ciò consegue, oltre alla condanna del ricorrente alle spese, nella misura derivante dall’applicazione del principio della soccombenza, e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.000, oltre ad Euro 100 per rimborso, alla misura forfettaria del 15% sul compenso e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2021

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